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LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELL'AGENTE SOTTO COPERTURA

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

F) LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELL'AGENTE SOTTO COPERTURA

Nell'evoluzione storica di questo istituto abbiamo assistito al susseguirsi di tre fasi evolutive ben distinte: nell'orginario impianto del codice di rito la testimonianza indiretta degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria era vietata a norma dell'art. 195 comma 4: nella Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria viene descritta come una fattispecie avente una sua autonomia e riguardante un tipo particolare di testimonianza, la cui disciplina ha una ratio che non può essere integralmente coperta dalle norme più generali in tema di testimonianza indiretta: la ratio è costituita dalla garanzia dell'oralità della prova ed il diritto di difesa240; la seconda fase che ha stravolto l'istituto è costituita dalla sentenza della Corte Costituzionale 31 gennaio 1992, n. 24, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il testo previgente dell'art. 195 comma 4 c.p.p in quanto ritenuto in conflitto con l'art. 3 Cost: inoltre, la corte di legittimità non trovava giustificata e razionale l'inibizione di quella particolare forma di testimonianza perché non poteva sostenersi che gli appartenenti alla polizia giudiziaria fossero meno affidabili del testimone comune: inoltre ritiene fondamentale ed insostituibile questa tipologia di testimonianza ove l'esame dei testimoni diretti sia impossibile per morte, infermità o irreperibilità e potrebbe anche essere idonea a dimostrare l'innocenza dell'imputato241.

Con la costituzionalizzazione del principio del giusto processo – avvenuta con l'art. 1 L. cost. 23 novembre 1999, n.2, che ha modificato l'art. 111 della Costituzione – che ha privilegiato il contraddittorio tra le parti, la miglior 239 G. Barrocu, op. cit., pag. 134

240 Rel. Prel. c.p.p, pag. 62

dottrina ha evidenziato immediatamente la necessità, ormai irrinunciabile, di ripristinare il divieto per la polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni; così si è giunti alla terza ed ultima fase evolutiva, con la legge 1 marzo 2001, n. 63, la quale al fine di dare attuazione al nuovo testo dell'art. 111 Cost. ha ripristinato il divieto probatorio in origine contenuto nell'art. 195 comma 4 c.p.p, ma limitandolo alle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui all'art. 351 (sommarie informazioni delle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini), all'art. 357 comma 2 lettera a (denuncie, querele ed istanze presentate oralmente) e lettera b (sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini): l'indicazione tassativa degli atti specifici su cui opera il divieto ha lo scopo di escludere il divieto di testimonianza nei casi in cui l'appartenente alla polizia giudiziaria abbia percepito occasionalmente la dichiarazione dal testimone al di fuori di un contesto formale di indagine; per quanto riguarda le conseguenze sulle deposizioni acquisite precedentemente alle modifiche apportate all'art. 195 comma 4 c.p.p dalla legge 1 marzo 2001, n. 63, la Corte di Cassazione ha affermato che la legga ha introdotto «non un divieto di utilizzazione, ma uno specifico divieto di acquisizione probatoria, la deposizione dell'ufficiale di polizia giudiziaria sul contenuto di dichiarazioni di testimoni, avvenuta prima dell'entrata in vigore della nuova legge, è legittimamente acquisita al fascicolo del dibattimento ed è pienamente utilizzabile in applicazione del principio generale stabilito dall'art. 526 c.p.p, secondo cui il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento, e ciò in quanto, dovendosi distinguere tra acquisizione ed utilizzazione degli elementi di prova, deve affermarsi la persistente validità ed efficacia degli atti compiuti nell'osservanza delle leggi vigenti all'epoca della loro acquisizione»242.

La Corte Costituzionale è stata investita della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 comma 4 c.p.p così modificato dalla legge

