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Citando «Omnibus» viene presto in mente la cagione della sua chiusura – o almeno quella sfruttata dal regime – ovvero il pezzo dissacrante sulla morte di Leopardi firmato da Alberto Savinio. Anche lui uno scrittore non totalmente ascrivibile al genere umoristico, eppure anche lui attirato dai suoi modi e dalle sue tecniche. Non è infatti casuale che André Breton abbia inserito Savinio, unico italiano, nell’Anthologie de l’humour noir (1940). Genere che secondo alcuni arriverebbe al suo culmine in La nostra anima: una narrazione segnata da un represso psichico che ritorna e che modifica la fisionomia delle figure, con aperture a riferimenti licenziosi e a comportamenti disturbanti, che però vengono temperati da un’azione riflessiva289. La risata nelle opere di Alberto Savinio scaturisce da salti logici, da analogie coraggiose e sorprendenti, da argomentazioni ad absurdum o da lapsus calami. Modalità collegabili ad un avanguardismo mai fatto proprio totalmente, ma esplorato con attenzione. In particolar modo il surrealismo, che vedeva nella scrittura automatica un modo per entrare in contatto con l’inconscio. Savinio però non ha intenzione di cedere all’informe e all’inconscio consegnandosi ad essi senza difese, ma anzi vuole dargli forma e coscienza, intellegibilità. Questo processo fa scaturire delle inevitabili assimmetrie e incongruenze che possono destare la risata.

288 Brano citato in Notizie sui testi, in VITALIANO BRANCATI, Romanzi e saggi, cit., p. 1734. 289 Cfr. MIRUNA BULUMETE, L’umorismo nero di Alberto Savinio, in «Studying Humour -

126 Una risposta ilare che nasce quasi inconsapevolmente, come se l’autore – forse fingendo serietà – la destasse per caso, lasciando il dubbio al lettore che il riso possa essere una reazione causata da un suo grado inferiore di illuminazione. Come se l’incongruenza proposta sia tale più per chi legge che per chi scrive, a causa di una scarsa apertura di orizzonti. Il riso che si ottiene è umoristico e molto razionale ma allo stesso tempo un po’ incerto e ammirato. Una reazione che fa sentire tutta la paradossalità della soluzione trovata e che fa dubitare della sua plausibilità: una local logic lucida e quasi esibita, che costringe la ragione a contraddirsi in continuazione. Grazie ad una capacità analogica di Savinio che colpisce ed esalta perché unisce ciò che non si pensava collegabile.

Nella sua prima fase la relazione con le avanguardie lo metterà in contrasto con i valori tradizionali, con il “padre”:

Troppa serietà quando invece c’è solo da ridere; troppe certezze su idee svuotate di senso; troppi valori per esistenze insignificanti; troppi imperativi per una società che non ha più ordine; troppa severità verso i figli che, non credendo al lavoro paterno, gli preferiscono il gioco, lo scherzo, l’ozio, l’effimero, il proibito, l’inutile, ciò che è privo di scopo.290

Un rapporto con la tradizione che però non è dato una volta per tutti, ma che avrà necessità di un percorso di rielaborazione. La sua biografia infatti lo porterà giovanissimo a Parigi circondato dai più grandi artisti che nella prima parte del Novecento animavano la capitale francese: la sua carriera allora era nella pittura, e frequentava solo occasionalmente la scrittura, in special modo quella in lingua italiana. Le sue idee di conseguenza erano molto influenzate dalle avanguardie e dai suoi rapporti, anche personali, con quel millieu. In seguito, dopo essersi stabilito in Italia, inizierà a scrivere con più costanza e a maturare un rapporto con la tradizione più cauto e razionale291. Da un primo periodo più legato al pensiero tragico tra mitico e mistico, si passerà col tempo ad una concezione più illuministica e razionale: da una fase distruttiva ad una trasformativa, dalla narrazione alla saggistica creativa. Un edificare nichilista che ha in

290 WALTER PEDULLÀ, Alberto Savinio, scrittore ipocrita e privo di scopo,

edizioniAnordest, Villorba (TV), 2011, p. 59.

291 Cfr. DAVIDE BELLINI, Dalla tragedia all’enciclopedia. Le poetiche e la biblioteca di

127 Nuova Enciclopedia e in Sorte dell’Europa le fasi più alte. Savinio non dismette il suo miscredere della prima fase, ma lo pone in funzione di un pensiero terreno e molto pratico292: fatto di nuove idee, di libertà e di pace. Nella seconda fase scrive per trovare nuovi modi e forme del pensiero, per condividere l’isolamento del singolo293 e creare una nuova fratellanza attraverso uno scrivere dialogico294.

L’uso più consapevole degli strumenti umoristici avviene proprio in questa ultima fase, anche tramite l’esempio dell’ironia illuminista. D’altronde all’inizio la sua predilezione per la tragedia gli permetteva di frequentare il tragicomico che conduceva poi ad un mitico trasfigurato che sfiorava il grottesco o la caricatura. Nella fase successiva, invece, maturerà il suo particolare umorismo che si mostrerà già nella sua attività pubblicistica, per dare miglior prova di sé nei saggi. Un esempio mirabile da questo punto di vista è il breve Maupassant e “l’Altro”. Nell’opera il genere saggio si apre a mille inserti e divagazioni tipiche dello humor; le note, quasi una parodia di quelle accademiche fatte di esplicazioni o riferimenti a fonti, diventano ironici contraltari speculativi, un altro specchio riflettente capace di inserire ulteriori contraddizioni. La trattazione si arricchisce inoltre di finto auto-biografismo, con riflessioni che procedono per assurdo e analogie, tutte mirate a sostenere una tesi anch’essa paradossale, ovvero che Maupassant avesse dentro di sé un “altro” psichico e patologico: solo la piena espressione di questa alterità gli avrebbe donato le capacità per essere il grande scrittore che è stato poi riconosciuto. Il doppio si sa è uno strumento citato da Freud come elemento perturbante, e in questo pamphlet la psicoanalisi avrà un ruolo fondamentale295, eppure il perturbante in questo saggio avrà un risvolto allegro e divagatorio. Si parla di follia, ma senza entrare in un clima tragico, anzi, al contrario se ne ride. La pazzia, massima espressione di un caotico senza forma, in questa interpretazione di Savinio, diventa una possibilità di una più alta forma artistica e quindi formale. Lo

