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UTILIZZABILITÀ DEGLI ELEMENTI DI PROVA ACQUISITI Il peculiare profilo riguardante l'utilizzabilità degli elementi probatori raccolt

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

M) UTILIZZABILITÀ DEGLI ELEMENTI DI PROVA ACQUISITI Il peculiare profilo riguardante l'utilizzabilità degli elementi probatori raccolt

nel corso dell'attività sotto copertura, in un provvedimento relativo a reati diversi da quelli per cui è consentita, ha ingenerato un acceso dibattito dottrinale e, soprattutto, un serio contrasto giurisprudenziale in seno ai giudici di legittimità; difatti, la stessa sezione della Corte di Cassazione ha affrontato a distanza di circa un mese questo tema addivenendo a soluzioni

300 N. Ventura, in Le investigazioni undercover della polizia giudiziaria, Bari 2008, pag. 97

del tutto opposte301, così da rendere quanto mai opportuno l'intervento delle Sezioni Unite.

La problematica ruota intorno alla possibilità di recuperare l'utilizzo degli elementi raccolti per quelle fattispecie delittuose non previste nelle norme che, in casi eccezionali, autorizzano lo svolgimento di operazioni undercover302: proprio il carattere eccezionale di queste attività, qualora non siano previste legislativamente, le rende non solo illegittime o irregolari ma perfino illecite; così riaffiora il dibattito classico che verteva sull'inutilizzabilità delle prove illecite, con l'ulteriore difficoltà derivante dal suo eventuale inquadramento fra le forme di inutilizzabilità assoluta o relativa. A quest'ultimo proposito, già nel 2004303 la Suprema Corte prese atto dei diversi orientamenti espressi sino ad allora sempre dalla terza sezione ed effettuò un deciso cambio di rotta: in precedenza, infatti, la Corte aveva stabilito che la violazione dei requisiti formali o sostanziali delle indagini disposte ai sensi dell'art. 14 L. 269/1998, comportasse l'inutilizzabilità assoluta dell'attività illecitamente compiuta, così da estendersi fino alla fase delle indagini preliminari in modo da rendere illegittimo lo stesso sequestro304. In particolare, veniva sostenuto che quando l'operazione undercover illegittimamente eseguita avesse fatto emergere cose pertinenti ad un reato diverso, poiché l'attività sotto copertura era vietata sin dal principio, il sequestro stesso sarebbe stato illegittimo; ciò perché, considerata la natura delle operazioni sotto copertura in cui vi è un regime fortemente lesivo dei diritti e delle libertà fondamentali degli indagati attraverso comportamenti altrimenti integranti fatti di reato, a maggior ragione, qualora la prova di un reato non previsto nella normativa eccezionale venga raccolta in violazione 301 G. Barrocu, in op. cit., pag. 174, in cui l'Autore afferma che occorre sottolineare come la gran parte delle pronunce giurisprudenziali abbiano avuto ad oggetto la L. 3 agosto 1998, n. 269, in materia di prostituzione, pornografia minorile e turismo sessuale in danno dei minori, ma le determinazioni non possono non valere, mutatis mutandis, anche nei confronti delle altre operazioni sotto copertura disciplinate nel nostro ordinamento.

302 Cass. 28 gennaio 2005, in CED Cass. 231605; Cass. 6 dicembre 2007, in CED Cass. 239912; Cass. 17 gennaio 2008, in CED Cass. 239407

303 Cass. 8 giugno 2004, in Arch. Nuov. Proc. Pen. 2005, 753

304 Cass. Pen. 21 ottobre 2003, in Dir. Giust. 2003, n. 41, 20; in dottrina D. Mancini, in Le attività sotto copertura magini di utilizzabilità delle prove e contrasti giurisprudenziali, in www.filodiritto.com, settembre 2005

di norme di garanzia, non si potrebbe mantenere il vincolo reale sulla cosa dal momento che “l'illegittimità dell'indagine travolgerebbe anche la possibilità di ritenere integrato il fumus del reato presupposto del sequestro”305.

Il mutato indirizzo giurisprudenziale è stato volto a temperare le rigidità di questa soluzione interpretativa, sulla base di alcune importanti argomentazioni a sostegno: innanzitutto, la Cassazione ha ritenuto306 che il problema dell'illegittimità dell'attività undercover per un reato per il qualela stessa non è consentita non dovrebbe porsi nei casi in cui per quel determinato reato sia consentita la confisca obbligatoria: in questi casi sarebbe non solo possibile, ma anche necessario, addivenire al sequestro preventivo del materiale rinvenuto nel corso dell'operazione, essendo del tutto irrilevante la legittimità dell'operazione perché nel caso specifico non è più richiesta la sussistenza del fumus commissi delicti.

