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PROVE ILLECITE, PROVE ILLEGITTIME ED ATTIVITÀ SOTTO COPERTURA

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

L) PROVE ILLECITE, PROVE ILLEGITTIME ED ATTIVITÀ SOTTO COPERTURA

Partendo dal presupposto che all'interno di un'operazione sotto copertura la provocazione al reato possa pervenire solamente dallo Stato, spesso ci si è chiesti quale sanzione ebba avere tale attività quando venga posta in essere al di fuori dei limiti legislativamente imposti: la problematica in questione verte sulla possibile ammissione al processo delle cd. “prove illecite” ovvero, in alternativa, l'accettazione tacita che un reato oramai accertato possa restare impunito.

La dottrina, già sotto la vigenza del codice Rocco, ha classificato i vizi patoogici afferenti le prove in due grandi categorie: da una parte le prove illecite, ossia quelle prove che violano una norma penale sostaziale, o meglio quando la commissione di un reato si inserisce nell'iter che permette di ammettere al processo una determinata prova; dal'altra parte abbiamo le prove illegittime, ossia quelle che presentano un vizio tale per cui nel procedimento di ammissione della prova sia ravvisabile una violazione di una norma processuale281.

In mancanza di un'espressa indicazione legislativa, nel codice Rocco, vi fu un acceso dibattito tra chi, l'opinione dominante282, sosteneva che l'ammissibilità delle prove dovesse essere giudicata in base alla legge processuale – poiché solo una falsa prospettiva avrebbe suggerito di ritenere inammissibili le prove ottenute o formate con un'azione illecita: infatti veniva sostenuto a più riprese che «per quanto la si cerchi riuscirà impossibile rintracciare nel nostro codice una norma che imponga d'escludere, ed in ogni caso, ignorare le prove ottenute con un'azione illecita: le qualifiche di ammissibilità e rilevanza appaiono formulate in base a criteri autonomi, endoprocessuali, fuori d'ogni riferimento ai paradigmi del diritto sostanziale»283. In aggiunta, sempre secondo questa tesi le qualifiche di ammissibilità e rilevanza non potevano 281 Sulla distinzione vedi F. Cordero, Prove illecite, in Tre studi sulle prove penali,

Milano 1963, pag. 147; più recente, K. Rogall, Questioni fondamentali in tema di divieti probatori, in Ind. Pen. 1998, 1080

282 Tra cui F. Cordero, Dialogo sulle prove, in Jus 1964, 35 283 Cit. F. Cordero, Prove illecite, pag. 149

essere dedotte dai principi costituzionali in quanto le norme della Costituzione rappresentano il metro in grado di valutare le leggi comuni, ma spetta alle leggi comuni del processo stabilire l'ammissibilità o meno delle prove284. Per riassumere i concetti sostenuti da questo filone dottrinale, veniva affermato che per decidere sulla validità dell'acquisizione probatoria bisognava riferirsi al cd. “potere di apprensione coattiva da parte dell'organo giudiziario”: per meglio comprendere questa fattispecie basti pensare all'ipotesi di un sequestro probatorio eseguito in conclusione di una perquisizione illegittima e, «la chiave sta nel vedere se il giudice avrebbe potuto ordinare il sequestro: nell'ipotesi affermativa la prova risulta ammissibile perché, di fatto, l'esito non eccede la misura del legittimamente conseguibile; e se invece il potere del sequestro non compete neppure al giudice, vale la conclusione opposta […] Ammesso che l'ausiliare si sia impossessato illegittimamente della prova, l'acquisizione da parte del giudice – il quale avrebbe potuto disporre il sequestro – interrompe la sequela: l'atto del funzionario di polizia era e resta illecito, ma, il giudice validamente può disporre della prova dal momento che, nell'acquisirla, agisce secondo la misura dei suoi poteri: il qual concetto affiora immaginosamente dalla formula latina 'male captum bene retentum'»285.

