• Non ci sono risultati.

OMISSIONE E RITARDO DEGLI ATTI DI UFFICIO: ART 98 D.P.R 309/

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

D) OMISSIONE E RITARDO DEGLI ATTI DI UFFICIO: ART 98 D.P.R 309/

Le norme tese a disciplinare il ritardo o l'omissione dei provvedimenti imposti dalla legge risultano di fondamentale importanza, sia al fine di ottenere un apprezzabile risultato investigativo nel complesso delle operazioni undercover, sia per identificare correttamente le rispettive attribuzioni dei soggetti nella dinamica delle indagini preliminari.

Già si è detto come l'omissione ed il ritardo degli atti d'ufficio del pm e della polizia giudiziaria rientrino tra quegli strumenti investigativi non convenzionali caratterizzati dalla posizione passiva assunta dai soggetti protagonisti dell'indagine rispetto all'evento delittuoso; queste attività, tuttavia – al pari delle tecniche cd. attive, concernenti una partecipazione diretta nel momento commissivo del reato – danno origine a non pochi dubbi in relazione ai rapporti tra autorità giudiziaria e pm competente; conseguentemente si richiede all'interprete un'analisi particolarmente rigorosa della disciplina de qua in ragione del suo carattere derogatorio rispetto al

disposto costituzionale sull'obbligatorietà di esercizio dell'azione penale. La ratio di queste norme di rottura – che trovano una copertura costituzionale nel principio del buon funzionamento della pubblica amministrazione – risiede nell'esigenza di evitare che la rigida applicazione delle norme procedurali pregiudichi il proficuo esito di lunghe e complesse operazioni investigative: a questo proposito, una parte della dottrina, in particolare I. Caradonna, ritiene che l'applicazione delle ordinarie norme procedurali potrebbe arrestare l'accertamento delle responsabilità penali al livello della manovalanza delle associazioni criminali.

La prima disciplina in ordine cronologico ad aver introdotto tali strumenti investigativi nel nostro ordinamento è contenuta nell'art. 98 D.P.R. 309/1990, emanato per adeguare la normativa interna alle statuizioni della “Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffito illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope” adottata a Vienna il 20 dicembre 1988, ratificata dall'Italia con L. 5 novembre 1990, n°328. Proprio in virtù del carattere innovativo di questa normativa, risulta utile procedere ad un'analisi della stessa nonostante la recente abrogazione ad opera del comma 2 dell'art. 8 L. 136/2010.

L'art. 98 D.P.R 309/1990 comma 1 consentiva all'autorità giudiziaria di ritardare con decreto motivato, l'emissione o l'esecuzione di provvedimenti di «cattura, arresto o sequestro» al fine di acquisire rilevanti elementi probatori ovvero l'individuazione o la cattura dei trafficanti di droga. La norma si riferiva genericamente alla 'autorità giudiziaria' così da lasciar suppore che il decreto motivato di autorizzazione dovesse essere emesso rispettivamente dal giudice o dal pm a seconda dell'atto. Ad avviso di alcuni si doveva trarre la conclusione che “per la custodia in carcere e per il sequestro preventivo fosse necessario l'intervento del giudice – su iniziativa del pm, eventualmente contestuale alla richiesta di disporre la misura cautelare – mentre per il sequestro probatorio il pm è autosufficiente”125.

In realtà, ad un'attenta lettura delle norme in materia di misure cautelari si evince che il procedimento è caratterizzato dall'iniziativa discrezionale del 125 Parole di G. Illuminati, Aspetti processuali, in La riforma della legislazione

penale in materia di stupefacenti, a cura di F. Bricola- G. Insolera, Padova 1991, pag. 215

pm: la direttiva 59 della legge delega 81/1987 gli attribuisce un potere- dovere di richiedere una misura cautelare previa valutazione dell'intero quadro investigativo e lo stesso art. 272 c.p.p, in esecuzione di tale direttiva, utilizza l'espressione «possono essere disposte» nel disciplinare in generale tutte le misure cautelari personali. La possibilità del pm di effettuare una scelta – seppur legislativamente orientata – rende così sostanzialmente inutile l'adozione di un provvedimento formale che giustifichi il ritardo nella presentazione della richiesta, potendo lo stesso astenersi senza subire alcun controllo sulla legittimità della propria omissione. Un'eccezione a tale regola può rinvenirsi nel disposto dell'art. 275 comma 3 c.p.p, in cui il legislatore ha imposto una presunzione iuris tantum di sussistenza di tutte le esigenze cautelari in presenza di gravi indizi di colpevolezza, quando si proceda per reati di criminalità organizzata di stampo mafioso, e considerando altresì la custodia in carcere come l'unica misura idonea a soddisfare queste esigenze. In tale ipotesi, quindi, il pm era ed è tutt'ora certamente tenuto ad emettere il decreto motivato in cui saranno indicate le esigenze investigative che giustificano la mancata richiesta di custodia in carcere, così come il decreto si renderà necessario in tutti quei casi nei quali il pm abbia già presentato la richiesta di un provvedimento cautelare al g.i.p e la necessità del differimento sorga solo successivamente all'emissione dell'ordinanza applicativa della misura.