242 Cass. Pen., Sez. III, 17 aprile-15 maggio 2007, 18420, in Guida al dir. 2007, 26, 94

63/2001; essa si è espressa243 dichiarando che è infondata la questione di legittimità circa il divieto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria di deposizione sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni. Per quanto attiene alla motivazione della sentenza, la Corte precisa che, rispetto alla precedente sentenza della Corte Costituzionale244, è profondamente cambiato non solo il sistema delle norme che disciplinano l'attività investigativa della polizia giudiziaria, ma anche il regime della lettura degli atti irripetibili, soprattutto è mutato il quadro di riferimento costituzionale, ora integrato dalla previsione, contenuta nella prima parte del comma 4 dell'art. 111 Cost, del principio del contraddittorio nella formazione della prova; la ratio di un simile divieto, in particolare, è di voler evitare che tali dichiarazioni possano surrettiziamente confluire nel materiale probatorio utilizzabile in giudizio attraverso la testimonianza sul loro contenuto resa da chi le ha raccolte unilateralmente nel corso delle indagini preliminari. Inoltre il divieto risulta coerente con la regola di esclusione probatoria dettata nel nuovo testo dell'art. 500 comma 2 c.p.p in base al quale le dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini preliminari lette per le contestazioni in dibattimento “possono essere valutate ai fini della credibilità del teste” ma non utilizzate come prova dei fatti in esse affermati.

Un punto particolarmente controverso della questione riguarda la possibilità circa il consenso alla testimonianza indiretta sulle sommarie informazioni, per qualunque motivo, non verbalizzate: un primo orientamento ritiene ammissibile la testimonianza indiretta qualora la polizia giudiziaria abbia omesso la verbalizzazione, in quanto essi sostengono che la redazione del verbale non sia imposta a pena di nullità né di utilizzabilità245. Questa tesi però non è proponibile in quanto permetterebbe all'operatore di polizia giudiziaria di eludere il dipsosto dell'art. 195 comma 4 c.p.p omettendo il verbale degli atti: in questo caso l'ammissibilità della testimonianza indiretta dipende dalla discrezionalità della verbalizzazione dell'operatore di polizia, il quale disporrebbe, pertanto, di uno strumento in grado di eludere il divieto di testimonianza indiretta creando le premesse per poter successivamente 243 Corte. Cost. 14-26 febbraio 2002, n. 32

244 Corte. Cost. 31 gennaio 1992, n. 24 245 Cass. Pen, Sez. IV, 11 luglio 2003

deporre in dibattimento: e così sarebbe vanificato lo scopo della norma che risiede nell'evitare contaminazioni tra la fase delle indagini preliminari e la fase dibattimentale, fuori dai casi eccezionali previsti dalla legge246.

Va detto come la giurisprudenza prevalente247 abbia ritenuto il divieto operante non solo nei confronti delle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità specificamente indicate, ma anche nei confronti delle dichiarazioni che con quella modalità si sarebbero dovute acquisire, eccetto nel caso in cui la verbalizzazione sia risultata impossibile per l'eccezionalità della situazione operativa o per la straordinaria urgenza dell'intervento. Questo indirizzo interpretativo è stato definitivamente consacrato da una recente sentenza della Corte Costituzionale248, in cui viene affermato: «è costituzionalmente illegittimo l'art. 195 comma 4 c.p.p ove interpretato nel senso che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni soltanto se acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357 comma 2 lett. a) e b) c.p.p, e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni non abbiano provveduto alla redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime», in altre parole, ove sia stata omessa la prescritta verbalizzazione la deposizione indiretta della polizia giudiziaria sarà vietata.

A questo punto risulta necessario valutare e comprendere se il profilo concernente la possibilità per gli agenti sotto copertura di riferire dichiarazioni a loro rilasciate da terzi estranei alle indagini possa giustamente essere utilizzata da loro in dibattimento ovvere se le stesse dichiarazioni debbano ricadere sotto la regola di esclusione della testimonianza sancita 246 Cass. Pen., Sez. I, 4 giugno 2002, 24222

247 Cass. Pen, Se. Un., 24 settembre 2003, n. 36747, in Guida al dir. 2008, 38,92 in cui la Corte afferma che «il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, che il comma 4 art. 195 c.p.p stabilisce con riguardo al contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357 comma 2 lett. a) e b) c.p.p, si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate in applicazione di dette norme, quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime»

dall'art. 195 comma 4 c.p.p; partendo dal presupposto per cui è fatto divieto alla polizia giudiziaria di testimoniare sulle deposizioni rese nel corso delle indagini preliminari, al fine di evitare che le stesse vengano utilizzate come prova del fatto storico e non esclusivamente per valutare la credibilità del teste, la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria potrebbe di fatto veicolare in dibattimento, e rendere utilizzabile, l'intera deposizione resa dal potenziale testimone fuori dal contraddittorio249, aggirando così i limiti posti all'utilizzabilità dei verbali delle dichiarazioni rese nella fase preliminare dalle persone informate sui fatti250. In aggiunta a questo, va riportato il curioso dato riguardante le interpretazioni dottrinali al riguardo: infatti, la dottrina è unanime nel ritenere che la funzione propria del divieto – come risulta a seguito della legge 1 marzo 2001, n. 63 – non consista esclusivamente nella creazione di una barriera cognitiva per il giudice dibattimentale che, insieme alla disciplina delle contestazioni e delle letture, impedisca l'utilizzazione a fini decisori di quanto raccolto in assenza di contraddittorio, ma anche una vera e propria sanzione dell'obbligo di documentazione delle attività della polizia giudiziaria, fondamentale per una fedele riproduzione delle dichiarazioni assunte251.

