In principio la cornice non era considerata singolarmente, ossia non aveva una propria vita, ma era legata al quadro stesso che la racchiudeva. Tutto questo dipendeva proprio dalla sua costituzione perché la superficie che doveva essere poi dipinta veniva ricavata abbassando la parte interna di una tavola, così che il perimetro rimanesse rialzato di qualche centimetro. Questa era una tecnica bizantina, greca e russa.
Verso i primi anni del Trecento, con le evoluzioni dei primi accenni architettonici, si andò affermando sempre più una cornice totalmente legata agli schemi architettonici: colonnine tortili di sostegno, lesene e pilastri poggianti su predelle. Sotto influenza delle facciate e delle piante gotiche nascono lo schema a trittico o polittico. Le incorniciature erano in armonia con la parte scultorea dell'edificio e la loro presenza ben si adattava agli arredi e all'architettura della chiesa106.
Una sorta di rivoluzione avviene con Gentile da Fabriano, quando nel 1423, introdusse una cornice completamente indipendente, anche se indivisibile dalla tavola, per la pala d'altare dell'Adorazione dei Magi. Questo quadro, pur avendo ancora le sembianze formali del trittico, non subisce divisioni e la scena della processione si districa libera nelle tre parti del dipinto. È con il graduale decadere dello schema polittico e invece con l'affermarsi dell'unità pittorica che si può far nascere l'idea di cornice in senso moderno. Nel senso che dipinto e cornice smettono di essere legate l'una all'altra. Nella prima metà del XV secolo si perde l'uso di lesene o colonnine che separano l'opera in spazi indipendenti.
La chiave di volta si ha con l'introduzione della prospettiva che rivoluziona ogni norma compositiva. All'inizio del Quattrocento si ha questo salto di qualità ad opera del grande architetto fiorentino Filippo Brunelleschi, il quale attraverso studi ed esperienze condotte con l'aiuto di strumenti ottici, giunse ad un procedimento metodologico per rappresentare gli edifici in prospettiva, che illustrò graficamente in due tavolette andate purtroppo perdute, raffiguranti rispettivamente il battistero visto dalla porta di Santa Maria del Fiore, la piazza della Signoria e Palazzo Vecchio, ma che conosciamo grazie alla prima trattazione scritta dell'argomento, il De Pictura (1435 in latino e nel 1436 in volgare107), scritto dall'umanista e
106Ferrari, D., Il “ruffiano” del quadro. Appunti per una storia della cornice.
107In quest'ultima versione Leon Battista Alberti scrisse una dedica proprio a Brunelleschi, dalla quale si desume facilmente come il rapporto di amicizia con il grande architetto fosse già ben saldo e non di recente
architetto Leon Battista Alberti. In questo trattato Alberti parla del principio della realizzazione di un quadro:
“Principio, dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto”108.
Questi due avvenimenti sono strettamente connessi perché man mano che lo sfondo del quadro si unifica e concretizza, guadagnando profondità di campo, si perde la necessità di separare in modo netto e di organizzare ogni scena o figura, divisione garantita prima dallo schema polittico.
La cornice rinascimentale divenne essenzialmente una struttura architettonica inserita così nella parete, una vera incorniciatura di finestra delimitante lo spazio visibile dalla parete, evidenziando ancora di più la profondità del dipinto. Così anche gli artisti iniziano a progettare cornici o intrattengono comunque una stretta collaborazione con gli intagliatori. Lo scopo è di creare un tutto organico dove la cornice assume il ruolo di mediatore tra la parete architettonica e lo spazio pittorico, come i profili di una finestra tra parete e realtà esterna. La cornice dunque ha assunto nel corso dei secoli stili e connotazioni diverse a seconda della localizzazione geografica e talvolta di influssi stranieri. Nasce da un bisogno di “incorniciare” l'opera d'arte, non solo per proteggere i bordi del quadro, ma anche per sottolinearne ed esaltarne la funzione estetica con un elemento decorativo che accompagni e dia risalto all'opera stessa. La cornice racchiude e delimita lo spazio ideale che l'artista ha voluto assegnare al suo dipinto, così da separare il mondo ideale che ha raffigurato al suo interno, dal mondo reale che sta al di fuori, quello degli spettatori. Essa protegge l'immagine dipinta su tela, la stabilizza e la rende facilmente trasportabile, ma è capace anche di determinare almeno in parte la modalità del proprio esser-vista, letta, interpretata. L'immagine viene delimitata da un gesto intenzionale, separata dal contesto e racchiusa in un contorno, proprio per questo si viene a sottolineare il confine e costringe lo sguardo a soffermarsi con attenzione sull'opera. In altre parole, la cornice impone allo sguardo “ordinario” di trasformarsi in contemplazione e allo spettatore di porsi in una relazione estetica nell'atteggiamento di fruizione, interpretazione e valutazione.
