Il mito della caverna è contenuto all'inizio del VII libro della Repubblica di Platone. L'immagine della caverna, apparentemente così semplice ma densa di piani di lettura e di spunti di riflessione, è è una metafora longeva: ricorre sia in molti testi classici per esempio nell'Odissea (caverna di Polifemo), sia in testi biblici, sia in testi di carattere letterario come
La caverna di Saramago, La tana l'ultimo racconto di Kafka e molti altri. È evidente come i
dialoghi platonici siano delle vere e proprie pièces teatrali: così per la caverna possiamo parlare di mise en abyme, di una rappresentazione dentro una rappresentazione, come nel quadro di Velázquez “Las Meninas”121. Difatti la scena proiettata ai prigionieri dentro la
caverna sta dentro la scena descritta da Socrate a Glaucone, che a sua volta è raccontata da Platone nella Repubblica ai suoi lettori (scena nella scena nella scena).
Platone individua come prigionieri gli uomini che si trovano all'interno della caverna, anzi aggiunge che quegli uomini lo sono sempre stati fin da bambini e che addirittura non sono nemmeno capaci di voltarsi o muovere la testa perché sono vincolati a vedere ciò che viene proiettato davanti a loro sulla parete della caverna. Dunque la prima questione che ci pone Platone è quella della frontalità: i prigionieri guardano solo ciò che si trovano fronte, dunque hanno una conoscenza frontale. La seconda questione è quella della “catene”: i prigionieri, essendo stati da sempre incatenati, non vedono la loro condizione come privazione di una precedente libertà, alla quale probabilmente non sono neppure in grado di pensare. Questo perché non si sentono prigionieri. Sono incapaci di percepire la libertà in quanto tale perché hanno sempre vissuto in quel unico mondo fatto di catene, ritenendo la loro condizione normale. Non sono liberi, ma prigionieri e oltretutto non sanno nemmeno di esserlo.
Ad un certo punto subentra un evento una sorta di “trauma” schutziano, una perturbazione del consueto da intendere proprio come unheimlich122, accade perciò qualcosa che mette in
121Questo quadro gioca sull'ambiguità, portando fino all'estremo la nozione di confine. Lo spettatore è colui che guarda il quadro dal fuori, ma è a sua volta visto dai personaggi dentro il quadro. Esiste reciprocità nello sguardo ed è come se il confine tra dentro e fuori sfumasse: non solo si guarda, ma si è allo stesso tempo guardati. È come se Velázquez volesse andare oltre quel tipo di separazione che era stata così fondamentale nella costruzione prospettica di Alberti .
122Unheimlich è un aggettivo sostantivato in lingua tedesca, dal punto di vista semantico è il contrario di “heimlich” (da heim, casa) che significa tranquillo, confortevole, intimo. Unheimlich significa quindi l'opposto: estraneo, non familiare, inconsueto. È qualcosa che suscita terrore e spavento proprio perché non è conosciuto o insolito. È usato da Freud come termine concettuale per esprimere un sentimento di paura e
discussione tutto ciò che fino ad allora era ritenuto normale e consuetudinario: un prigioniero “viene liberato”. Come avviene per esempio per il protagonista del film Truman show, il quale in una mattina come tante altre, mentre raggiunge la macchina cade misteriosamente dal cielo un oggetto che Truman non ha mai visto, che raggiungendo il suolo si frantuma: una lampada per set cinematografici. Viene tutto ricondotto sapientemente alla normalità poiché subito dopo Truman sente una dichiarazione fatta alla radio dove si spiega che quella stessa mattina un aereo mentre solcava i cieli era andato in avaria e aveva perso dei pezzi.
Già la metafora della caverna stessa costituisce una e vera e propria anticipazione della sala cinematografica moderna, dove disposizione logistica è parimenti simile: un luogo chiuso e buio, gli spettatori seduti sono come imprigionati e costretti a guardare davanti (frontalità), basta soltanto sostituire il fuoco della caverna con la luce del proiettore123. In The Truman
show abbiamo una caverna costruita ad hoc: Truman Burbank viene preso alla nascita e “adottato” da un network televisivo, viene fatto crescere a sua insaputa in un reality chiamato appunto “Truman show”. Sull'isolotto in cui abita, Seahaven, tutto è artificialmente costruito e la sua vita viene magistralmente orchestrata da un regista burattinaio Christof; lo stesso accade nel mito di Platone, dove egli stesso parla esplicitamente di burattini124. Tutte le
persone con cui Truman si relaziona sono attori, che hanno lo scopo di manipolare la sua vita. Dopo la caduta dal cielo di un faro di proiezione, il protagonista inizierà a mettere sempre più in dubbio la realtà in cui vive finché non viene svelato l'inganno e decide di uscire da quel mondo fittizio ed entrare nella vera realtà. Si osservi che il film finisce proprio con l'apertura di una porta e il suo attraversamento, quindi si tratta a tutti gli effetti di un'uscita dalla caverna. Si potrebbero fare molti altri esempi tratti dal cinema: basta pensare a Blade Runner ambientato in una Los Angeles del futuro, al buio e inquinata, che si fa caverna; oppure al film Matrix125 e molti altri ancora.
angoscia unita a sensazioni di confusione ed estraneità.
