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SERVIZI DI INTELLIGENCE ED OPERAZIONI UNDERCOVER: ENDIADI OD OSSIMORO?

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

E) SERVIZI DI INTELLIGENCE ED OPERAZIONI UNDERCOVER: ENDIADI OD OSSIMORO?

La L. 124/2007 detta alcune succinte disposizioni riguardanti la distinzione delle attività di intelligence rispetto a quelle, per così dire confinanti, svolte dalla polizia giudiziaria; in particolare, l'art. 23 comma 1 esclude che il personale appartenente ai servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica possa rivestire la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, così come quella di ufficiale o agente di pubblica sicurezza: tali qualità sono sospese durante il periodo di appartenenza al contingente speciale di cui all'art. 21 per coloro che le rivestono in base agli ordinamenti dell'amministrazione di provenienza. Ciò ricalca pressoché testualmente l'art. 9 L. 801/1977, significativamente introducendo anche l'esclusione della qualifica di ufficiale o agente di pubblica sicurezza per gli appartenenti alla polizia giudiziaria; la pur scarna disciplina è destinata ad abbracciare un tema di non poco momento, specie alla luce della crescente attribuzione di competenze investigative ai servizi di informazione e, contestualmente, all'innegabile incremento – in atto ed in prospettiva – delle attività riconducibili alla categoria dell'intelligence svolte quotidianamente dalle forze di polizia132.

La prima preclusione imposta dall'art. 23 comma 1 – ossia la non cumulabilità tra le qualifiche di appartenente ai servizi e di ufficiale o agente di polizia giudiziaria – risponde alla intuibile esigenza di evitare interferenze

131 v. G. Di Gennaro- La Greca, La questione droga, p. 310

132 Cfr. M.L. Di Bitonto, Raccolta di informazioni ed attività di intelligence, in AA. VV., contrasto al terrorismo interno ed internazionale, Giappichelli 2006, pag. 254 e ss; S. Gambacurta, I rapporti con gli altri soggetti, in C, Mosca- S.

Gambacurta- G. Scandone- M. Valentini, I servizi di informazione ed il segreto di Stato, pag. 287.

e sconfinamenti tra magistratura ed organismi di informazione e sicurezza, secondo la medesima logica sottesa all'art. 109 Cost.133.

L'inedito sbarramento alla possibilità di rivestire contestualmente lo status di appartenente ai servizi e di ufficiale o agente di pubblica sicurezza, non potendo essere ricondotto alla necessità di evitare straripamenti tra diversi poteri dello Stato, trova invece la propria giustificazione nell'esigenza di mantenere ferma la distinzione di funzioni e competenze dei due diversi comparti. Mentre, tuttavia, questa seconda preclusioni identifica più che altro una dichiarazione di principio -- posto che i successivi commi del medesimo art. 23 contemplano temperamenti e deroghe che limitano sensibilmente la portata della regola (nei commi da 2 a 5, infatti, l'art. 23 prevede la possibilità che, per lo svolgimenti di attività strettamente necessarie a una specifica operazione dei servizi di informazione per la sicurezza o volte alla tutela delle strutture e del personale del Distretto delle informazioni per la sicurezza (DIS), venga riconosciuta a singoli appartenenti ai servizi la qualifica di ufficiale o agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di prevenzione. Il potere di attribuzione della qualifica è riservato al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del direttore generale del DIS; l'attribuzione di questa qualifica deve essere comunicata immediatamente al Ministro dell'Interno, per le evidenti ragioni di coordinamento con le ordinarie attività di prevenzione svolte dalle forze di polizia che a tale organo fanno capo134) – la disciplina mantiene, invece, ben ferma la distinzione fra lo status di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria e quello di addetto ai servizi, figure che non possono mai essere sovrapposte.

