• Non ci sono risultati.

2.3 Mondi intermed

Nel documento I normali e gli altri. Gioco e filosofia (pagine 82-86)

Nel 1945 Alfred Schutz pubblicava il suo saggio su Le realtà multiple. Il testo si apriva con un richiamo allo studio di William James su La percezione della realtà, pubblicato nel 1869 su

Mind e successivamente incluso nei Principi di psicologia. Nel suo libro Schutz riprende in

parte il pensiero di James: l'idea per cui il flusso unitario e continuo della nostra coscienza passa attraverso molteplici mondi. Questi ultimi vengono chiamati “sotto-universi” da William James, mentre Schutz preferisce definirli “province finite di senso”. L'idea di fondo è comune in entrambi i casi: durante la nostra esistenza poniamo l'attenzione su contesti diversi, nei quali di volta in volta ci immergiamo.

Nei Principi di psicologia James aveva parlato di “sotto-universi” dentro i quali diamo significato agli oggetti. Ne elenca diversi tra cui l'universo delle scienze e gli idola tribus baconiani. Tutti i sub-universi rientrano nella concezione generale che James ha della realtà e dunque del nostro modo di conoscerla. Secondo lui infatti, la realtà è questione di credenza o di non-credenza: quando diciamo che qualcosa è reale lo facciamo perché “confidiamo” in essa e viceversa114.

Schutz assume la definizione jamesiana del reale: come qualcosa che è in relazione con la nostra vita emozionale ed attiva, come tutto ciò che riesce a tenere su di sé la nostra attenzione è reale secondo un certo stile di esistenza. Normalmente adottiamo come modello per il reale il mondo quotidiano dei sensi e delle cose pratiche, ma seguendo questa definizione possiamo dire altrettanto reali quelli della fantasia, scienza e della religione. Scrive Schutz:

“Chiamiamo un certo insieme delle nostre esperienze una provincia finita di significato se ognuno di esse manifesta uno specifico stile cognitivo ed è, rispetto a questo stile, non solo coerente di per sé ma anche compatibile con le altre”115.

Dunque ogni “provincia” ha uno stile cognitivo con determinate caratteristiche che la individuano e in rapporto ad esse si può parlare di realtà.

114Ovviamente la teoria è molto più complessa di così: James introduce il problema della credenza attraverso un esperimento mentale, quello della candela immaginaria. Ci propone dunque di immaginare un individuo al quale si presenti su uno sfondo scuro la semplice immagine (potrebbe essere un'ombra o una proiezione) di una candela accesa. Altri ipotetici spettatori potrebbero riconoscere la candela come immaginaria mentre lui, come il prigioniero della caverna di Platone, la riconoscerebbe come reale se quella fosse la sua prima e unica esperienza della sua vita. C'è ovviamente un forte richiamo al “cavallo alato” di Spinoza, con tutte le problematiche che ne derivano.

La realtà di un determinato mondo scompare appena distogliamo l'attenzione, non appena cioè un altro mondo ottiene al nostra concentrazione. In realtà possiamo dire che siamo in un mondo, ma non perdiamo di vista gli altri, anzi potremmo dire che li percepiamo con la coda dell'occhio116. A questo proposito, James aveva osservato che:

“Il senso che qualcosa a cui pensiamo sia irreale può darsi soltanto quando quella cosa sia contraddetta da qualche altra a cui pensiamo. Qualunque oggetto resti non contraddetto, viene ipso facto creduto e posto come realtà assoluta”117.

James si ricollega a un passo dell'Etica II118 di Spinoza. In questo passo egli mostra quanto sia

impossibile non assentire all'esistenza di un cavallo alato immaginato o percepito, se non per il tramite di un pensiero che, fornendo una verità più ampia e più comprensiva, ne contraddica l'esistenza, necessitando la mente a negarla. L'accento è posto sul concetto di differenza (contraddizione): se un oggetto mentale non viene contraddetto cioè posto in un rapporto di differenza con un altro oggetto mentale, allora esso si pone all'osservatore come realtà assoluta.