123“Perché no? Immaginate un'enorme sala cinematografica. Davanti, lo schermo, che arriva fino al soffitto,
ma è talmente alto da perdersi nell'oscurità, blocca la visuale di qualunque altra cosa che non sia questo. La sala è piena. Gli spettatori sono, da quando esistono, imprigionati sulla loro poltroncina, con gli occhi fissi sullo schermo e la testa stretta dentro cuffie rigide che coprono le orecchie. Dietro a queste decine di migliaia di persone inchiodate alla poltrona, c'è ad altezza d'uomo, una grande passerella di legno, parallela allo schermo in tutta la sua lunghezza. Ancora dietro, enormi proiettori inondano lo schermo di una luce bianca quasi insopportabile”.
Alain Badiou, La Repubblica di Platone, Ponte delle Grazie, 213.
124“Lungo questa, pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono
davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini”.
Platone, La repubblica, in Opere Complete, Laterza, 514b.
125Matrix è certamente una delle trasposizioni più fedeli su pellicola della caverna di Platone. Il protagonista Neo è il prigioniero liberato, il quale grazie alla giusta scelta (pillola rossa) riesce a tirarsi fuori dalla caverna (Matrix) e a conoscere la verità. Inizialmente è abbagliato dalla luce, ma una volta conosciuta la verità, anche Neo fa ritorno nella caverna, per senso di dovere, per liberare i prigionieri. Ma questa verità fa paura e non tutti hanno il coraggio di accettarla. Tra questi vi è Cypher il traditore che svela i piani ai cattivi del film, che
Dunque un prigioniero viene costretto a muoversi,ad alzarsi e a voltare la testa. Il fatto che non si liberi da sé e che non si muova autonomamente una volta trovatosi libero, è coerente con il tipo di vita condotta fino ad allora: la mancanza di alternativa gli ha impedito di percepirsi come prigioniero. I prigionieri sono dentro un vero e proprio “teatro delle ombre”: essi non vedono direttamente la luce, ma un “lucore” che proietta delle ombre sulla parete della caverna. Hanno dunque una falsa percezione della realtà, perché le ombre non vengono percepite come tali, ma come delle cose vere.
“- Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.
- Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? […]
- Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?”126
Si potrebbe dire che il buio non educa, ma le ombre si: insegnano però una falsa conoscenza. Per usare un gioco di parole, per i prigionieri la realtà è qualcosa che non è reale. Per il prigioniero liberato la realtà è altrove. L'uscita dalla caverna (anabasi, letteralmente andare in salita) non è una cosa da poco: aver perso le catene non implica automaticamente essere liberi. Per chi è abituato alle alla prigionia può trovarsi in una condizione di spaesamento e paura, dato che implica anche la perdita della sicurezza e di ciò che è familiare: ci si muove verso l'ignoto, verso ciò che non conosciamo. Come accade nel racconto di Kafka La Tana, dove il protagonista è un animale che passa tutta la sua vita a costruire labirinti per proteggersi. Quello che dovrebbe essere un mezzo, la tana, diventa un fine. Più la rafforza, più si sente al sicuro, ma meno è libero poiché esce soltanto per ammirare la sua sicurezza dal di fuori. Potremmo anche aggiungere che la sua felicità derivi dalla sua prigionia. Il pericolo è quello appunto di abituarsi alle catene, ma si può parlare anche di naturalizzazione: vengono interiorizzate a tal punto da essere percepite come naturali. È un problema tutt'ora attuale,
incarna questa umanità spaventata e pigra disposta a tutto pur di rimanere nell'ignoranza:
“[Al ristorante con l'Agente Smith] Vede, io so che questa bistecca non esiste. So che quando la infilerò in bocca Matrix suggerirà al mio cervello che è succosa e deliziosa. Dopo nove anni sa che cosa ho capito? [mastica con goduria il boccone di carne] Che l'ignoranza è un bene”. Wachowski, Lana, con Lilly
Wachowski, Matrix, 1999.
ciascuno è astrattamente libero di fare o non fare una determinata cosa, ma poi finisce che milioni di persone prendono “autonomamente” la stessa decisione, come accade al giorno d'oggi di decidere di uscire il sabato sera e di andare a ballare; dunque risulta evidente che ciò che muove le persone non è solo la loro volontà.