Questa radicale incompatibilità sembra ispirata ad un duplice ordine di ragioni: innanzitutto l'esclusione della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria in capo agli appartenenti ai servizi di informazione impedisce forme di subordinazione rispetto alle direttive della magistratura, quindi garantendo l'autonomia di azione e di prospettiva di tali soggetti; in secondo luogo, e coerentemente con la ratio indicata, l'esclusione della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria fa sì che gli appartenenti 133 Così si esprime S. Gambacurta, op. cit. pag 287

134 Sull'argomento v. G. Guccione, §7 in Nuovi profili del segreto di stato e dell'attività di intelligence, Giappichelli 2010

ai servizi non possano usufruire dei poteri e delle facoltà riservati alla polizia giudiziaria (in particolare dalle norme del c.p.p.), e che peraltro, neppure possano ritenersi vincolati al rispetto delle forme e delle modalità operative dettate per lo svolgimento delle indagini penali: sul punto la dottrina più recente – superando un primo orientamento che tendeva a escludere la possibilità per gli appartenenti ai servizi di porre in essere attività analoghe a quelle riservata alla polizia giudiziaria135 – ha affermato che la separazione netta tra funzioni di polizia giudiziaria e appartenenza ai servizi di informazione non esclude che, pur non essendo tenuti all'osservanza delle norme dettate dal c.p.p per la formazione di atti utilizzabili nel procedimento, i servizi di informazione possano svolgere attività di contenuto non dissimile da quelle riservate alla polizia giudiziaria136.

L'esclusione della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria è destinata a svolgere una funzione, sia pure indiretta, di regolamento di confini tra attività di indagine penale ed attività di intelligence – attraverso la creazione di personale, competenze e modalità operative distinte – in quegli ambiti in cui la sovrapposizione di interventi si riveli nella prassi pressoché naturale; la rigida distinzione di funzioni viene peraltro bilanciata dall'attenzione riservata dal legislatore alla necessità di garantire, ove possibile, un passaggio continuo di informazioni tra organi di polizia e servizi.

Anzitutto è necessario dar conto di quanto previsto dall'art. 4 L. 124/2007, che attribuisce al DIS il ruolo di raccolta delle informazioni, delle analisi e dei rapporti provenienti dai servizi di informazione per la sicurezza, dalle Forze di polizia; coerentemente con l'impianto della novella, il flusso informativo considerato dal legislatore vede quali soggetti coinvolti i servizi e gli organi di polizia, anche quando operano sul fronte giudiziario- repressivo, senza intervento diretto dell'autorità giudiziaria, al duplice scopo di evitare ingerenze della magistratura sulle attività dei servizi ed eventuali condizionamenti sull'operato degli organi giudiziari da parte di questi ultimi. 135 Per questo orientamento dottrinale v. G. Cocco, I servizi di informazione e

sicurezza nell'ordinamento italiano, vol. I, CEDAM 1980, pag. 61

136 Su questo orientamento dottrinale v. M. L. Di Bitonto, Raccolta di informazioni e attività di intelligence, pag. 259 e ss; nonché A. Poggi, voce Servizi di

Come si è detto, uno dei principali corollari della perentoria esclusione della qualifica di ufficiale o agente di polizia in capo ai soggetti appartenenti alle agenzie per l'informazione e la sicurezza ed al DIS è costituito dalla loro sottrazione al controllo dell'autorità giudiziaria, ed in particolare, all'obbligo di riferire notizie di reato apprese nel corso delle attività istituzionali con i tempi e le modalità dettate dal codice di rito. In tale prospettiva, i commi 6 7 e 8 dell'art. 23 L. 124/2007 dettano una peculiare disciplina che gli appartenenti al sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica debbono osservare una volta appresa, nell'esercizio delle proprie funzioni, una notizia di reato, contemplando una deroga alla generale prescrizione di cui all'art. 331 c.p.p: a ben vedere, infatti, escludendo che i dipendenti dei servizi di intelligence possano assumere la veste di ufficiale o agente di polizia, la disposizione esenta tali soggetti dalla necessità di rispettare la disciplina codicistica concernente la trasmissione della notizia di reato all'autorità giudiziaria.

Nonostante la norma rechi un regime derogatorio rispetto a quello imposto dal codice di rito, occorre subito precisare che l'art. 23 prescrive agli appartenenti ai servizi un obbligo di denuncia il cui contenuto non si discosta da quello imposto agli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria; ciò fa sì che tali soggetti, ove giunti in possesso di elementi tali da far ritenere integrata una notitia criminis, non possano in alcun caso considerarsi esonerati dall'obbligo di denuncia: un'eventuale omissione in tal senso deve ritenersi, pertanto, penalmente sanzionata dall'art. 361 c.p137.