Però, va detto come il comma 1 dell'art. 98 D.P.R. 309/1990 utilizzava una terminologia inadeguata ne riferirsi ai provvedimenti di cattura ed arresto, alludendo chiaramente ai mandati di cattura ed arresto che – disciplinati sotto la vigenza del codice Rocco – non esistono più con tale denominazione. Se per quanto riguarda la cattura non risultava difficile rifarsi alla nozione, rimasta invariata nel nuovo codice, che si riferisce all'atto esecutivo dell'ordinanza che dispone la custodia in carcere, per quanto attiene all'arresto non vi è provvedimento dell'autorità giudiziaria compatibile con tale atto: difatti, qualora si volesse intendere con tale espressione l'istituto dell'arresto in flagranza, questo non può essere disposto dal magistrato esseondo atto esclusivo della polizia giudiziaria.

Da questa interpretazione e dalla mancata menzione esplicita del fermo si era tratta, in dottrina, la conclusione per cui non sarebbe stato possibile per il pm ritardare l'emissione del provvedimento di cui all'art. 384 c.p.p; a ben vedere l'assenza dell'istituto del fermo nell'elenco di cui al comma 1 dell'art. 98 D.P.R 309/1990 non appariva decisiva per determinare l'impossibilità del pm di ritardare l'adozione di questo provvedimento precautelare. Altra parte della dottrina aveva infatti sottolineato come il fermo di indiziato di delitto dovesse essere assorbito nella nozione di “cattura”126, sia per evitare che risultasse irragionevolmente escluso dall'ambito di applicazione dell'art. 98 D.P.R. 309/1990, sia alla luce di un'interpretazione evolutiva della norma che tenesse conto dei successivi interventi legislativi in materia di operazioni undercover: questa interpretazione è, infatti, confermata dalle successive norme emanate in materia, in particolare dall'art. 9 L. 146/2006 in cui viene indicato espressamente il fermo di un indiziato di delitto fra gli atti differibili con decreto motivato dal pm.

Il presupposto finalistico indicato dalla norma nell'introdurre quella che, a tutti gli effetti, doveva essere considerata una speciale causa di giustificazione (senza considerare l'eventualità che il mancato compimento dell'atto dovuto possieda le caratteristiche di un più grave reato, ad ogni modo, in mancanza della suddetta norma, i soggetti agenti andrebbero incontro ad una possibile incriminazione per rifiuto di atti d'ufficio, ex art. 328 c.p.), la quale consiste nella necessità di acquisire rilevanti elementi probatori ovvero nell'individuazione o nella cattura dei responsabili dei delitti di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, oppure di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. È stato segnalato come non sia facile determinare il reale valore da attribuire alla qualifica di rilevante, necessaria per determinare la fattispecie applicativa: si può escludere, anche per la sua collocazione nel contesto, che il termine sia impegnato in un'accezione tecnica; in tal senso infatti la rilevanza è un connotato essenziale della prova, che rimane implicato in un riferimento al thema probandum. Inteso nel significato 126 G. Ambrosini, in La riforma della legge sugli stupefacenti 1991 pag. 130 precisa

come il pm in particolare dopo aver disposto il fermo ne possa ritardare l'esecuzione

comune di importante, d'altro canto, l'attributo non sembra dotato di specificità tale da sottrarsi a valutazioni soggettive ed opinabili, col risultato che qualsiasi elemento di prova da acquisire può essere legittimamente considerato rilevante.

