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Come affermato in precedenza, la divisione tra processo cognitivo e processo emozionale è valida solo per semplificare lo studio, oppure per rendere espliciti dei meccanismi che nella realtà avvengono insieme. Il processo di conoscenza non è slegato da una larga messe di emozioni, sensazioni e intuizioni che sfuggono alla ragione e che influenzano inevitabilmente il processo logico. In questo capitolo, quindi, separerò ciò che nella realtà non è separato. Per dare un’idea della complessità del processo che andrò ad approfondire credo sia utile citare la descrizione che ne danno Anna Maria Giannini e Paolo Bonaiuto:

a) Adeguato approccio percettivo e conseguente formazione di un’immagine conflittuale o paradosso. [...] Il paradosso deriva dal confronto tra le informazioni attuali e gli schemi mentali di cui il soggetto dispone [...] b) L’immagine conflittuale, o paradosso, oltre a contraddire le aspettative, contraddice anche il bisogno di congruenza, di ordine e regolarità. Produce di conseguenza uno stato di frustrazione, di stress, di ulteriore conflitto. [...] c) [...] anche questa forma speciale di frustrazione (o stress) dà luogo a tensione emotiva ed a mobilitazione di aggressività. [...] d) L’immagine conflittuale tuttavia non ha carattere meramente negativo: essa attiva simultaneamente, e soddisfa, ulteriori istanze di per sé contrarie all’aggressione: curiosità, socialità, costruttività, auto-affermazione. [...] e) Si determina quindi un nuovo conflitto, un conflitto emotivo. [...] f) Ingredienti essenziali ed indispensabili risultano, in parallelo a quelli prima menzionati, la rassicurazione emotiva ed una qualche forma di distacco

affettivo [...]

g) Un ulteriore ingrediente indispensabile [...] è dato dal sentimento di superiorità rispetto all’immagine conflittuale. Il soggetto cioè ha l’impressione, fondata o meno, di essere in qualche modo superiore al

paradosso frustrante. [...]

h) I conflitti e gli stati di tensione determinatisi, vengono risolti ad un certo punto attraverso una condotta speciale, che è appunto la ridicolizzazione del paradosso inizialmente colto. Tale soluzione realizza un efficace compromesso fra le istanze distruttive, quelle di protezione e promozione,

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quelle di rassicurazione, distacco, superiorità psicologica: fondendole insieme ed esprimendole sinteticamente.136

Il processo descritto dai due studiosi è utile perché mostra la complessità del processo in oggetto: una incongruenza portatrice sia di un carico emotivo tale da “stressare”, sia conoscitivo capace di impegnare il fruitore per trovare una soluzione. Eppure ha il difetto che non coglie alcune sfumature.

Nel processo è fondamentale l’uso degli schemi mentali, degli script, che il fruitore ha nel suo bagaglio di conoscenze. Più sono validi e inseriti nel contesto della sua società, più sarà capace di cogliere delle incongruenze nelle narrazioni presentate. Ma se essi sono estremamente dettagliati – magari a causa dell’età o dell’esperienza, o ancora per capacità cognitive specifiche più sviluppate – è possibile sia che riescano ad inserire delle incongruenze in uno schema già conosciuto e perciò non percepirle più come tali; sia che prevedano una battuta ben prima che essa venga formulata, smorzandone il suo carico divertente. Maggiore sarà la dimestichezza con il genere, maggiori saranno le competenze e più difficile sarà ridere. Dal lato opposto, chi non è competente degli “oggetti di tensione sociale” di un determinato contesto, difficilmente riuscirà a divertirsi su una battuta su di essi: non solo non potrebbe apprezzarla emotivamente, ma anche non capirla. Ascoltare o leggere dell’ironia su personaggi politici, o su luoghi e persone di ambito strettamente locale può non portare all’ilarità se non si conoscono bene i soggetti e il carico emotivo che li investe.

Come affermato in precedenza ogni situazione che noi leggiamo e viviamo viene inserita in uno schema determinato. Nell’umorismo classico con battuta finale, che quindi fa perno smaccatamente su un meccanismo cognitivo nell’epilogo, le nostre aspettative vengono ingannate. Le premesse di una barzelletta o di una battuta partono con il suggerirci uno script, che però poi viene tradito oppure negato. Il fruitore percepirà un’incongruenza tra la sua prima interpretazione e quella più adatta alla corretta comprensione, si crea dunque una lacuna che richiede un impegno in un

136 AA. VV., Psicologia dello Humor. Selezione di contributi, a cura di Paolo Bonaiuto &

Anna Maria Giannini, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2003, pp. 89-95, corsivi nel testo.

64 processo di risoluzione dell’errore di prospettiva137. Prendiamo queste tre battute di Marcello Marchesi:

«Mi salvo sempre, grazie al mio istinto di conversazione.» (da Diario futile di un signore di mezza età).