“Se io sogno semplicemente un cavallo con le ali, il mio cavallo non interferisce con qualcos'altro e non è contraddetto. Quel cavallo, le sue ali e la sua posizione, sono tutti egualmente reali. Quel cavallo non esiste in un altro modo, se non alato, ed è per di più realmente là, poiché il luogo in cui si trova non esiste se non come il luogo di quel cavallo e non comporta ancora alcuna connessione con altri luoghi del mondo. Se tuttavia, con questo cavallo, faccio un'incursione nel mondo conosciuto altrimenti, e dico, per esempio: ‘Questa è la mia vecchia giumenta, Meggie, a cui è cresciuto un paio d'ali mentre se ne stava nella stalla’, il caso muta completamente, dal momento che ora il cavallo e il luogo sono identificati con un cavallo e un luogo altrimenti conosciuti, e ciò che si conosce circa gli ultimi oggetti è incompatibile con quanto si percepisce dei primi”119.

Credere che esista nella realtà “Maggie con le ali” è impossibile, ma con la nostra fantasia possiamo benissimo immaginarla. Credere tuttavia ad una realtà assoluta è una situazione limite che può verificarsi solo nel sogno o in un'allucinazione. Normalmente, come detto poco fa, quando siamo in un mondo di senso non oscuriamo gli altri, proprio perché viviamo mondi intermedi. Come il bambino di Winnicott che, sperimentando autonomia dalla madre, sa nonostante tutto che lei è ancora là, distante ma non troppo da lui. Il bambino sta

116È un termine tratto da Iacono, A., Mondi intermedi e complessità, ETS.

117James, W., La percezione della realtà, citato da A. Schutz, Le realtà multiple e altri scritti, ETS, p. 59. 118Spinoza, B., Etica, Bompiani, lib. II, prop. 49, sc.

sperimentando ciò che farà nella vita quotidiana, ossia ad entrare, ad uscire e a mettersi in relazione con i vari mondi. La metafora della “coda dell'occhio” vuole proprio rendere palese questa compresenza di mondi e questa loro percezione laterale.

Questa metafora implica però il problema cognitivo della percezione della cornice. Riprendendo un esempio che ho già utilizzato nella prima parte della mia tesi, ossia la lotta-gioco tra animali (scimmie e gattini) in Una teoria del gioco e della fantasia, Bateson spiega così ciò che lui chiama meta-comunicazione. La loro era un'imitazione del combattimento, era cioè un combattimento/non combattimento; sostituivano un'azione (mordere) con un'altra (mordicchiare), che a sua volta copiava la prima. Per arrivare a questa intesa era necessario che le due scimmiette si scambiassero dei segnali, che tradotti potrebbero suonare così: “questo è un gioco!” Si tratta di un processo mimetico di sostituzione che funziona se entrambi hanno gli stessi riferimenti. L'affermazione “questo è un gioco” è come una cornice che contemporaneamente unisce e separa il mondo del mordere da quello del mordicchiare. Senza questa inquadratura non ci sarebbe il gioco. Si potrebbe dire che entrambi gli animali percepiscono con la coda dell'occhio il mondo del mordere.

Schutz afferma che si tende a considerare la realtà della vita quotidiana come naturale e che il passaggio da una “provincia di significato” ad un altra avviene solo attraverso un trauma (shock)120. Questo processo traumatico ci aiuta ad uscire dalla realtà quotidiana naturalizzata e