In secondo luogo, si è ritenuto che sussista in capo alla polizia giudiziaria, una volta conosciuta la notizia di reato, l'obbligo di dar corso all'attività indicata nell'art. 55 c.p.p, ancorché la stessa sia stata acquistata nel corso dell'operazione; sicché, nello specifico caso sottoposto all'attenzione della Corte, si è sottolineata la possibilità di distinguere un uso probatorio da un uso orientativo del materiale pedopornografico sequestrato, ancorché riconducibile alla sola fattispecie di detenzione illecita per la quale la legge non prevede la possibilità di utilizzo dello strumento undercover. In dottrina, pertanto, è stato osservato come «gli elementi che pur taluno potrebbe ritenere privi di un valore probatorio, avrebbero comunque di per sé un valore orientativo, capace se non di sottendere da soli a un sequestro, quanto meno d'attivare gli obblighi di rapporto e di informativa degli agenti di polizia giudiziaria, questo poiché, di certo, la qualifica d'inutilizzabilità non potrà mai ricadere sulla notitia criminis, che è suscettibile di essere vagliata solo in termini di attendibilità»307. In ultima analisi, la Corte ha negato rilievo alla tesi della cd. inutilizzabilità derivata: con tale espressione si riferisce a 305 Cit. S. Frattallone, Siti civetta file sharing pedopornografico ed inutilizzabilità

degli elementi probatori, in www.altalex.it, 1 giugno 2005, 2 306 Cass. 8 giugno 2004, 753

307 Cit. S. Frattallone, in Siti civetta file sharing pedopornografico ed inutilizzabilità degli elementi probatori, in www.altalex.it, 1 giugno 2005, 3

quell'orientamento in base al quale il vizio scaturente dalla violazione delle prescrizioni di cui all'art. 14 L. 269/1998 viene a riverberarsi sia sulle prove acquisite ai fini della contestazione di quei reati per i quali l'indagine è prevista, sia sulle prove casualmente rinvenute e che riguardano un altro e diverso reato.

I giudici di legittimità, invece, nella pronuncia che ho citato, hanno preferito rifarsi alla classica teoria del male captum bene retentum, stabilendo che «ove la cosa sia obiettivamente sequestrabile, i relativi poteri non dipendono da come sia avvenuto il reperimento, perché non trova alcun fondamento l'assunto per cui il provvedimento basato su elementi probatori inutilizzabili debba considerarsi inutilizzabile in via derivata: tra gli atti probatori ed i provvedimenti che su di essi s'impernia, viene ad instaurarsi un rapporto di dipendenza logica, ma non d'implicazione come avviene fra gli atti necessari di un procedimento»308.

Questo particolare argomento interpretativo dato dalla Suprema Corte troverebbe conferma nell'elaborazione tradizionale secondo cui l'acquisizione della prova ed il sequestro sono posti in mera correlazione cronologica, ma quest'ultimo non ricava da essa il proprio fondamento giuridico, perciò “il potere del giudice di apprendere coattivamente e di acquisire prove è preesistente all'atto con cui illegittimamente si sono apprese o reperite, sicché l'atto del funzionario resta illecito od illegittimo ma, il giudice, mentre acquisisce la prova, agisce secondo la misura dei suoi poteri”309.

Inoltre, per completare la trattazione dell'argomento, va detto che la Cassazione ha incidentalmente aggiunto una discutibile affermazione alla sua pronuncia, secondo cui le operazioni undercover previste all'art. 14 della L. 269/1998 si stanno «sempre più evolvendo da tipico istituto da inserire in una concreta realtà investigativa, che si innesta in un tronco già sviluppato, ad operazioni che precedono l'acquisizione della notizia di reato e tendono ad 308 Sezioni Unite, 16 maggio 1996, in CED Cass. n. 204643: è la risalente

interpretazione delle SS.UU. secondo cui il sequestro eseguito in esito ad una perquisizine illegittima è inutilizzabile come prova nel processo, salvo che si tratti di sequestro del corpo di reato o di cose pertinenti al reato, il quale costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti

acquisirla»310. Comunque sia la terza sezione della Corte di Cassazione, già nel dicembre 2004, era intervenuta ancora sull'argomento mutando il proprio indirizzo: la Corte, rivalutando l'interpretazione giurisprudenziale precedente alla sentenza 8 giugno 2004, ha affermato e sancito che le violazioni della legge in materia di operazioni sotto copertura sono sufficienti a integrare i presupposti per l'applicazione dell'art. 191 c.p.p; per di più, sempre la Corte ha ritenuto che l'inutilizzabilità operasse anche ai fini della valutazione circa la sussistenza del cd. fumus commissi delicti, cosicché, venute meno quelle particolari risultanze d'indagine, veniva imposta una decisione per forza di cose favorevole all'indagato.