data.
La cornice, nei confronti dello sguardo del fruitore, svolge una funzione analoga a quella di un deittico, ossia di un segno la cui funzione è quella di esibire, indicare, mostrare e indirizzare. Concentra la vista sul disegno contenuto all'interno dei confini, mostrandola come oggetto degno di attenzione e sollecitando lo spettatore ad avere una risposta adeguata. Interpella colui che guarda il quadro e lo chiama a raccogliersi di fronte a qualcosa che gli si propone come isolata da tutto l'ambiente circostante. Finisce quindi per svolgere una funzione determinante nell'instaurazione dello spazio della rappresentazione pittorica e nella modalizzazione dello sguardo che ad essa si rivolge.
2.2 La finestra
“Le cornici sono una diversa dall'altra, forme dell'Ottocento floreale, in argento, in rame, smalto, tartaruga, pelle, legno intagliato:potrebbero rispondere all'intenzione di valorizzare quei frammenti di vita vissuta ma potrebbero essere anche una collezione di cornici e le foto stare lì solo per riempirle, tant'è vero che alcune cornici sono occupate da figure ritagliate da giornali, una inquadra un foglio d'una vecchia lettera illeggibile, un'altra è vuota”109.
La posizione liminare e la funzione di cesura tra le diverse forme di realtà hanno fatto della cornice un oggetto ambiguo, luogo di un discorso mai semplice e mai dato una volta per tutte. La cornice è dove s'incontrano le aporie che concetti come margine, limite e soglia portano con sé.
Secondo Simmel la cornice genera isolamento e concentrazione:
“[…] l’essenza dell’opera d’arte è quella di essere una totalità per se stessa, non bisognosa di alcuna relazione con l’esterno, e capace di tessere ciascuno dei suoi fili riportandolo al proprio centro. Dal momento che l’opera d’arte è ciò che altrimenti solo il mondo come intero o l’anima possono essere: una unità di singolarità – essa si isola, come un mondo per sé, da tutto ciò che le è esterno. Così i suoi confini significano qualcosa di completamente diverso da quelli che si designano come confini di una cosa naturale: in quest’ultimo caso essi non sono che il luogo di una costante esosmosi ed endosmosi con tutto ciò che sta al di là di essi; ma nel caso dell’opera d’arte essi costituiscono quella chiusura incondizionata che esercita in uno stesso atto l’indifferenza e la difesa verso l’esterno assieme alla concentrazione unificante verso l’interno”110.
109Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Mondadori, p.121. 110Simmel, G., La cornice del quadro. Un saggio estetico, il Mulino p. 210.
La cornice svolge qui un duplice ruolo essenziale poiché escludendo l'ambiente esterno, contribuisce a porre l'opera alla giusta distanza per essere fruita dall'osservatore. Dunque chiude ed esclude, ma è al tempo stesso il presupposto indispensabile all'istanza di apertura dell'opera. Per Ortega y Gasset la funzione della cornice è sì la stessa, ma non per proteggerne l'autonomia e la singolarità quanto piuttosto per sottolineare lo scarto che separa lo spazio della parete da quello del quadro, dunque lo spazio della realtà da quello dell'irrealtà. La cornice diventa una frontiera tra i due mondi, una soglia attraverso la quale lo sguardo possa accedere a questa dimensione d'irrealtà e in questo è simile al sipario che apre e chiude lo spazio della scena teatrale o il silenzio che precede un'esecuzione musicale o ancora alla formula d'apertura di una favola.