Ciò che contraddistingue la disciplina in esame non è il contenuto della comunicazione, quanto piuttosto l'individuazione dell'organo cui la stessa è rivolta: infatti non è l'autorità giudiziaria ma il direttore dell'agenzia o del DIS di appartenenza del funzionario che riscontri la notizia di reato; a loro volta, i direttori sono gravati dall'obbligo di informare, senza ritardo il Presidente del Consiglio dei ministri, nonché dal concorrente obbligo di comunicare l'esistenza della notizia di reato ai competenti organi di polizia 137 In questo senso v. E. Gallucci, La nuova disciplina dei servizi di sicurezza,

commento all'art. 23, in Legisl. Pen. 2007, pag. 754; S. Gambacurta, I rapporti con gli altri soggetti, cit. pag. 292

giudiziaria; infine, la trasmissione della notizia di reato agli organi di polizia giudiziaria può essere ritardata, a mente del comma 8 dell'art. 23, «su autorizzazione del Presidente del Consiglio, quando ciò sia strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali del sistema di informazione per la sicurezza».

La disciplina riassunta individua una procedura fortemente gerarchizzata, che trova applicazione ove si debbano gestire conoscenze che possono assumere rilevanza penale, acquisite durante il compimento di attività istituzionali demandate alle agenzie di intelligence; questa articolata procedura si inserisce in modo coerente nel sistema di informazione delineato dalla novella legislativa: la comunicazione agli organi d'indagine di eventuale notizie di reato potrebbe innescare interferenze fra attività concorrenti che insistono sullo stesso fenomeno sociale, condotte dagli organi di intelligence e dall'autorità giudiziaria secondo binari e prospettive diverse. Gli inconvenienti generati dalla potenziale sovrapposizione fra i due tipi di attività sono difficili da prevedere, ragion per cui il legislatore ha preferito approntare un regime che, apparentemente farraginoso, garantisce il controllo del capo di governo sui rapporti tra servizi ed autorità giudiziaria.

Altrettanto coerente con la nuova disciplina del sistema di informazione per la sicurezza appare la previsione secondo cui il destinatario della notizia di reato proveniente dalle agenzie di informazione non è direttamente il pm, ma la polizia giudiziaria; se il percoso della notizia di reato all'interno dell'apparato dei servizi pare giustificato da oggettive esigenze di coordinamento e di tutela della attività svolte da quegli organi, più delicata si presenta la questione relativa al potere di ritardare la comunicazione nei confronti della polizia giudiziaria riconosciuto al Presidente del Consiglio dei ministri: in proposito, è evidente come la principale ratio della creazione della complessa gerarchia nella gestione della notizia di reato vada identificata proprio nell'esigenza di consentire agli organi di vertice dei servizi un preventivo vaglio delle possibili ripercussioni cui la trasmissione della notitia criminis potrebbe dar luogo in ordine alle finalità ed agli obiettivi che in concreto gli organi di intelligence si siano prefissati.

Quanto ai limiti ed alle modalità secondo cui il potere del Presidente del Consiglio può essere esercitato, si impongono alcune osservazioni; in primo luogo, affinché tale organo possa ritenersi legittimato a ritardare la comunicazione della notizia di reato agli organi di indagine, occorre che sussista la stretta necessità di celare dette informazioni per il perseguimento delle finalità istituzionali del Sistema di informazione per la sicurezza: si tratta quindi di un potere da utilizzare in termini assai rigorosi e in casi tendenzialmente marcati dai caratteri dell'eccezionalità rispetto all'ordinaria tempestiva comunicazione delle notitiae criminis alla polizia giudiziaria. In secondo luogo è dirimente considerare che in un sistema quale quello del trattamento delle notizie di reato l'autorizzazione del Presidente del Consiglio determina la sostanziale impossibilità di censurare il comportamento omissivo dei soggetti altrimenti tenuti a trasmettere la notizia di reato all'autorità giudiziaria. Infine, una questione di non poco conto inerisce al fatto che il legislatore non abbia previsto alcun limite temporale massimo in relazione al ritardo nella comunicazione della notizia di reato agli organi di indagine: tale carenza normativa apre spazi potenzialmente assai critici nella disciplina in oggetto, consentendo che, senza immediato controllo da parte di organi terzi, possa essere disposto il rinvio sine die della comunicazione della notizia di reato138, con la possibile conseguenza di renderne definitivamente impraticabile la concreta persecuzione.