E, ad accentuare ancor di più il contrasto che si è venuto a creare all'interno del collegio, sono intervenute, a distanza di meno di un mese l'una dall'altra, due pronunce diametralmente opposte tra loro: pronunce che sono state emesse dalla terza sezione penale della Corte e ciò è importante da sottolineare in quanto, così facendo, è stata resa ancor più cogente la necessità di un intervento della più alta adunanza giudiziale al fine del recupero della propria funzione nomofilattica; questa divergenza ermeneutica fa capire e dà la misura delle difficoltà anche pratico-operative che la disciplina delle operazioni sotto copertura comporta.

Nella sentenza “Favalli”311 la Corte ha preferito seguire un orientamento estensivo che consente il massimo recupero degli elementi probatori emersi nella fase investigativa al processo: così è stato affermato che «la legittimità e la liceità dell'attività di contrasto sotto copertura deve essere valutata ex ante, in relazione al momento in cui tale attività è disposta dall'autorità giudiziaria e non con riguardo all'esito dell'investigazione. Ciò non significa che se, quando l'autorità giudiziaria ha autorizzato gli eccezionali strumenti di investigazione che consentono alla polizia giudiziaria di procedere 'sotto copertura' in azioni simulate (nella specie, riconducibili all'attività di contrasto prevista all'art. 14 della L. 269/1998 in materia di prostituzione e pornografia minorile) […] esistevano già indizi di uno dei gravi reati tassativamente indicati nella norma quale condizione per l'attivazione 310 Cit. Cass. 8 giugno 2004

dell'azione simulata, i mezzi di prova così acquisiti sono legittimi ed utilizzabili ex art. 191 c.p.p anche se riguardano reati diversi e meno gravi di quelli ipotizzati»312. La Corte ha ritenuto, pertanto, che secondo la disciplina vigente in relazione al serio allarme sociale suscitato da questi gravi delitti, la polizia giudiziaria sia autorizzata a svolgere un ruolo di vero e proprio agente provocatore, in via del tutto eccezionale rispetto alle ordinarie regole processuali.

Tuttavia, qualora nel corso di una tale attività eccezionale – legittimamente effettuata, secondo una valutazione dei presupposti legali effettuata in base agli elementi sino a quel momento raccolti e non in base ai risultati raggiunti– la polizia venisse ad accertare reati distinti e meno gravi, essa non potrebbe sottrarsi al suo compito istituzionale di svolgere indagini e di assicurare le fonti di prova anche in relazione ai reati diversi da quelli per cui era stata specificamente autorizzata: compito questo, che le deriva direttamente dal disposto dell'art. 55 c.p.p e ancor prima dallo stesso principio di obbligatorietà dell'azione penale, che contraddistingue il nostro sistema processual-penalistico. Questa soluzione appare tanto più logica quanto più sia labile ed incerta la distinzione tra il reato ipotizzato e quello poi realmente scoperto: la corretta identificazione del reato non è un compito sempre agevolmente effettuabile in fase investigativa, anzi non è infrequente che solo all'esito del giudizio sia possibile dirimere i dubbi circa la sussistenza di un reato in luogo di un altro, quando, poi non sia lo stesso giudice in camera di consiglio a mutarne la qualificazione giuridica a norma dell'art. 521 c.p.p. In un'eventualità di questo genere, per la Corte, sarebbe un'assurdità, sicuramente non voluta dal legislatore, ritenere che le prove raccolte con l'attività di contrasto non siano più utilizzabili solo perché il fatto accertato è diversamente qualificato dal giudice. È stato sottolineato come, in questa pronuncia, la logica ermeneutica attraverso cui si sono ritenute utilizzabili le prove raccolte dagli agenti undercover, si discosti dalle precedenti pronunce dei giudici di legittimità: si era infatti sostenuto che la mancanza dei requisiti sostanziali e processuali richiesti dalla normativa 312 Passaggio della Sentenza Favalli, in Attività sotto copertura: utilizzabilità delle

prove e contrasti giurisprudenziali, articolo di D. Mancini 12 ottobre 2005, in

speciale renda inutilizzabili le prove acquisite, ma non impedisca la ritualità e legittimità del sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato: il tutto, sia perché le risultanze inutilizzabili a fini probatori costituiscono pur sempre notita criminis sulla quale è possibile svolgere ulteriori indagini, acquisire nuovi elementi probatori e disporre misure cautelari313, sia perché il sequestro è comunque un atto dovuto in base al quale vale il principio 'male captum bene retentum'. Per contro, nella sentenza “Favalli”, si ritiene che «non occorre fare interpretazione analogica della eccezionale disciplina prevista nella normativa speciale anche per i reati diversi da quelli tassativamente contemplati»: questo perché si tratta piuttosto di valutare la ricorrenza dei reati tassativamente elencati in relazione al momento in cui l'eccezionale attività investigativa è stata autorizzata e non invece con riferimento all'esito dell'investigazione314.