«È sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili.» (da Il Malloppo)

«Non ho fame. Non ho sete. Non ho caldo. Non ho freddo. Non ho sonno. Non mi scappa niente. Come sono infelice.» (da Il Malloppo)

In ognuna di queste arguzie ciò che colpisce è come da delle premesse specifiche nasca uno spostamento, un’ambiguità, che chi legge non si aspetta. Nella prima un’espressione cristallizzata viene mutata dandogli un significato diverso; nella seconda viene cambiata la prospettiva comune che l’uomo buono viene traviato dalla cattive compagnie evocata nella frase di esordio; mentre nell’ultima gli elementi che vengono elencati danno una conclusione opposta a quella che normalmente ci si aspetta. Costruire incongruenze non necessita, quindi, di grandi spazi testuali, ma anche solo di un breve ed efficace giro di parole.

L’incongruenza non è un principio nuovo, ma in questi ultimi anni è stato approfondito da moltissimi studiosi del settore, tanto da farne la chiave interpretativa principale di tutto il fenomeno138. Il problema è che non tutte le incongruenze producono risate o sono umoristiche. Non si parla quindi di una identità netta ma, come mostra bene la neuro-imaging139, di una schiera complessa di fattori, in cui l’incongruenza è un aspetto necessario ma non sufficiente. Questo slittamento che risveglia la risata ha infatti delle caratteristiche specifiche: deve essere innocuo e sorprendente, creare una sfida cognitiva e colpire un argomento importante, ma non troppo sensibile, per il fruitore.

137 SALVATORE ATTARDO, Incongruity and Resolution, in Encyclopedia of Humor Studies,

cit., pp. 383-384.

138 GIOVANNANTONIO FORABOSCO, Cognitive Aspects, in AA.Vv., Encyclopedia of Humor

Studies, cit., pp. 135-137.

139 ANGELA BARTOLO, Comprehension of Humor, in Encyclopedia of Humor Studies, cit.,

65 La teoria della incongruenza-risoluzione (IR theory) d’altronde è stata soggetta a varie critiche nei suoi esordi negli anni Settanta140. Prima tra tutte quella di essere concentrata solo sull’aspetto cognitivo, oppure di non essere precisa nell’identificare cosa sia esattamente l’incongruenza e che processo sostenga la risoluzione141. Per la definizione precisa possiamo prendere in esame ciò che Grame Ritchie afferma, ovvero che l’incongruenza è uno scontro tra due significati, ma che questo può avvenire (1) in una simultaneità che non rende distinguibile i due processi, oppure (2) in un conflitto di interpretazioni o, infine, (3) in un cambiamento di script che cambia nella battuta finale142. Se l’ultima casistica è perfettamente spiegata

dagli esempi di Marchesi proposti poco sopra e rappresenta a pieno il processo I-R, la prima avrà da principio una situazione che mostra già chiaramente degli aspetti paradossali e non pienamente reali, dove sia l’incongruenza che la soluzione sono dunque già nell’enunciato. Il secondo tipo invece non ha né uno stravolgimento repentino, ma neppure un assurdità già posta: arriva nella fase interpretativa, facendo scontrare due interpretazioni entrambe possibili, e quindi cariche di ambiguità. Ad ognuno di queste incongruenze seguirà un processo di risoluzione diverso con l’attivazione di parti differenti del cervello.

Quando affrontiamo contingenze che non si conformano a pieno ai precedenti canovacci ne costruiamo degli altri oppure aggiungiamo variabili a quelli pre-esistenti affrontando però un impegno mentale, che nello humor deve essere mirato al riso. Per aumentare le possibilità di una risata, ponendo nella giusta attitudine il destinatario, l’evento umoristico è spesso annunciato da fattori esterni ad esso che pongono la mente in una condizione di gioco cognitivo143 in cui il fruitore è pronto ad una sfida e in cui lui dovrà trovare un problema con la relativa soluzione. Da notare che anche qui torna il tema del gioco già citato in conclusione della prima parte. Dal punto di vista della sensibilizzazione nel parlato esistono formule

140 Cfr. JERRY M.SULS, L'apprezzamento di barzellette e di cartoon in un modello a due

fasi: un'analisi del processo informazionale, in La psicologia dello humour. Prospettive teoriche e questioni empiriche, cit.

141 Alcune di queste critiche verranno approfondite nel successivo paragrafo.

142 GRAEME RITCHIE, Variants of Incongruity Resolution, in «Journal of Literary Theory»,

2009, vol. 3, n° 2, pp. 313-332.

143 JOHN MORREALL, Humor as Cognitive Play, in «Journal of Literary Theory», 2009, vol.

66 classiche (“la sai quella...”, “ne ho sentito una che...”, etc.) oppure modalità espressive e gesti che introducono la battuta. Nello scritto invece oltre al genere denunciato in copertina può venire in soccorso il tono della scrittura. Si crea una cornice in cui le incongruenze vengono attese e quando presenti risolte nella maniera più consona. Questo crea un gioco di aspettative e di frustrazione, dilatazione e soddisfazione di esse. La sensibilizzazione non sarà solo verso l’umorismo in sé, ma anche verso il tema, per farlo divenire saliente. Su quest’ultimo concetto credo sia necessaria una definizione precisa:

Il principio della salienza riguarda, in sostanza, quanto per un dato soggetto un argomento è attuale e significativo. Quanto è presente nella sua attenzione (aspetto cognitivo) e quanto lo coinvolge e tocca aree motivazionali, emotive e affettive sensibili (aspetto dinamico)144

La salienza si può stimolare attraverso una narrazione e l’immedesimazione, ma mantiene comunque una grossa specificità sociale, culturale e individuale. Aspetti che abbiamo sondato nei capitoli precedenti.