ad entrare in altri contesti (province), come per esempio: il salto nel mondo nei sogni, le varie esperienze religiose, quando si alza il sipario del teatro, la visione di un quadro, il mondo del gioco in cui entra il bambino con il suo giocattolo. In realtà le province di significato di Schutz o i sotto-universi di James non stanno separati, ma si attraversano l'uno l'altro. La cornice, come abbiamo già detto, non separa soltanto, ma nel mentre unisce perché ci rimanda ad un altrove. Questo problema del fuori, dell'altrove della cornice si ricollega alle somiglianze, già citate, tra gioco e culto sacro. Dato il loro forte bisogno di uno spazio circoscritto ed isolato, questo implica a sua volta una forte accentuazione del confine e dunque del rapporto tra dentro e fuori. Anche fenomeni come il teatro e il cinema inoltre, possiedono una caratteristica simile. Forse si potrebbe generalizzare affermando che ogni mondo contiene in sé un problema di confine tra dentro e fuori, che può dipendere dall'aspettativa che si viene a creare in un determinato contesto.

120Per spiegare questo “salto”, Schutz si rifà a Kierkegaard e alla sua idea di “istante” come salto nella sfera religiosa.

Il nostro sguardo non è onnipotente e tutti noi viviamo selezionando determinati contesti piuttosto che altri, secondo Goffman dunque viviamo compiendo sempre nuove azioni di “inquadratura (framing) e di “messa in chiave” (keying), muovendoci tra diverse cornici (frames) che s'intersecano. Nel suo libro Frame analysis, Goffman solleva obbiezioni, come ho scritto poco fa, sul carattere chiuso che Schutz dà alle province di significato e critica inoltre la pretesa di enumerarle e classificarle secondo determinate caratteristiche cognitive. Goffman preferisce, come ho tentato di fare io, focalizzarsi anziché all'interno di un singolo mondo sulla transizione dall'uno all'altro. Dunque preferisce interrogarsi piuttosto su come avvengono le rotture dei frame o su come avviene il passaggio tra essi. Non è questo il luogo dove discutere della teoria goffmaniana, ma è utile tornare a leggere forse i testi di Schutz e James sotto quest'ottica, indagare perciò lo spazio stesso della transizione e la relazione tra i molti mondi che abitiamo. Forse è utile rileggere a questo proposito il tema della “frangia” che si trova nelle tematiche del “flusso di coscienza”, tratto dal cosiddetto Corso breve, che James riprende in massima parte dal capitolo IX dei Principi di psicologia. James delinea una prospettiva di ricerca che solleva il problema dei “mondi intermedi”: ossia solleva il sospetto che tutti noi passiamo gran parte della nostra vita sulla soglia dei nostri frames e vivendo fenomeni chiamati appunto da William come “esperienze di frangia”, “passaggi intermedi di stati mentali”, “stati transitivi”. Schutz teorizza questo passaggio come un “salto” o uno “shock”, intravede cioè l'idea della frangia, ma non riesce a raggiungerla.

La maggior parte della nostra vita cosciente è sospesa negli stati transitivi. Normalmente non ce ne rendiamo conto anche perché se vi poniamo attenzione, se tentiamo dunque di afferrare quei pensieri o quegli oggetti, il tentativo stesso può, per così dire, annullarli o lasciare il campo a nuove cristallizzazioni. La frangia viene intesa sia come l'alone che circonda gli oggetti su cui poniamo l'attenzione sia come la coscienza stessa di questo alone. Dalla frangia vengono dunque percezioni che non sono inconsce, ma alle quali prestiamo pochissima attenzione: si pensi per esempio a quando qualcuno è assorto nella lettura di un libro e alla percezione che può avere del luogo circostante, delle persone o di quello che accade attorno a lui. Accanto alla nostra esperienza centrale di vita possiamo avere anche delle esperienze correlate o di soglia che sono si sfumate, ma che ci rimandano in potenza ad un altrove dove la nostra attenzione potrebbe tuttavia focalizzarsi.

Dunque noi siamo già collocati in un “gioco di mondi”: una struttura, per così dire, di mondi che stanno gli uni agli altri in una logica quanto meno complessa, di cui non siamo

interamente capaci di controllare il funzionamento. Le relazioni tra “dentro” e “fuori” operano a vari livelli e con diversi intrecci.

Nel documento I normali e gli altri. Gioco e filosofia (pagine 82-86)