In merito a questa impostazione e tendenza giurisprudenziale, tuttavia, è stato sottolineato come non si possa negare l'esistenza del problema relativo agli argini di contenimento cui sottoporre questi strumenti eccezionali, nella considerazione della loro capacità di attuare una vera e propria deminutio delle regole fondamentali di uno Stato di diritto: in particolare, è stata richiamata l'attenzione sulla necessità di considerare sempre inutilizzabili quelle prove che, in seguito a quel giudizio ex ante richiamato dalla corte, risultino assunte in assenza dei presupposti legali stabiliti dalle normative speciali.

La sentenza “Favalli” ha il notevole pregio di aver fornito un canone di interpretazione dell'attività undercover valevole, mutatis mutandis, per tutte le operazioni simili: ma in questo quadro giurisprudenziale si inserisce un nuovo orientamento del giudice di legittimità capace di far riaffiorare un'interpretazione restrittiva circa l'utilizzabilità delle prove raccolte dagli agenti sotto copertura315. Altre sentenze, invece, poggiando su

313 D. Mancini, in Le attività sotto copertura: margini di utilizzabilità delle prove e contrasti giurisprudenziali, 22 febbraio 2006, in www.filodiritto.it, in relazione al principio applicato all'inutilizzabilità delle intercettazioni assunte in altro

procedimento ex art. 270 c.p.p cita Cass. 30 maggio 2003 e Cass. 12 marzo 1998 314 Cit. G. Barrocu, op. cit., pag. 180

315 Cass. 28 gennaio 2005, in Guida dir. 2005, 27, 71 con nota di A. Cisterna, La negativa conclusione dell'iter acquisitivo cancella le residue possibilità di azione, ivi, pag. 77

argomentazioni diverse hanno affermato che la mancanza dei requisiti sostanziali e processuali dall'art. 14 rende inutilizzabili le prove acquisite, ma, non impedisce la ritualità nonché la legittimità del sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato: questo, evidentemente, in quanto le risultanze inutilizzabili ai fini probatori costituiscono ad ogni modo una vera e propria notitia criminis sulla quale possono svolgersi ulteriori e più approfondite indagini, acquisendo nuovi elementi probatori o disponendo misure cautelari316.

Bisogna premettere che dal tenore delle affermazioni contenute nella sentenza Gallotti317 traspare una propensione della Corte all'individuazione di caratteristiche peculiari concernenti le operazioni sotto copertura previste dall'art. 14 della L. 269/1998: a questo proposito, è necessario chiarire sin da ora che in relazione all'interpretazione che si è fin dal principio accolta, la diversità terminologica di questa norma – in base alla quale invece della semplice comunicazione è richiesta una vera e propria autorizzazione all'autorità giudiziaria – non comporta differenze sul piano operativo318: già si è detto, sia che l'autorità giudiziaria potrebbe compiere le stesse attività ora anche a norma dell'art. 9 L. 146/2006, sia che l'inquadramento dell'operazione undercover all'interno di un procedimento penale già avviato comporti la sottoposizione di tutti gli atti intrapresi dalla polizia giudiziaria al potere direttivo, e talvolta autorizzatorio, del pubblico ministero; questa premessa implica che, qualora si affermasse l'orientamento restrittivo elaborato nella sentenza Gallotti, lo si dovrà ritenere applicabile a tutte le operazioni sotto copertura disciplinate nel nostro ordinamento.