Veniamo dunque all’altro ramo del processo cognitivo, quello più dibattuto: la risoluzione. Dato che le incongruenze sono diverse per tipologia e per momento di esplicazione, anche la loro soluzione sarà diversa. Forabosco divide questi meccanismi in due grandi tipologie: quelli con risoluzione bifase, dove il momento di percezione del paradosso e quello dello scioglimento sono separati; e quelli monofase, quando si presenta una contemporaneità tra le due azioni145. Le situazioni IR monofase non sono solo quelle che ha accennato Ritchie, ma anche quelle che si mostrano innocue di colpo, oppure che negano il possibile impegno che viene richiesto in precedenza.

Le circostanze ilari che hanno una struttura in due tempi hanno, come è prevedibile, vari livelli di complessità. L’idea di una sequenzialità salta nel momento in cui si acquisisca l’esistenza di un umorismo monofase e immediato, e aiuta anche a sfumare un’idea meccanicistica di un processo che in realtà non segue un percorso prefissato. Il tema è stato piuttosto dibattuto e diverse opinioni si sono succedute nella letteratura scientifica,

144 Ivi, p. 57

67 noi analizzeremo tre ipotesi basilari: (1) ogni incongruenza ha una netta soluzione; (2) alcune incongruenze hanno una soluzione piena, altre assente; (3) le incongruenze umoristiche hanno solo uno scioglimento parziale. La prima tesi era forte nei primi studi che facevano propri la teoria IR146: l’incongruenza come deviazione degli script veniva reinserita in essi come variabile più o meno realistica tanto da poter essere esclusa dal novero futuro delle incongruenze. La seconda ipotesi portata avanti soprattutto da Willibald Rusch147, a differenza della terza, ammette le idee della prima fase della teoria IR, ma aggiunge delle possibilità in cui la soluzione non avviene, come per esempio nel nonsense. L’ipotesi è quindi binaria e non esiste una soluzione mediana e aperta che renda plausibile una soluzione che non concluda il ragionamento e mantenga vivi i paradossi, cosa che avviene invece in Elliott Oring che teorizza l’appropriate incongruity148. In Oring la soluzione non è logicamente valida, ma piuttosto psicologicamente valida, è una incongruenza appropriata, e cioè rimane aperta e viva, ma coerente con un elemento psicologico percepito nell’evento umoristico. Non è quindi un processo esclusivamente logico e cognitivo, ma coinvolge la psiche su più dimensioni. Una coerenza che può essere valida anche se percepita come meno definibile, come per il nonsense, poiché il problem solving attivo nello humor non è matematico in cui tutto torna in un ordine dato, ma plurilivello. Avner Ziv, in riferimento a questo tipo di ragionamento, parla di local logic:

I have called local logic, which occupies a middle position between logical and pathological thinking. In the former, the rules of logic are in continuous control; the problems dealt with and the solutions found are all on realistic plane; and there is no room for fantasy or comprehension of the absurd. Pathological thinking, on the another hand, is characterized by a separation from reality, and its conceptual process take no account of the rules of logic. Fantasy and absurd are in control and are perceived as reality.

Local-logical thinking uses and enjoys both logic and fantasy without confusing them, and offers solutions that involve one or the other as required

146 Il già citato Suls e anche THOMAS R.SHULTZ e FRANCES HORIBE, Development of the

appreciation of verbal jokes, in «Developmental Psychology» 1974, vol. 10, n° 1, pp. 13-

20.

147 WILLIBALD RUSCH, Psychology of Humor, in AA. VV., Priemer of humor research, cit. e

ID., Assessment of appreciation of humor: Studies with the 3 WD humor test, in Advanced

in personality assessment, a cura di Charles D. Spielberger e James N. Butcher, Lawrence

Erlbaum Associates, Hillsdale NJ, 1992, pp. 27–75.

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by the context. An inclination towards humor calls for paralogical thinking of this sort, if one is to comprehend and enjoy both the world of reality and the world of imagination149.

Una logica che rende consapevole il pensiero pre e anti razionale, inserendolo in uno scenario accettabile e conscio. Un meccanismo molto potente tanto da essere usato in alcune scuole di psicoterapia per influire sulla struttura degli script. Victor Frankl prima e soprattutto Albert Ellis, intorno alla fine degli anni Ottanta, notarono come stimolando l’umorismo in alcuni pazienti affetti da ansia, depressione e disturbi assimilabili a quello spettro patologico, si riuscisse a riprogrammare le aspettative e le paure che bloccavano i soggetti. Il meccanismo di reframming, rendeva innocue le paure attraverso il ridicolo, e all’opposto saldava il legame di quei frame con sensazioni positive e divertenti. Lo humor riesce a unire ciò che non può essere unito attraverso una logica razionale, dando la possibilità di creare nuovi sensi e adattarsi a situazioni complesse150.