Quanto analizzato brevemente sul tema porta a dover sottolineare come le attività di intelligence, da un lato, e le operazioni svolte dall'autorità giudiziaria, dall'altro, debbano ritenersi come due meccanismi nelle mani di due ben distinti e separati soggetti (rispettivamente l'uno esecutivo, l'altro giudiziario), ma che, possono – e dovrebbero, se riteniamo di vivere in un ordinamento evoluto ed all'avanguardia – arrivare a comunicare ed interagire, per arrivare alla finalità comune ad ogni ordinamento politico e giudiziario: la prevenzione della commissione di possibili reati al fine di proteggere la pubblica sicurezza.

138 In dottrina viene osservato come la natura eccezionale della previsione imponga che il ritardo vada “contenuto nel tempo strettamente necessario per la salvaguardia delle finalità istituzionali”, cit. F. Sommovigo, in Nuovi profili del segreto di stato e dell'attività di intelligence, pag. 251

Sulla particolare vicenda dei servizi di intelligence, va notato infine, che recentemente abbiamo assistito ad un intervento degno di nota da parte della CEDU e destinato a rivestire un ruolo importante per futuri procedimenti in materia: mi sto riferendo alla sentenza 25 luglio 2017, M. contro Olanda139, caso chiave che analizzerò in maniera sintetica in quanto ciò che viene ad avere un peso non indifferente è la motivazione della Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Nel 2004 M. era stato accusato di aver trasmesso segreti di stato a persone non autorizzate, inclusi individui sospettati di terrorismo; prima del procedimento penale, l'agenzia dei servizi segreti per cui lavorava il signor M., AIVD, ha informato il soggetto che se avesse discusso di questioni coperte dall'obbligo di riservatezza con chiunque, compreso il suo avvocato, ciò avrebbe costituito un nuovo reato, punibile penalmente, ed inoltre, erano state poste delle forte limitazioni circa l'accesso a particolari documenti, anche nei confronti del suo avvocato, mentre invece altri documenti che sono stati messi a disposizione del soggetto e dei suoi difensori sono stati precedentemente modificati in maniera importante. Durante il processo, i difensori di M. hanno protestato fortemente per l'impatto di tali restrizioni poste a discapito dell'efficace difesa giudiziale che meritava il soggetto, prima tra tutte quella inerente la possibilità di scambiarsi comunicazioni con il loro assistito: così l'agenzia di intelligence olandese ha concesso al soggetto un'esenzione temporanea dal suo obbligo di riservatezza consentendo così a M. di fornire ai propri avvocati i materiali strettamente necessari ed indispensabili per la sua difesa. Nonostante questo il 14 dicembre 2005 il Tribunale di Rotterdam ha condannato M. a 4 anni e sei mesi di reclusione; il soggetto si è rivolto, allora, alla Corte d'appello dell'Aia lamentando che non è gli è stato possibile fornire i nomi dei dipendenti dell'agenzia di intelligence (AIVD) che avrebbe voluto presentare come testimoni in giudizio: difatti, il personale dell'agenzia che si è presentato come testimone – con voci ed aspetto fisico celato per proteggere la loro identità – non ha dovuto rispondere alle domande della difesa che avrebbero potuto danneggiare la riservatezza del lavoro di intelligence dell'agenzia 139 Il testo di alcuni passi della sentenza è stato reperito su www.liberties.eu