Invece è proprio il movimento ciò che rende il prigioniero liberato da spettatore ad attore. Questo spostamento è tutt'altro che agevole poiché s'incontrano molto difficoltà a salire e si arriva all'uscita dopo un lungo viaggio passando attraverso vari stadi. Una volta uscito, la luce del sole lo abbaglia e perciò dovrà abituarsi ad essa gradualmente. Platone crea una vera e propria gerarchia di verità, dove il fuori è migliore del dentro e dunque anche la ridiscesa (katabasi, discesa) comporta un notevole sforzo che il prigioniero liberato compie per senso di responsabilità127. Sconfigge dunque il desiderio di contemplazione e torna nella caverna,
ma anche questo passaggio non è semplice perché bisogna riabituarsi all'oscurità. Anche il percorso stesso diventa un'ardua impresa: il prigioniero liberato incespica ed inciampa, suscitando il riso generale128. Questo fatto potrebbe essere visto come ulteriore prova del non
essere attore, del suo non recitare e perciò del suo rifiuto a compiacere gli altri prigionieri con espedienti teatrali.
Il prigioniero liberato allora racconta ai compagni ancora prigionieri la verità di ciò che ha visto, ma non viene creduto anzi viene anche deriso e minacciato di morte. Desidera la libertà, portando la vera conoscenza (metafora della luce), ma gli altri prigionieri non riescono ad accettarla e ad andare oltre la loro condizione. Come accade nel film Sulle ali della libertà: al detenuto Brooks Hatlen, responsabile della biblioteca di Shawshank, viene rilasciata la libertà condizionata, il quale ha trascorso quasi l'intera vita in carcere e non ha pertanto alcun desiderio di uscire dalla prigione, considerandola ormai come casa sua. Brooks è un individuo istituzionalizzato, che essendo stato in carcere per così tanto tempo, ha paura del mondo esterno e lo rifiuta. Infatti pur di rimanere in prigione, Brooks aggredisce un altro detenuto, minacciandolo con un coltello alla gola. Verrà poi fermato e l'episodio rimarrà senza conseguenze, riuscendo poi ad uscire, ma non sopportando la realtà esterna e non potendo integrarsi; perciò, disperato, s'impiccherà nel suo alloggio. Il tema delle catene è longevo e
127Il prigioniero liberato fa ritorno nella caverna poiché si sente responsabile verso i propri compagni a cui deve esporre ciò che fuori ha appreso. Si vede qua una tensione tra la responsabilità morale e il desiderio: tra le due deve sempre prevalere la prima. Platone sta parlando dell'educazione dei governati, i quali devono imparare anche a rinunciare a loro stessi per la comunità.
128Questa scena può anche ricollegarsi idealmente alla storiella di Talete che immerso nelle sue elucubrazioni, camminando e osservando il cielo, cadde dentro un pozzo suscitando il riso della ragazza Tracia che passava di lì. Dunque una si richiama anche ad una sorta di teatro comico, volendo continuare sempre la metafora tra caverna e teatro.
arriva fino a Kant129, che riprende la posizione platonica per cui siamo noi stessi a forgiare le
nostre catene, alle quali ci si può anche affezionare. Infatti è quello che succede al carcerato in questione, il quale percepisce il carcere come un luogo conosciuto e dunque sicuro. Diventa la sua coperta di Linus130.
Cosa distingue i prigionieri dal detenuto Brooks Hatlen? Sono entrambi “carcerati naturalizzati”, ma la grande differenza è che mentre i primi conoscono solo il mondo dentro la caverna, Brook invece ha potuto conoscere entrambi i mondi, dentro e fuori prigione, e ha un'alternativa che gli fornisce un parametro per giudicare tutte e due le realtà. Brook, come il prigioniero liberato, conosce due mondi e può confrontarli, ma a differenza di questo decide di rimanere nella caverna e non assumersi il rischio di vivere nel mondo reale.
Il cammino che il prigioniero intraprende è anch'esso una metafora: è il passaggio, l'attraversamento di un confine. La differenza tra coloro che rimangono nella caverna e colui che ne esce è qualitativa, poiché i primi hanno solo un mondo con cui misurarsi. Il mito della caverna è certamente una metafora polisemica, ma il tema che è più attinente a questa tesi è quello della possibilità della scelta, come nella scena famosa del già citato film Matrix: quando Morpheus mette davanti agli occhi di Neo due pillole, una azzurra e una rossa, aggiungendo alla fine del celebre discorso “Ti sto offrendo solo la verità”. Neo ha scelto, come il prigioniero liberato, la strada della verità (pillola rossa) e nemmeno per lui è stata così automatica e pacifica la scelta.
Chi ha esperienza di due mondi può scegliere tra due possibilità, chi ha esperienza di un solo mondo, come i prigionieri incatenati, non può scegliere che quel medesimo mondo. Tutto questo è una metafora: è la possibilità d'immaginare un mondo diverso da come ci viene presentato. La differenza serve per definire la cornice, dunque è necessario conoscere un altrove per comparare più mondi e sviluppare senso critico verso ciò che ci viene dato come naturale e immutabile.