292 Un nichilismo costruttivo che riporta alla teoria di Marmysz.

293 Per il concetto di uomo-isola nell’autore cfr. STEFANO ZAMPIERI, Alberto Savinio e la

filosofia. Materiali per una vita filosofica, Vimodrone (MI), IPOC, 2011, pos. 67 e 1618 e

segg.

294 Cfr. GIUSEPPE GIGLIO, I piaceri della conversazione, Caltanisetta-Roma, Salvatore

Sciascia, 2010.

295 Per le interconnessioni tra psicoanalisi e Savinio cfr. GIACOMO DEBENEDETTI, Savinio e

128 stile caleidoscopico di Savinio non è in funzione della risata, ma ne usa con oculatezza tutti gli strumenti in funzione conoscitiva. D’altronde la contraddizione è esplicata proprio nella sua dichiarazione di poetica: dare forma all’informe e coscienza all’incoscienza. Per arrivare a ciò l’umorismo è il più sicuro alleato.

La contraddizione saviniana ha una immagine icastica, quella dell’ermafrodito, un essere che non nega nessun carattere umano e che è l’opposto dell’esaltazione virile del fascismo296. Savinio, con la sua scrittura, con il suo modo cogitante o mitopoietico di procedere, supera le separazioni imposte, tendendo ad una unione tra gli opposti, come alla ricerca di una completa comprensione della natura. Ecco perché le contraddizioni, alle volte, sembrano risiedere nella mente del lettore, ecco la ragione per cui la risata sembra sempre un’ammissione di ignoranza e ingenuità. Savinio è un uomo nella sua finitudine e allo stesso tempo puer aeternus, essere maschio e femmina, mortale e mitologico: i paradossi si mostrano come superabili, risibili perché relativi. L’incoerenza non è opposizione, non c’è uno scontro violento e quindi l’eroismo nazionalista è inutile e vano.

Chi si accosta alla lettura di Savinio, definito da Sciascia «il più grande scrittore italiano tra le due guerre»297, non può fare a meno di notare l’ipertrofia dell’Io autoriale. Molti riferimenti a sé, molti aneddoti, molte iperboli, si ha quasi il sospetto che Savinio apra un gioco con il proprio lettore, una discussione fatta di giochi sorprendenti e di finzioni. Un narratore che si sospetta stia sempre mentendo, tranne quando divaga e fantastica. In Savinio si ha il picco di quella coscienza individuale che è alla base del genere umoristico, messa però al servizio della conoscenza, in una sorta di “egoismo conoscitivo”298 in cui l’erudizione si pone al servizio della scoperta di sé e dove la conoscenza si mette in gioco nella rivelazione della propria essenza. La cultura come mezzo di gioco, serio e faceto al medesimo tempo.

296 SILVANA CIRILLO, Alberto Savinio: le molte facce di un artista di genio, Bruno

Mondadori, Milano, 1997, pp. 327-332.

297 LEONARDO SCIASCIA, Cruciverba, in Opere 1971-1983, Bompiani, Milano, p. 268. 298 GABRIELE TANDA, Alberto Savinio: la scrittura come pensiero liberato, in La scrittura

129 Per Brancati si è parlato di una volontà di distacco nei confronti di Pirandello, in Savinio invece capita l’opposto. Il dioscuro non solo è attratto dalla figura dello scrittore di Girgenti, ma ci collaborerà durante la fondazione del Teatro d’Arte e maturerà una stima profonda tanto da riconoscerlo come suo padre artistico299. La mitopoiesi pirandelliana, ha però in Savinio una sfumatura farsesca: se il siciliano cercherà di edificare nuovi miti con Lazzaro e La nuova colonia, Savinio decostruirà i vecchi caricandoli, o rendendoli grotteschi. Non c’è nel secondo alcuna volontà di creare profondismi e tanto meno nuovi misticismi, soprattutto dopo la prima fase. La stima che nutriva lo scrittore riguardava soprattutto l’ambito formale: Pirandello era il padre di un nuovo modo artistico, il responsabile dell’apertura di nuovi orizzonti espressivi, l’unione di sperimentazione e senso. Anche i poli antitetici pirandelliani, forma e vita, in Savinio erano visti in maniera opposta: Pirandello osteggiava le forme per arrivare alla vita indistinta priva di confini e consegnarsi ad essa; Savinio, al contrario, ammetteva la pervasività del caso e dell’inconscio e cercava di riportarlo ad una forma aperta e non claustrofobica. Per attualizzarlo al confronto di idee degli ultimi anni: Pirandello vedeva la razionalità, ancora cartesiana, come una gabbia da cui fuggire per fondersi con l’istinto, con l’irrazionale non espresso; Savinio è come se riconoscesse il dominio dell’inconscio e ne tentasse un contenimento attraverso una logica provvisoria e non totalizzante. Per certi versi due fasi di un unico processo.