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La teoria degli script e la teoria della mente come base per la

130 ANDREA C. SAMSON, Brain, Neuropsychology of Humor, in AA. VV., Encyclopedia of

59 Superando le variabili personali e sessuali che ho mostrato, ora è il caso di tornare ad un processo condiviso da tutti gli esseri umani. Da qualche decennio la teoria che raccoglie maggiori consensi per spiegare il comportamento mentale durante la cognizione è quella degli script. La teoria in realtà ha avuto numerosi nomi: frame, pattern, piano e schema per citarne alcuni. Script deriva da un termine teatrale e il suo riferimento in italiano potrebbe essere “canovaccio”. Non stiamo parlando di categorie a priori della mente umana, ma di strutture che si costituiscono nel tempo e fin dall’infanzia. E partiamo proprio con un esempio infantile: un bambino vede ripetutamente la scena dei propri genitori che acquistano oggetti. La scena manterrà dei punti ripetuti e delle variabili: le figure di un acquirente, un venditore e una merce ci saranno sempre, ma potranno essere diversi nelle loro caratteristiche. Una volta chi acquista è la madre e una volta il padre, il negozio potrà cambiare e di conseguenza anche la merce potrebbe essere diversa. La ricorsività dello schema di “vendita” produrrà nel bambino un canovaccio su cosa può accadere durante un evento simile. Ciò che si espanderà con l’esperienza sarà la quantità delle variabili possibili e di script. Gli schemi che si vanno a produrre sono riferibili anche agli oggetti, in sostanza sono i concetti che noi possediamo. Lo schema di albero che noi abbiamo è il risultato di tutti gli alberi osservati, ma non è nessuno di loro nello specifico. Ovviamente avremo sottoinsiemi e superinsiemi per ogni concetto e per ogni schema: per esempio avremmo l’insieme più specifico “querce” e l’insieme più generale “pianta”131. Una struttura simile si assomiglia agli iponimi e iperonimi della linguistica e infatti dalla teoria degli script maturerà poi la teoria di Ruskin che confluirà nella General Theory of Verbal Humor di Salvatore Attardo che tratteremo nel terzo capitolo di questa prima parte.

Ma continuiamo a definire questa particolare teoria gnoseologica con maggiore precisione. Rumelhart descrive lo script in sei punti:

1. gli schemi sono variabili;

2. gli schemi possono inserirsi ad incastro, l’uno nell’altro;

3. gli schemi rappresentano le conoscenze a ogni livello di astrazione;

131 Cfr. MARIA PIA VIGGIANO, Introduzione alla psicologia cognitiva. Modelli e metodi,

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4. gli schemi rappresentano conoscenze piuttosto che definizioni. 5. gli schemi sono processi attivi;

6. gli schemi sono dispositivi di riconoscimento che durante l’elaborazione valutano il loro grado di adeguatezza ai dati via via elaborati.132

Gli schemi sono variabili perché mutano e si dettagliano nel tempo. Il processo aiuta la comprensione, perché aiuta a incasellare gli eventi, ma dall’altra necessita di una costante messa in discussione e rielaborazione. Mentre un soggetto osserva un evento la sua mente cercherà lo schema più adatto, scartandone via via quelli meno plausibili. Le possibilità sono due: o troverà il giusto canovaccio, oppure dovrà impostarne uno totalmente nuovo. Nel primo caso, potrebbe aumentare le variabili del suo bagaglio; nel secondo dovrà trarsi nuovi punti fissi e separarli dalle variabili. Come detto anche negli schemi esistono iponimi e iperonimi, ma anche schemi e sottoschemi. Lo script “vendita” avrà al suo interno lo schema del “venditore”, della “merce”, e dell’oggetto che costituisce la merce, etc. Gli schemi possono riferirsi anche a concetti astratti, un salto logico che potrebbe stupire dato che si parte da un dato tangibile ed esperibile. Ma come detto in apertura di capitolo, la conoscenza procede anche per collegamenti metaforici, ponti che partendo dal corpo vanno a costituire un’architettura mentale ad esso collegato. Costituendo degli script e dei concetti che, anch’essi, andranno a determinarsi e precisarsi con il procedere dell’esistenza.

Di ipotesi e vissuto è formato anche il meccanismo predittivo della “teoria della mente”, definito in questo modo da Anolli e Mantovani:

La teoria della mente (TOM) è la capacità di leggere la mente degli altri (mindreading), nonché di interpretare, spiegare e prevedere le loro azioni, attribuendo a essi stati e processi mentali quali desideri, modelli interpretativi, credenze e intenzioni133.

132 DAVID E.RUMELHART, Schemi e Conoscenza, in Mente, linguaggio e apprendimento, a

cura di Dario Corno e Graziella Pozzo, La Nuova Italia, 1991, riproposto dall’associazione Lend nel 2011:

(http://www.lend.it/italia/images/archiveslend/documenti/archivio_quaderni/RUMELHAR T%20Schemi%20e%20conoscenza.pdf), p. 8.

133 LUIGI ANOLLI e FABRIZIA MANTOVANI, Come funziona la nostra mente. Apprendimento,

61 Diverso dal meccanismo empatico che – basandosi anche sui “famosi” neuroni specchio – riconosce, simulandoli cerebralmente, gli atti e i sentimenti di un altro essere. La teoria della mente ha un ruolo più predittivo e di comprensione profonda non solo di ciò che avviene, ma delle ragioni e delle intenzioni di chi opera. Anche questo processo si forma attraverso l’esperienza, in un processo similare a quello degli script ma più dinamico. Le tipologie o i modelli comportamentali delle persone infatti non possono essere applicate in maniera sistematica ad ogni singolo individuo, ma devono continuamente confrontarsi con i nuovi incontri che si possono fare. Ciò produrrà modelli e possibilità predittive sempre migliori, ma comunque sempre fallibili. La spinta alla predizione è attiva in entrambe le strutture cognitive e ha una forte tendenza alla coerenza soprattutto nella fase successiva all’evento, nella memorizzazione. La memoria, infatti, registra non tanto gli accadimenti in sé, ma gli elementi più coerenti con lo schema, aggiustando le piccole incongruenze. Solo quando le incongruenze, perché reiterate, riescono ad essere inserite nel novero delle variabili, queste si faranno spazio nei ricordi. Gli schemi non modellano solo la nostra capacità di comprensione, quindi, ma anche quella di immagazzinare le informazioni, la nostra cultura, rendendole omogenee alle nostre aspettative e “pregiudizi”.

La flessibilità e l’efficienza degli script deriva dall’esperienza e in essa vanno inserite anche le letture134. Poiché, nel loro essere struttura portante di comprensione, gli script vengono attivati anche nell’ambito della narrativa. La letteratura è uno schema che si riferisce ad altri schemi e che li affina aumentandone le varianti. Avvicinandosi alla letteratura dalla via di questa teoria potremmo pensare a Gadamer e al suo “orizzonte di aspettative” che è attivo nei lettori135. Il critico-filosofo si riferiva a qualcosa di specifico al mezzo artistico in questione, ma certo non si può negare che la nostra mente abbia delle aspettative per le diverse situazioni raccontate in un romanzo. Un orizzonte che è assimilabile al sistema di schemi che la mente si costituisce con l’esperienza, non solo esistenziale, ma anche

134 MARIA CHIARA LEVORATO, Le emozioni della lettura, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 19 e

segg.

135 Cfr. HANS GEORG GADAMER, Elementi di una teoria dell’esperienza ermeneutica, in

62 letteraria. Ma queste aspettative come sono trattate dall’umorismo narrativo? Vengono tradite? E in che modo?