Nel 1933 l'oratore che aprì l'anno accademico dell'università di Leida, in Olanda, fu lo storico Johan Huizinga. Il discorso inaugurale s'intitolava Sui limiti del gioco e del serio nella
cultura, che avrebbe preceduto di soli sei anni la pubblicazione del suo già citato Homo ludens. Questo libro a sua volta avrebbe fatto scaturire le riflessioni più importanti del
novecento sul gioco. A quel primo spunto del 1933 dobbiamo una questione che si sarebbe
56 Queen, Innuendo.
continuamente rappresentata senza trovare soluzione: il problema del come delimitare e denominare sia il concetto di gioco sia ciò che ne resta escluso. Come abbiamo visto, tutti coloro che hanno provato a risolvere questa questione hanno compiuto la stessa mossa di apertura: iniziare dal cerchio magico. Le delimitazioni sono riaffermate anche dai proverbi: “un bel gioco dura poco”, “gioco di mano, gioco di villano” e così via. La circonferenza del cerchio sembra inspessirsi non tanto per salvaguardare ciò che sta all'interno, ma quanto più per rimarcare la differenza con ciò che sta fuori. Per Caillois il gioco sta in opposizione alla realtà, “alla vita ordinaria” (pena la degenerazione); secondo Huizinga si oppone al “serio”; Eugene Fink metaforicamente contrapporrà l'immagine dell'oasi a quella del deserto. Ponendo così il problema ci si toglie dall'imbarazzo di dover descrivere quello “che resta fuori” chiamandolo semplicemente “non-gioco”. Viene a crearsi una sorta di “ludicità negativa”, dove si descrive il fuori-cerchio magico negando gli aggettivi e gli attributi del gioco.
Eppure quando giochiamo (bambini e adulti) prendiamo le cose molto sul serio, oltremodo quando c'è del dispiacere o del piacere che ci tocca da vicino. Indubbiamente in molti casi c'è un connotato di realtà tangibile: un infortunio, la perdita o la vincita di una certa somma di denaro. Per chiarire questo abbiamo pensato lo spazio tra gioco e realtà come una membrana semipermeabile, fragile e pronta a rompersi.
La riflessione di Caillois è risultata quella euristicamente più feconda perché ha mostrato il funzionamento dei giochi, anche dove tale funzionamento rischia di guastare o contraddire il gioco stesso. Per esempio la distinzione tra giochi “regolati e fittizi”, di fatto infrange l'idea che le regole del gioco servano per mantenere la purezza del gioco (intese come immutabili), erette quasi a feticcio. Già il fatto stesso di parlare di “giochi”, di declinarli quindi al plurale, implica che questa membrana non sia una rigida barriera che separa interno ed esterno del gioco, ma diversi giochi possono corrispondere a diverse posizioni all'interno della categoria. L'autore non vede il gioco come un qualcosa che progredendo tende alla perfezione, cosa da cui non tutti sono esenti: per esempio è la visione che Hermann Hesse ha descritto nel suo libro Giuoco delle perle di vetro, dove a mano a mano che la civiltà che avanza, crea giochi sempre più raffinati e perfetti. È per questo che Caillois annovera tra i giochi anche le “macchine mangiasoldi” e i giochi legati all'azzardo. I posteri hanno hanno decretato che la sua è stata sicuramente una scelta lungimirante: basti pensare alla diffusione delle lotterie, alla diffusione tramite internet dei giochi d'azzardo, alle slot machines58. Seduzione aumentata dai
58 Le slot machines possono essere considerate come le antenate del videogioco, in quanto precorritrici della efficace accoppiata tra gioco e tecnologia. Da notare però, come queste non vengano percepite come macchine da chi gioca. A monte presuppongono l'esistenza di un programmatore, che mettendo le redini all'Alea, la imbriglia e permette una predeterminazione della frequenza di comparsa delle combinazioni
ritmi ripetitivi scanditi e intervallati da jingles martellanti, oltre alle sale dove regna una situazione di alienazione sia individuale sia collettiva, diventata poi un cliché cinematografico59.
Nei sessant'anni che ci separano dall'opera di Caillois si sono verificati alcuni fenomeni che sembrerebbero indirizzare il gioco verso l'uscita dalla dimensione della separatezza. Il gioco, come un fiume sotterraneo, si è infiltrato in molti ambienti della “vita seria” che sembravano refrattari.
Si è creata una nuova concezione di gioco che ha superato i limiti spaziali e temporali. Ha infranto queste barriere perché il gioco è sempre presente, è letteralmente a portata di mano: nel cellulare, negli strumenti di lavoro, nel computer. La miniaturizzazione dei processori ha reso possibile accorciare anche le distanze: non c'è più bisogno di andare in un bar per fare una partita a flipper. Questi “nuovi giochi” sono caratterizzati dalla loro disponibilità su più piattaforme e media. Non a caso esiste la leggenda che il sandwich sia stato inventato dall'omonimo conte che, non volendosi alzare dal avolo da gioco neppure per mangiare, si fece servire il pranzo in una forma che non richiedesse la tavola da pranzo allestita.