Fatta questa iniziale precisazione, la fondamentale novità introdotta dalla Corte in questa pronuncia consiste nell'aver individuato nella normativa speciale un vero e proprio divieto probatorio relativo ai presupposti dell'azione della polizia giudiziaria, e come tale, sanzionato dall'inutilizzabilità della prova eventualmente acquisita319: «l'argomentazione svolta poggia sul rilievo che dovendosi individuare quale presupposto

316Cass. sez. V 3 maggio 2003,in CED 225946

317 Cass. Sez. III, 28 gennaio- 13 aprile 2005 n. 13501

318 Opinione di G Barrocu, espressa in Le operazioni sotto copertura, pag. 181 319 A. Cisterna, La negativa conclusione dell'iter acquisitivo cancella le residue

ineludibile del sequestro probatorio il cd. fumus commissi delicti deve escludersene la sussistenza tutte le volte in cui l'attività investigativa o processuale che precede l'adozione della misura cautelare sia da stimarsi affetta da patologia probatoria indicata in via generale dall'art. 191 c.p.p»320. Con questa pronuncia, quindi, non solo i giudici di legittimità si sono discostati dal principio prevalentemente seguito del male captum bene retentum, ma sono giunti ad affermare che le iniziative investigative definibili come operazioni sotto copertura, qualora siano sprovviste della necessaria copertura giurisdizionale, siano del tutto «inidonee a determinare la validità di un qualsivoglia contesto conoscitivo afferente la verificazione del fatto di reato»321.

Le conclusioni a cui perviene la Corte nella sentenza Gallotti sono maggiormente aderenti ad un'idea garantista del sistema, in considerazione del fatto che l'ordinamento riconosce efficacia scriminante a condotte che costituirebbero reato, a patto che le stesse siano compiute nel rispetto dei limiti previsti dalla norma eccezionale che le disciplina322; nel momento in cui si dovesse verificare una violazione, di converso, le prove raccolte rientrerebbero nel divieto probatorio stabilito dall'art. 191 c.p.p e l'agente sotto copertura resterebbe esposto alle possibili sanzioni penali e disciplinari. A questo proposito, tuttavia, è necessario evidenziare la difficoltà di applicare una scissione fra l'attività illecita compiuta dall'agente sotto copertura e l'illecito dell'imputato sottoposto a giudizio: il discrimine in queste due fattispecie consiste proprio nel fatto che l'ufficiale di polizia non compie un reato indipendente, quale è nell'ipotesi classica la violazione di domicilio in una perquisizione non autorizzata. Quando l'attività venga svolta all'interno di un'operazione sotto copertura non specificamente sottoposta al controllo dell'autorità giudiziaria, il fatto compiuto dall'ufficiale di polizia giudiziaria non è più scriminato e lo stesso diviene necessariamente un compartecipe morale o materiale nel reato. In questa ipotesi appare allora evidente che non si tratta di distinguere se l'art. 191 c.p.p, nell'enunciare il divieto di 320 Cass. 21 ottobre 2003, in Dir. Giust. 2003, 41, 16

321 C. Di Bugno, in Commento all'art. 14 legge 269/1998, in Legisl. Pen. 1999 nn 1 e 2, pag. 148; nello stesso senso si esprime la pronuncia Cass. 28 maggio 2008, 2958

utilizzazione di quegli elementi probatori raccolti in violazione della legge, si riferisca o meno anche alla legge sostanziale, ma piuttosto di vietare che, paradossalmente, l'acquisizione probatoria diventi la causa stessa della commissione dell'illecito.

Quanto appena detto, ed in particolare il singolare e necessario rilievo per cui entrambe le contrapposte sentenze presentano un percorso ermeneutico perfettamente logico nel suo insieme, porta a considerare “il solco scavato nel sistema dalla normazione d'emergenza”323 in ambiti così delicati in cui il diritto sostanziale ed il diritto processuale si incrociano strettamente. La sottesa considerazione per cui, in fondo, tutto origina dalla mancanza di chiarezza circa la possibilità di attivare tali tecniche speciali di investigazione per soli fini processuali piuttosto che per soddisfare le esigenze preventive, la conseguente confusione a proposito dei margini operativi, superati i quali l'agente undercover debba considerarsi punibile, pur considerato il disposto del comma 1-bis dell'art. 9 L. 146/2006 introdotto con la L. 136/2010324, porta a concludere che, con tutta probabilità, in mancanza di un'iniziativa legislativa volta ad intervenire sulla materia in questione – in ossequio a quella particolare determinatezza che dovrebbe dominare le legislazioni speciali – anche un pur auspicabile intervento delle Sezioni Unite non sarà idoneo a risolvere, in via definitiva, le divergenze ermeneutiche evidenziate.

In conclusione, possiamo riflettere sul fatto che la risoluzione del dubbio tra i due orientamenti giurisprudenziali deve essere fondata sull’anticipazione del giudizio circa la ricorrenza dei reati tassativamente elencati, come vuole il testo normativo, al momento in cui l’attività investigativa eccezionale è autorizzata: solo questo è il momento in cui si dovrebbe riscontrare l’esistenza della notitia criminis relativa ai reati per cui è permesso compiere

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