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Nella trattazione si incontreranno degli autori che hanno collaborato con il cinema e con la televisione, non pare quindi superfluo fare un piccolo excursus sulle forme narrative più usate in questi ambiti. La costruzione dei personaggi teatrali della commedia ha influenzato in maniera piuttosto decisiva tutte le produzioni filmiche successive. Anche la scissione tra cinema comico e genere commedia, ha una radice con le dinamiche tipiche della produzione teatrale precedente. Il comico di gag fisiche e slapstick del primo Chaplin e di Buster Keaton non sono assimilabili alla comicità di parola delle commedie del cinema sonoro. Come d’altronde non si possono assimilare gli spettacoli dei mimi e dei giullari a quelli della commedia Rinascimentale.

I meccanismi come abbiamo detto sono assimilabili a quelli del teatro. Oltre allo spettacolo clownesco di cadute, incidenti e inseguimenti, nella commedia almeno ai primordi e soprattutto in Italia si rivedono elementi della commedia degli errori come la sostituzione di personaggi, incontro scontro dialettico amoroso tra uomini e donne (queste ultime centro nevralgico di molte tensioni sociali195) e anche l’uso di nonsense e di arguzie legate a figure come i fratelli Marx e Woody Allen. In Italia l’influenza del teatro e in particolare dell’avanspettacolo, portò ad un influenza del palco nel genere comico e della commedia ancora più importante. Figure come Totò e Aldo Fabrizi furono per lungo tempo impegnate nei teatri e solo tardi si lanciarono nelle pellicole196. Il peso che ebbe il dialogo, quindi, fu sempre decisivo e produsse dei caratteri più legati al territorio e alle peculiarità regionali. L’improvvisazione mantenne una

195 FEDERICO DI CHIO, American Storytelling. Le forme del racconto nel cinema e nella tv,

Carocci, Bologna, 2016.

196 GIAN PIERO BRUNETTA, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi,

85 componente fortissima e le maschere regionali ebbero una formalizzazione che si mantenne per lungo tempo197. Questo tipo di struttura era legata alla commedia dell’arte e si legava ad appartenenze meridionali e romanesche. Alberto Sordi e Totò furono i maggiori esponenti di questa struttura narrativa, in cui un personaggio ingenuo, innocente o ignorante affrontava avventure picaresche più o meno legali. Il sapersi adattare, saper uscire dalle difficoltà della vita con mezzi di fortuna diventarono presto un topoi della cinematografia italiana. Più tardi lo diventò anche il mito dell’americanità e l’esterofilia: prima con Alberto Sordi e poi con Carlo Verdone. Il tono dell’umorismo, nei primi anni del Dopoguerra, ha per lo più punte tragicomiche in cui povertà economiche si scontrano con arguzie e furberie.

La commedia fu una sorta di supergenere dal grande successo verso il quale confluirono risorse e si sperimentarono «nuovi modelli narrativi, si esplorano a tutto campo le possibilità linguistiche, si costruisce, per la prima volta, un firmamento divistico illuminato quasi del tutto al maschile198».

Negli anni Settanta ci fu l’evoluzione della commedia all’italiana, genere principe, in cui si fecero spazio temi sociali e una più forte critica sociale199. La televisione inoltre diede il successo alla saga di Don Camillo e Peppone e dagli anni Settanta in poi del cinema di Paolo Villaggio e di Nanni Moretti. Parliamo di un cinema di situazione, ma anche sempre più slegato dai ruoli della commedia dell’arte classica. Personaggi più legati alla realtà degli anni post bellici e, con il procedere del tempo, con milieu politici distanti dalla farsa bonaria. Tutte le pellicole si coprirono di una glassa amara, con ritratti di una società che aveva perso l’innocenza e la voglia di riconoscersi nei panni del povero scaltro. I topoi divennero I nuovi mostri, oppure borghesi piccoli per dimensione sociale e umana. I personaggi, anche sull’esempio di Totò, puntarono su formule memorabili e su un lavoro sulla lingua inconsueto e creativo. Si pensi all’uso grottesco dei congiuntivi di fantozziana memoria, oppure alla supercazzola di Amici miei: giochi di parole talmente divertenti da passare nel linguaggio comune. Un uso della lingua distorsivo che non passava più per i dialetti – all’inizio

197 Si pensi a Tiberio Murgia nel ruolo del siciliano geloso e retrogrado. Cfr. NICOLA FANO,

Ferribotte e mefistofele. Storia esemplare di Tiberio Murgia, Exorma, Roma, 2011.

198 GIAN PIERO BRUNETTA, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, cit., p. 529. 199 ENRICO GIACOVELLI, La commedia all'italiana, Lindau, Torino, 1995.

86 perlopiù centro-meridionali e solo dopo e in modo minoritario quelli settentrionali – ma attraverso un italiano standard che puntava ad essere ripulito, una lingua correlativo di una tragicomica aspirazione alla modernità che caratterizza il periodo.

Nella televisione, in parallelo, non ci fu la nascita delle sit-com tipiche degli Stati Uniti. I comici erano inseriti in cornici più ampie – come i varietà – dove potevano mettere in scena delle gag anche in interazione con il presentatore. La narrazione umoristica era appannaggio delle pellicole, oppure di produzioni non sistematicamente seriali (come i già citati Don Camillo e Peppone). Tutto ruotava intorno a battute ad effetto, quindi, e meno a strutture narrative: barzellette, scambi di arguzie con il presentatore che diventava la spalla, oppure veri e propri sketch comici incorniciati in uno spazio apposito. Un genere che ebbe un successo duraturo se si pensa a Zelig – nome preso in prestito ad un teatro milanese di cabaret – il programma che per vent’anni (1996-2016) fu la fucina di molti comici dell’attualità. Solo dagli anni Settanta, con un boom negli anni Ottanta, si ebbe una certa innovazione dei linguaggi televisivi, aprendosi a narrazioni semplici e ad una certa serialità, ma arrivando raramente alla serialità strutturata di tipo americano200.