Una possibile interpretazione idonea a restringere l'area delle fattispecie in cui è possibile ricorrere a tale strumento investigativo si poteva ottenere valutando il disposto dell'art. 98 alla luce di quella che è stata l'applicazione tecnico-operativa dell'art. 97 dello stesso D.P.R. 309/1990. Difatti non Il può negare né che le due norme siano strettamente legate né che, nella maggior parte dei casi, la necessità dell'omissione o del ritardo di atti dovuti sorga all'interno di operazioni undercover specificamente pianificate. Occorre allora ricordare che la Circolare della Direzione centrale per i servizi antidroga aveva precisato come la tecnica di acquisto simulato dovesse essere utilizzata nell'impossibilità di addivenire ad un apprezzabile risultato investigativo utilizzando tecniche di indagine convenzionali. Va da sé che anche il ritardo o l'omissione negli atti dovuti debba tutt'ora essere visto come una scelta eccezionale compiuta in ragione della particolare difficoltà nel rinvenire altrimenti le prove del fatto, ovvero qualora l'intervento danneggi il risultato di complesse e delicate indagini, anche internazionali, arrestando l'accertamento delle responsabilità penali al livello della manovalanza delle associazioni criminali.

Per quanto attiene il profilo soggettivo, la norma utilizzava un'espressione impropria anche nell'indicare come fine ultimo del ritardo l'individuazione o la cattura dei responsabili del traffico illecito: è evidente che in tale fase investigativa non ci potrà essere nessun addebito di responsabilità, ma ci si dovrà riferire a soggetti gravati da indizi di colpevolezza.

Il comma 2 dell'art. 98 D.P.R. 309/1990 disciplina, inoltre, l'omissione ed il ritardo degli atti di propria competenza da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, nonché le autorità doganali. Questo secondo ordine di ipotesi riguarda i casi in cui gli organi di polizia giudiziaria operino prima dell'assunzione delle indagini da parte del pm; la polizia giudiziaria, così, trovandosi ad operare al di fuori dell'intervento e della direzione del pm aveva la facoltà di ritardare od

omettere non gli atti espressamente indicati nel primo comma, ma più genericamente, gli atti di rispettiva competenza. Si deve desumere quindi che fossero oggetto di intervento sia gli atti suscettibili di assunzione da parte della polizia giudiziaria, come l'arresto, il sequestro ed il fermo, sia ulteriori atti quali le pequisizioni, i controlli e le ispezioni, gli accertamenti urgenti e quelli relativi all'identificazione dell'indiziato, le sommarie informazioni; va tuttavia precisato che, considerati gli ampi margini di discrezionalità investigativa di cui è dotata la polizia giudiziaria, il disposto del secondo comma si rendeva necessario esclusivamente per giustificare il mancato arresto obbligatorio in flagranza, ex art. 380 c.p.p.

Viene osservato, inoltre, come la possibilità che l'art. 98 accordava in relazione all'arresto in flagranza producesse una «consistente distorsione dell'istituto processuale»: la flagranza costituisce un elmento fisiologico dell'istituto, che se eseguito in un momento successivo necessariamente ne prescinde127.

Per tale ragione, si è ritenuto che una volta omesso l'arresto e cessata la situazione di flagranza, l'atto non potrebbe più compiersi. In senso contrario si era espressa la giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto che l'arresto differito sia consentito, anche dopo che lo stato di flagranza sia tecnicamente esaurito, e, in particolare nei reati cd. a carattere permanente anche quando la permanenza stessa sia venuta a cessare128.

Ciò detto, occorre precisare come il potere della polizia giudiziaria di omettere o ritardare gli atti di propria competenza non sia, ad ogni modo, dotato di carattere originario: vale a dire che, il legislatore le ha attribuito tale facoltà per evitare che la mancata assunzione del ruolo direttivo del pm – ma più di frequente la possibilità che la necessità del differimento sorga solo nel corso dell'operazione – possa pregiudicare il risultato dell'investigazione 127 al riguardo, F. Palazzo, in Consumo e traffico di stupefacenti, pag. 239 ritiene

impossibili omissioni di atti idonee ad introdurre in maniera surrettizia una sorta di discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale, in contrasto con il principio di obbligatorietà costituzionalmente stabilito. In realtà, l'omissione consentita alla polizia giudiziaria riguarda esclusivamente gli atti irripetibili, mentre non viene estesa al dovere di dar corso alle necessarie denunce e segnalazioni, cosicché, per esempio, la polizia giudiziaria potrà omettere un arresto in flagranza, ma dovrà comunque riferire al pm la relativa notizia di reato.

undercover: nonostante la garanzia derivante dal controllo dell'autorità giudiziaria è stato osservato come «la disposizione non è esente da dubbi di costituzionalità, quanto meno quando sia necessario acquisire rilevanti elementi probatori, perché l'apparente favor libertatis è in realtà finalizzato all'indebolimento degli strumenti difensivi della persona sottoposta alle indagini. Di fatto la normativa esaminata in tema di ritardo nell'esecuzione di provvedimenti limitativi della libertà personale ha la funzione di consentire una certa libertà di forme per la polizia giudiziaria e il pm, così da sfuggire alle ordinarie regole in tema di fermo ed arresto[…] Inoltre i dubbi di legittimità prima espressi si moltiplicano a causa della delega indeterminata alla polizia giudiziaria e doganale, che allontana il momento di conoscenza 'legale' dell'esistenza delle indagini nei confronti di un determinato soggetto, mentre favorisce il pubblico ministero, il quale rimane gestore dell'indagine»129.