“L'opera d'arte è un'isola immaginaria che fluttua, circondata dalla realtà da ogni parte. Perché avvenga, è, dunque, necessario che il corpo estetico resti isolato dall'ambiente vitale. Per questo il quadro senza cornice, confondendo i suoi limiti con gli oggetti utili, extra artistici che lo circondano, perde bellezza e suggestione. Occorre che la parete ideale sia chiusa subito radicalmente e che, immediatamente, senza titubanze, ci troviamo nel territorio irreale del quadro. Occorre un isolatore. Tale è la cornice.[…] Frontiera delle due regioni, serve per neutralizzare una breve striscia di muro e serve da trampolino che lancia la nostra attenzione sulla dimensione leggendaria dell'isola estetica. […] la cornice ha qualcosa della finestra, così come la finestra ha molto della cornice. Le tele dipinte sono buchi di idealità praticati nella muta realtà delle pareti: brecce di inverosimiglianza a cui ci affacciamo attraverso la finestra benefica della cornice. […] il quadro è un’apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambito reale”111.
È proprio attraverso la cornice che si entra nello spazio dell'immagine, la quale pur avendo una pretesa di realtà, è confinata all'ambito del “come se”, della “quasi realtà”. Il dipinto non può essere colto allo stesso modo della parete poiché ha in sé il carattere incancellabile dell'irrealtà, dunque non può usufruire di reale percezione come avviene nel mondo esterno. La cornice è il ponte che collega il mondo della realtà a quello dell'immagine, ma allo stesso tempo è garante della loro alterità. Della “metafora dell'isola” ne avevo già parlato nei capitoli precedenti attraverso le parole di Fink, a proposito dello spazio d'irrealtà del gioco. Molto significativo è un suo stesso testo della sua tesi di dottorato, discussa all'Università di Friburgo nel 1929 e guidata da Husserl. Il titolo originario del lavoro evidenzia già l'ambito d'indagine: “Contributi ad un'analisi fenomenologica dei fenomeni psichici che si considerano all'interno di caratterizzazioni dai molti significati quali ‘pensare come se’, ‘rappresentarsi
semplicemente qualcosa’, ‘fantasticare’”112. Negli ultimi tre paragrafi, Fink problematizza il
mondo dell'immagine realmente esistente poiché ancorato su tela, ma allo stesso tempo irreale. È proprio il supporto cornice a permettere questa oscillazione paradossale, diventando un “framezzo” (Zwischen) dove avviene il passaggio da una pennellata reale ad un cielo vespertino solo raffigurato per esempio. Quello stesso supporto che risulta essere in parte occultato a prima vista, è poi però anche un mezzo che traspare. Significativo l'esempio che porta a questo proposito Fink del riflesso nell'acqua, dove avviene questo rimando tra reale e irreale che corrisponde all'intersecarsi di una percezione effettiva e di una presentificazione immaginaria. Qui Fink usa la metafora della “finestra unica nel suo genere”, perché permette il passaggio nelle due direzioni in due movimenti: uno di entrata e uno di uscita. Dunque rendendo lo spettatore un io doppio che vive in due mondi. Il rinvio alla finestra come metafora sembra essere un'associazione d'idee piuttosto comune, almeno a partire da Leon Battista Alberti. Un esempio fra molti può essere il racconto La cornice che scompare due
volte di Ernst Bloch contenuta nell'opera Tracce: il protagonista Rudolf, osservando un quadro