In opposizione all'opinione dominante finora descritta, vi era chi286, criticando radicalmente la ricostruzione dottrinale maggioritaria, sosteneva che «il principio del libero convincimento del giudice non è vincolato ad un sistema di prove legali […] ma non significa principio per cui il giudice non è vincolato alla legalità nella scelta delle prove e nella loro assunzione […] qualora si debba riconoscere che una prova è stata illecitamente ottenuta dall'organo di giustizia […] questa deve considerarsi illegale: e se è illegale non può essere utilizzata»287. In aggiunta a questo, i sostenitori di questo filone interpretativo ricavavano dall'art. 13 Cost. un divieto di ingresso delle prove illecite nel processo penale: in particolare veniva affermato che, a norma di tale disposizione legislativa gli atti lesivi della libertà personale, 284 Cit. F. Cordero, in op. cit., pag. 153

285 Cit. F. Cordero, in Procedura Penale, 9° ed. Milano 1987, pag. 926 286 Tra tutti emergono P. Nuvolone e G. Ubertis

287 P. Nuvolone, Le prove vietate nel processo penale nei paesi di diritto latino, in Riv. Dir. Proc. 1966, pag. 448 e 473

oltre ad essere revocati di diritto, restavano privi di ogni effetto288; da ciò si arrivava alla conclusione che la norma voglia configurare un vero e proprio divieto circa la possibilità di attribuire rilevanza ad elementi di prova ottenuti con mezzi illeciti289.

Va sottolineato come, negli anni immediatamente successivi, viene alla luce una giurisprudenza costituzionale in merito alla questione della rilevanza delle prove illecite nel processo penale; la Corte – pur dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale290, in relazione agli artt. 15 e 24 Cost., dell'art. 226 comma 4 c.p.p abr. – sul tema delle intercettazioni telefoniche assunte senza previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, aveva posto in evidenza come «il principio enunciato dal comma 1 dell'art. 15 Cost. sarebbe gravemente compromesso se a carico dell'interessato potessero valere, come indizi o prove, intercettazioni telefoniche assunte illegittimamente, senza previa motivata autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria. Se ciò avvenisse, un diritto 'riconosciuto e garantito' come inviolabile dal Testo Costituzionale sarebbe davvero esposto a gravissima menomazione»291. Così la Corte di legittimità – partendo dal presupposto che in questi casi non avremmo solo un contrasto con la legge penale, ma anche la lesione di un bene costituzionalmente garantito – aveva enunciato un principio di carattere più generale in merito alla problematica delle prove illecite: stabilendo che «le attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività, costituzionalmente illegittime, abbia subito»292; inoltre sul punto va ricordato come, sulla scia di questa pronuncia della Corte costituzionale, la giurisprudenza di merito era orientata a considerare inutilizzabili le prove raccolte in violazione di diritti fondamentali293, come ribadito soprattutto in relazione al dibattuto problema dell'acquisizione dei tabulati telefonici. Così, con la deduzione dall'art. 15 Cost. di uno specifico divieto di utilizzazione, è 288 V. Vigoriti, Prove illecite e Costituzione, in Riv. Dir. Proc. 1968, 71

289 M. Cappelletti, Processo ed ideologie, Bologna 1969, 112

290 Corte cost. 6 aprile 1973, n. 34, in Giur. Cost. 1973, 316 con nota di V. Grevi 291 V. Grevi, Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte costituzionale in tema di

intercettazioni telefoniche, in Giur. Cost. 1973, 324 292 Corte cost. 6 aprile 1973, cit., 338

stata elaborata la categoria delle cd. prove incostituzionali, cioè quei particolari elementi ricavati attraverso un'attività svolta in dispregio dei fondamentali diritti dei cittadini, i quali vengono garantiti nella Costituzione; con ciò, si vuole affermare che nella categoria delle prove vietate dalla legge debbano in primo luogo rientrare tutte le prove la cui acquisizione comporti la lesione di disposizioni costituzionali inerenti ai diritti di libertà individuale294.

Il dibattito dottrinale ora analizzato, ha indubbiamente avuto una notevole influenza sull'emanazione delle disposizioni inerenti l'inutilizzabilità nel nuovo codice di rito: la sua novità consiste nell'aver inserito – all'interno del libro terzo, quello dedicato alle prove – l'art. 191, il quale contempla espressamente l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge: in dottrina, inoltre, si afferma che la ratio della norma dovrebbe essere quella di ovviare alle difficoltà che produce l'applicazione dello schema delle nullità per valutare la legittimità di un'acquisizione probatoria295. Dubbi permangono circa i confini di applicazione della norma, posto che per inutilizzabilità debba intendersi una sorta di “prova legale negativa” idonea a limitare il principio del libero convincimento del giudice296: tuttavia, acquisisce particolare importanza l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale che ammette l'utilizzabilità di prove illegittime in favorem rei, salvo si tratti di violazioni di divieti stabiliti a tutela dell'attendibilità dell'accertamento297.