A riprova della volontà legislativa di conferire la disponibilità di un così delicato potere al pm, il secondo comma dell'art. 98 imponeva alla polizia giudiziaria di dare immediato avviso, anche telefonico (il riferimento al mezzo telefonico va inteso come esemplificativo di cosa il legislatore ha voluto intendere per “immediato avviso”: e, riportata ai giorni nostri con la diffusione del servizio di telefonia mobile, sarà quanto mai improbabile ipotizzare una fattispecie in cui la polizia giudiziaria operante non abbia la possibilità di trasmettere tempestivamente la comunicazione), all'autorità giudiziaria nonché di trasmetterle un motivato rapporto entro le successive quarantotto ore. Inoltre, al fine di consentire il necessario coordinamento anche in ambito internazionale la norma prevedeva che l'avviso dovesse essere immediatamente trasmesso alla Direzione centrale per i servizi antidroga.

Ad ulteriore conferma del potere spettante in materia all'autorità giudiziaria, vi era una particolarità: l'esplicita possibilità del pm di “disporre diversamente”, peraltro non riproposta nelle leggi disciplinanti le operazioni sotto copertura per ulteriori reato; tale inciso appare, tuttavia, superfluo se 129 Con queste parole si è espresso G. Ambrosini, in La riforma della legge sugli

viene considerato come il pm, nell'ambito dei suoi poteri direttivi, abbia comunque la facoltà di imporre alla polizia giudiziaria gli atti investigativi dovuti.

L'eventuale violazione delle norme relative alla comunicazione del differimento al pm può avere natura oggettiva o soggettiva, così come diversa può essere la sua intensità. Tale violazione, secondo la gravità che assume, è stata ritenuta fonte di responsabilità disciplinare o penale per rifiuto di atti d'ufficio. La Corte di Cassazione aveva ribadito come la disposizione dell'art. 98 «vada interpretata, attesane l'eccezionalità, in maniera rigorosa: è pertanto indispensabile che, come previsto dalla norma citata, l'autorità operante informi immediatamente, anche a mezzo del telefono, sia l'autorità giudiziaria che il Servizio centrale antidroga»130. In tale fattispecie la Corte aveva ritenuto non operante la speciale causa di giustificazione di cui all'art. 98 in quanto l'informazione al servizio centrale antidroga era stata del tutto omessa, mentre quella al pm era stata trasmessa solo la mattina successiva, in relazione a fatti avvenuti durante la notte: per ciò che attiene al termine di ventiquattro ore entro cui la polizia giudiziaria deve porre l'arrestato a disposizione del pm ed il connesso termine per la convalida dell'arresto, entrambi decorrono dal momento in cui l'arresto è stato effettivamente eseguito e non da quello in cui sarebbe potuto essere effettuato.

Tuttavia, pur essendo chiara la funzione dell'informativa, volta cioè ad assicurare un tempestivo controllo dell'operazione ed eventualmente ad impartire direttive diverse, non si può escludere che l'avviso resti senza immediata risposta. In tal caso gli ufficiali di polizia, od i funzionari dell'autorità doganale potevano proseguire nella loro operazione mantenendo l'omissione ovvero continuando a ritardare l'atto, finché lo ritenevano opportuno. L'avviso, infatti, non è equiparabile ad una richiesta di autorizzazione poiché anche se necessariamente immediato, non è volto a legittimare un'attività compiuta in situazioni di urgenza, ma integra i presupposti di un'operazione attribuita all'ufficiale di polizia giudiziaria ex lege: meglio quindi configurarlo come una richiesta di ratifica del proprio 130 Cass. 11 agosto 2000, in Cass.pen. 2001

operato che, ove non formalmente data, è desunta dal silenzio dell'autorità giudiziaria131.

E) SERVIZI DI INTELLIGENCE ED OPERAZIONI UNDERCOVER:

Documenti correlati