Il gioco non è lavoro, perché non è un'attività che si è obbligati a svolgere per avere mezzi di sostentamento, dove il perseguimento del piacere è irrilevante. Il gioco è vicino, ma non coincide con il tempo libero. Rimane un concetto bipolare: ha un carattere apollineo di autodeterminazione, ma anche dionisiaco di estasi e panico. Si è padroni della propria immaginazione, ma si anche schiavi della maschera. Caillois sembra suggerire che il gioco stia proprio in tale oscillazione, in questa tensione, più che nella forma e nel contenuto. È come il “girotondo”, tipico gioco infantile, dove il movimento rotatorio è accompagnato da una cantilena che prelude la catastrofe del caos finale. Questa tensione sembra simile a quella dell'osservatore davanti alle figure ambigue descritte dalla psicologia della Gestalt, dove nella stessa figura è possibile vedere alternate due immagini diverse che esistono allo stesso tempo.
vincenti. Tutto ciò non è un segreto, ma non diminuisce il suo fascino e attrattiva. La composizione delle sue parti meccaniche, per esempio il privilegiare la leva al pulsante, è studiata per far credere al giocatore di poter influire sull'esito e quindi di avere più probabilità di vittoria.
59 La carrellata sembra interminabile, soprattutto dopo aver fatto una breve ricerca su internet. I protagonisti sono i più disparati: dagli action movie come Casino Royale film del 2006 diretto da Martin Campbell con Daniel Craig nelle vesti di 007, ai classici film americani come Ocean's Thirteen (2007), al film classico per eccellenza La Stangata (1973), per chi ama il Texas Hold'em come Rounders (1998), al gioco d'azzardo mescolato a sostanze stupefacenti come Paura e delirio a Las Vegas (1998), ai film basati su storie vere come
21 (2008), addirittura film come Croupier del 1998 che racconta la storia ponendosi nei panni del dealer,
oppure Lost in Translation film di Sofia Coppola (2003) che rende al meglio la situazione di solitudine nell'alienata Tokyo.
Huizinga nello scritto Sui limiti del gioco e del serio nella cultura, dopo aver brevemente elencato le parole chiave del gioco, mette a confronto il termine gioco con il concetto di serio, che lo integra. Sostiene che questa coppia semantica si completa e si sostiene a vicenda sopratutto nelle lingue germaniche: l'alto tedesco, il basso tedesco e l'inglese condividono la proprietà del termine ernest-earnest; le lingue scandinave hanno una variante di pari valore. Nonostante questa contrapposizione possa sembrare scontata, sembra essere, per Huizinga, relativamente giovane nella storia della cultura umana. Nelle fasi più antiche della civiltà il gioco non sembra essere qualcosa di autonomo, mentre oggi all'opposto lo si distingue nettamente dal serio. Nonostante tutto continua ad avere dei contorni fluttuanti:
“L'‘essere diverso da’, che contraddistingue il gioco dal serio, non può essere descritto in termini semplici ed esatti. […] La dicotomia serio/gioco non è equivalente a reale/irreale, né a vero/falso e non corrisponde neppure a utile/inutile, infatti nel gioco è sempre presente una finalità. […] Il gioco è la negazione del serio, ma […] racchiude in sé una componente seria. E non è neppure subordinato all'essere serio”60.
È Huizinga stesso a porsi la domanda dove corre dunque il limite tra serio e gioco. Dare oggi una sentenza è ancora più arduo. La società contemporanea conosce una profusione di giochi maggiore rispetto al passato. Tanto più appena diventano moda, si diffondono con più rapidità di un'epidemia. Possiamo ancora considerare lo sport un gioco? Quando atleti professionisti vengono pagati, dove attorno a loro girano sponsor, media, pubblicità? Serio e gioco fino ad ora così lontani, ai giorni nostri sembrano essere anche troppo vicini. Hanno subito una profonda contaminazione. Il gioco che ha perso la propria caratteristica di autonomia e spontaneità, può ancora definirsi tale? Vuole diventare serio: per dirla come Huizinga questo accade in tutti i campi, in economia e politica per esempio, dove domina il concetto di record. Ma l'elemento ludico è indispensabile.
“Solo grazie al gioco gran parte della cultura non viene tacciata di ipocrisia. La società si salva, si riscatta, si redime nel gioco. […] A quanto pare, non siamo riusciti a tracciare una linea che segni i limiti che volevamo ricercare. […] Non interpretate, vi prego, questo mio discorso come un contributo rassegnato e disfattista sulla cultura della società. Non intendo denigrare il serio, ma lodare e sublimare il gioco”61.
60 Huizinga, J., Sui limiti del gioco e del serio nella cultura, (1933), in Aut Aut, 337, 2008, p. 104. 61 Ivi, pp. 120-121.