Fatta questa ricostruzione del dibattito dottrinale intorno all'utilizzabilità delle prove illecite, parrebbe intuitivo dedurre un'identica soluzione relativa alle prove raccolte illecitamente dall'agente sotto copertura: come a dire che l'agente provocatore dovrebbe sempre essere punito e, di converso, le prove 294 C. De Maglie, in op. cit., quando fa riferimento ai “frutti dell'albero avvelenato”

riportato nel mio elaborato a pag. 79 nota n°96

295 F. Mencarelli, in L'inutilizzabilità e l'acquisizione delle prove nel nuovo sistema processuale, in Giust. Pen. 1989, III, 84

296 G. Ubertis, in La conoscenza del fatto nel processo penale, Milano 1992, 27 297 Espresso nella sentenza Cass. 20 dicembre 1996, in Giust. Pen. 1998, III, 409 ed

in dottrina da N. Galantini, in L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova 1992, 703

raccolte dovrebbero invece essere escluse dal regime di inutilizzabilità di cui all'art. 191 c.p.p298; ma ciò va posto in discussione in quanto esisterebbe una sensibile differenza tra le ipotesi prese in considerazione dalla dottrina tradizionale e l'intervento illecito dell'agente undercover: infatti nelle ipotesi della dottrina tradizionale (es. sequestro effettuato in esecuzione di una perquisizione illecita) è possibile isolare due distinte fattispecie di reato – la prima consistente nella consumazione autonoma del reato da parte dell'indiziato e, la seconda, consistente nella commissione di un reato da parte dell'investigatore allo scopo di ottenere la prova del primo reato – mentre invece, nell'ipotesi di attività sotto copertura, non è possibile identificare due distinte fattispecie delittuose, dal momento che l'agente undercover partecipa alla commissione del reato di cui vuole acquisire la prova. Così, nelle attività undercover, si viene a configurare un solo reato commesso da un soggetto, il quale – ancorché sospettato di averne realizzati altri della stessa indole ovvero di far parte di un'organizzazione criminale – verrà giudicato esclusivamente per il reato che si è realizzato con la partecipazione dell'infiltrato.

Dopo aver sottolineato questo dato peculiare della fattispecie in esame, la stessa dottrina si è interrogata circa la possibilità di rivalutare le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza n. 34 del 1973, in cui si evidenziò l'inutilizzabilità delle “prove acquisite in dispregio dei diritti fondamentali del cittadino” poiché i diritti riconosciuti e garantiti all'individuo sarebbero davvero esposti a gravissima menomazione e non sarebbero più atti a svolgere la funzione di faranzia contro eventuali prevaricazioni o abusi da parte dell'autorità299.

Detto questo possiamo mano a mano dedurre quali debbano essere le regole minime affinché l'attività di provocazione possa dar luogo a prove utilizzabili nel processo: invero, partendo dal dato di fatto che l'operazione deve sempre essere posta in vita dalla polizia giudiziaria con il necessario concerto del pubblico ministero, non è detto che ogni violazione delle norme che disciplinano l'attività undercover debba in ogni caso dar luogo ad 298 G. Barrocu, in op. cit., pag. 171

un'inutilizzabilità processuale; infatti, essa scatterà soltanto nl momento in cui l'attività sotto copertura si sia spinta sino ad un intollerabile coinvolgimento dell'autorità nella realizzazione del reato stesso: perciò dovranno essere considerate inutilizzabili tutte quelle prove raccolte dall'ufficiale di polizia giudiziaria che abbia assunto un ruolo fondamentale affinché si verificasse la fattispecie delittuosa, come avviene nel caso in cui l'agente abbia procurato un'occasione di delinquere al provocato, situazione che altrimenti questi non avrebbe avuto.

L'attività della polizia giudiziaria, pertanto, deve essere analizzata e valutata alla luce del principio di equità processuale e di lealtà nelle relazioni tra autorità e cittadini, così da ricondurre i relativi rapporti ad un corretto equilibrio fra garanzie fondamentali ed esigenze di repressione. Infine va ricordato che, la Corte europea, come sappiamo, sanziona singole fattispecie relative a casi concreti, per cui una soluzione definitiva a livello di diritto processuale interno richiede un articolato provvedimento legislativo in quanto gli elementi raccolti, di solito, sfuggono ad ogni forma di automatica documentazione o di apprensione intellegibile300.

M) UTILIZZABILITÀ DEGLI ELEMENTI DI PROVA ACQUISITI

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