In situazioni ordinarie la testimonianza indiretta dell'agente undercover deve considerarsi tendenzialmente superflua: infatti il soggetto terzo, identificato a seguito dell'indicazione nella relazione di servizio, potrà essere sentito dal pubblico ministero in fase di indagine e nel corso del dibattimento con lo strumento della cross examination. I dubbi ermeneutici sorgono, però, nel momento in cui il terzo estraneo al fatto di reato per il quale si procede risulti irreperibile o la sua deposizione diventa impossibile per altra ragione: infatti è vero che “non avrebbe alcun senso consentire agli ufficiali di polizia giudiziaria di infiltrarsi in organizzazioni criminali, avvalendosi anche di false identità per stabilire rapporti con i più vari soggetti allo scopo di acquisire elementi di prova su delitti di particolare gravità se, al contempo, 249 P. Tonini, Manuale di procedura penale, Milano 10°ed. 2009, pag. 250

250 V. Grevi, Prove, in G.Conso-V.Grevi, Compendio di procedura penale, Padova 5° ed. 2010, pag. 324

251 F. Caprioli, Palingenesi di un divieto probatorio. La testimonianza indiretta del funzionario di polizia, in Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, a cura di R. Kostoris, Torino 2002, 83

venisse imposto loro di manifestare la propria qualità redigendo appositi verbali”252, tuttavia occorre verificare, stante il silenzio della legge, se possa configurarsi un'eccezione alla regola generale. Alcuni autori hanno sostenuto che la regola di esclusione di cui all'art. 195 comma 4 c.p.p, al pari di quella prevista dall'art. 62 c.p.p, dovrebbe applicarsi quando le dichiarazioni siano state provocate dall'ufficiale di polizia giudiziaria, di converso quindi sarebbe ammissibile la testimonianza indiretta sulle dichiarazioni spontaneamente rese dal possibile testimone: in questo modo, infatti, tali dichiarazioni spontanee sarebbero percepite dall'agente infiltrato in un contesto che va collocato, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, al di fuori di un'attività investigativa preordinata alla loro acquisizione253. Prendendo atto quindi della mancanza di una previsione legislativa ad hoc circa la possibile utilizzabilità delle prove raccolte sotto copertura, la soluzione esegetica della disciplina passa attraverso la possibilità di derogare alle ordinarie regole probatorie: a questo punto, risulta conveniente notare che ancorare la possibilità di fruire della testimonianza de relato ad un criterio di spontaneità o provocazione delle dichiarazioni, non appare coerente con la disciplina in quanto essa, a differenza del divieto contenuto nell'art. 62 c.p.p, non si pone a tutela del diritto al silenzio del possibile testimone, ma è altresì posta a garanzia del principio del contraddittorio nella formazione della prova e, con le dovute eccezioni, dell'obbligo di verbalizzazione della polizia giudiziaria. Semmai, potrebbe essere sostenuto che la testimonianza de auditu degli agenti infiltrati possa aversi in casi assolutamente eccezionali in cui le circostanze spazio-temporali dell'operazione non consentano una regolare verbalizzazione, anche successiva, e che il pubblico ministero, conclusasi l'operazione sotto copertura e pendenti ancora i termini per le indagini preliminari, si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di raccogliere le informazioni dalla persona che può offrire dichiarazioni utili ai fini delle indagini; va da sé che il testimone diretto può essere sentito in dibattimento, mentre le dichiarazioni de auditu dell'agente infiltrato potranno essere utilizzate solo per le contestazioni, sempre che nel corso delle operazioni 252 A. Balsamo, Le operazioni sotto copertura, cit. pag. 2653

253 G. Ritucci, La disciplina dell'acquisto simulato ex art. 97 T.U 309/1990, in Cass.pen. 1993, 996

undercover ricorrano circostanze eccezionali tali da derogare all'obbligo di redazione del verbale, in mancanza delle quali le contestazioni probatorie dovranno avere come base il verbale della polizia giudiziaria.

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