sopra la credenza, si chiede se la donna dipinta stesse tenendo in mano un fazzoletto per asciugarsi le lacrime oppure se stesse leggendo una lettera. Dopo essersi avvicinato per osservare meglio il quadro, d'un tratto, viene come trasportato fisicamente in questo mondo dipinto e si ritrova a camminare verso la dama che fino a poco prima era solo disegnata. Istantaneamente capisce che lei stava leggendo la sua lettera, scritta molto tempo prima. I due amati quindi si ritrovano e festeggiano questo lieto evento. Vivono per un po' di tempo in un castello e l'unico ammonimento datogli dall'amata è quello di non aprire una determinata porta . Se avesse disatteso questo avvertimento il protagonista avrebbe perso tutto. Invece è proprio ciò che Rudolf fa, poiché, sentendosi chiamare da una voce che proviene da dietro la porta, la apre e si trova in una stanza completamente vuota tranne per un quadro appeso alla parete. Osservandolo si rende conto che ha qualcosa di familiare e che la voce, da lui prima sentita, proviene dalla porta dentro il quadro. Rudolf ascoltando sempre più stupito, non si accorge di entrare nel quadro e ritornare dall'altra parte, dove tutto era iniziato. Dopo una fase di smarrimento il personaggio della storia si scopre al centro della scena dipinta, mentre la cornice che dovrebbe garantire la distanza, così come detto da Simmel, qui d'improvviso
112E. Fink, Beiträge zu einer phänomenologischen Analyse der psychischen Phänomene, die unter den vieldeutigen Titeln „Sich denken, als ob“, „Sich etwas bloß vorstellen“, „Phantasieren“ befaßt werden, Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde einer Hohen Philosophischen Fakultät der Albert- Ludwigs-Universität Freiburg i.Br., Halle (Saale), Karras, Kröber und Nietschmann 1930.
Husserl stimò a tal punto il testo, da pubblicarlo nel suo “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung” con il titolo di: Presentificazione ed immagine. Contributi per una fenomenologia dell'irrealtà, come prima parte di un'opera che non fu successivamente completata.
svanisce. Proprio quando sembra aver realizzato il suo sogno, Rudolf apre l'unica porta del castello (un'altra cornice), che gli era stata interdetta, e lo porterà alla realtà. Si tratta di un racconto a “doppio fondo”, ma non è questo quello che a noi ora interessa. Quello che volevo sottolineare è questa metafora di entrata e di uscita dal quadro, dove qui nel racconto avviene fisicamente.
La finestra poi ha una connotazione religiosa del tutto originale: è qui dove appaiono le divinità, ma diventa anche luogo di comunicazione con il cielo (Finestra Coeli), è il punto di passaggio tra due mondi diversi quello ultraterreno e il nostro. D'altra parte è anche il luogo opposto, è lo spazio che utilizza il Demonio per entrare in casa, scena spesso rappresentata con il corteggiamento di una donna. Pensiamo poi all'utilizzo della metafora della finestra in ambito cinematografico, possiamo ricordare: “La finestra sul cortile” del 1954 di Alfred Hitchcock, “Identificazione di una donna” del 1982 di Michelangelo Antonioni e “Decalogo 6” del 1988 di Krsysztof Kielowski. Nella letteratura e nella poesia possiamo trovare tanti altri esempi: Baudelaire, Maupassant, Proust, Verlaine, Joseph Conrad, Franz Kafka, Roland Barthes. Passando dalla rappresentazione artistica a quella strumentale si entra nel campo delle tecnologie digitali e dell'informatica: il computer, dove la metafora della finestra è proprio l'interfaccia visuale dove si aprono e chiudono finestre, è lo schermo stesso una finestra.
Tutte queste immagini (cornice, finestra, porta) fanno parte di una medesima metafora. Immaginatevi una scena di vita quotidiana, la televisione accesa 24 ore no stop in casa, si guarda e non si guarda, veniamo come cullati da questo annichilente sottofondo, poi si risponde al cellulare, nel mentre magari si cucina, si parla, si scherza, si litiga: siamo cioè immersi in vari contesti, dai quali entriamo e usciamo a nostro piacimento. Noi viviamo in una grande varietà di mondi intermedi113 e sono tali perché sono concettualmente in relazione
fra loro e perché ciascuno di noi non è una monade, non può vivere senza riferirsi ad un altro mondo.
Ecco dunque che ritorna il gioco: l'attività di giocare è esattamente il doppio livello in cui noi ci troviamo, è come uno stare sul confine ma carico di significato, abitiamo questa dimensione e non solo.