stessa; il 1 marzo 2007 la Corte d'appello riformula la condanna in 4 anni di reclusione, e, successivamente, la Corte Suprema il 7 luglio 2009 ha condannato in maniera definitiva M. a 3 anni e dieci mesi di reclusione. Così M. decide, insieme ai suoi difensori, di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo e presenta ricorso il 7 gennaio 2010: la Corte di Strasburgo emette una sentenza emblematica e complessa allo stesso tempo, in quanto analizza punto per punto le richieste del ricorrente e non sempre arriva alla medesima conclusione. In particolare, per quanto riguarda la contestazione del fatto che l'agenzia abbia messo a disposizione soltanto alcuni documenti e solo quelli precedentemente modificati dall'agenzia stessa, la Corte ha dichiarato all'unanimità che l'aver modificato taluni documenti e l'averne trattenuti altri non costituisse in alcun modo violazione dell'art. 6 § 1 e 3 della Convenzione sui Diritti dell'Uomo, in quanto «le copie prodotte ed autenticate da parte dell'agenzia dei documenti sensibili non hanno influito sul diritto del ricorrente ad un ricorso effettivo poiché le informazioni contenute in tali atti erano da considerarsi sufficienti per la difesa»140. La Corte arriva ad un esito analogo, ossia verso il diniego dell'esistenza di una violazione dell'art. 6 § 1 e 3 CEDU, circa le modalità con le quali si sono svolti gli esami dei testimoni: i giudici rilevano sì che la testimonianza è stata resa in forma anonima ed in maniera protetta, ma sottolineano anche come le dichiarazioni testimoniali non sono state assolutamente determinanti ai fini della condanna, in quanto «la prova – su cui la Corte d'appello ha basato la propria condanna e consistente in 53 diversi argomenti di prova – conteneva numerosi fatti che collegavano direttamente il soggetto M. ai documenti trapelati ed alle persone non autorizzate e trovate in possesso di detti documenti»141: così la Corte di Strasburgo ha negato che la Corte d'Appello abbia proceduto in maniera arbitraria od irragionevole.

Di tutt'altro avviso risulta l'orientamento della Corte circa le pesanti limitazioni e restrizioni che hanno subito le comunicazioni tra gli avvocati di M. ed il loro assistito: infatti, i giudici di Strasburgo ritengono questa 140 Parole di P. Zoerle, in Monitoraggio Corte EDU Luglio-Agosto 2017, a cura di F.

Viganò e F. Zacché, in www.penalecontemporaneo.it

141 Parole di N. Kesar, in Agente di sicurezza olandese accusato di aver fatto trapelare segreti di stato vince appello a Strasburgo, in www.liberties.eu

interferenza tra l'imputato ed il proprio difensore un mezzo che ha irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del soggetto, in quanto «il ricorrente non era stato posto nella condizione di valutare con l'ausilio del proprio avvocato, gli effetti della divulgazione delle informazioni riservate»142 e, a sottolineare ancora di più questa circostanza, i giudici ritengono che «senza un parere professionale, non si può pretendere che una persona accusata di gravi reati sia in grado di soppesare i benefici del rivelare completamente i documenti in suo possesso al proprio avvocato contro il possibile e conseguente rischio di ulteriori procedimenti penali»143. Per queste ragioni la Corte ha rilevato la violazione del principio del giusto processo, sancito nell'art. 6 §1 e 3 CEDU, e ha accolto il ricorso del soggetto stabilendo che «a new trial or the reopening of the domestic proceedings, at the request of the applicant, represents an appropriate way to redress the violation»144.

Da questa breve analisi di questo particolare caso concreto, è facilmente ravvisabile la difficoltà insita nel giudicare adeguatamente fattispecie inerenti i servizi di intelligence ed il segreto di Stato, dal momento che, ogniqualvolta si chiama a difesa del silenzio di un testimone o dell'inutilizzabilità di un documento la tutela della riservatezza per finalità di sicurezza pubblica, può venire interessato un principio fondamentale e posto al centro di ogni ordinamento che vuole essere ritenuto moderno: il principio ad essere sottoposto ad un equo processo, sancito a chiare lettere nell'art. 6 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo, ed anche uno dei suoi tanti corollari, ossia il diritto di difesa in quanto, come abbiamo visto in questo caso, può essere messo a dura prova.

142 P. Zoerle, cit., in Op. cit.

143 N. Kesar, cit., in www.liberties.eu

144 Letteralmente estrapolato dal comunicato stampa della Corte sul caso in questione, in www.hudoc.echr.coe.int , “un nuovo processo o la riapertura del procedimento nazionale, su richiesta del ricorrente, rappresentano un modo appropriato per risolvere la violazione”

F) ANALISI DELLA L. 124/2007: IN PARTICOLARE ARTT. 17,18 E

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