Capitolo IV°: Le entrate e le uscite del
5. Alcune considerazioni sulle entrate del
Sempre sottolineando, che ogni convento aveva una sua specifica individualità, caratterizzata dalla sua estensione, dal numero dei religiosi presenti, dal luogo in cui sorgeva e non ultimo dall’ordine religioso di appartenenza, almeno tre profili comuni nell’assetto economico erano sempre presenti. Si trattava della proprietà fondiaria e dei conseguenti frutti che da essa derivavano, delle opere di carità dei fedeli e della fervente attività di prestito ad interesse.
In tal senso, se rispetto agli introiti procurati dalla produzione agraria, il convento di Santa Maria della Scala sembrava mostrare un’attività commerciale poco fiorente, le cui cause potevano risiedere soprattutto nella prevalenza verso l’autoconsumo, rispetto all’attività di prestito, i religiosi si mostrarono al contrario molto più attenti, tanto che
354 M.A. Visceglia, Il bisogno di eternità: i comportamenti aristocratici a Napoli in età moderna, Guida, Napoli 1988 pag. 118-120.
355 G.M. Giberti, Le Costituzioni per il clero, a cura di Roberto Pasquali, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, Vicenza 2000, pp. 317-319.
tale voce con lire venete 2784 rappresentava, la seconda entrata del convento per l’anno 1680.
Quindi se nel caso dei frutti della terra Santa Maria della Scala si poteva, almeno in parte, considerare in controtendenza rispetto alla generalità delle altre istituzioni religiose, riguardo ai prestiti ad interesse il convento intraprese invece la linea che gli enti ecclesiastici perseguivano con particolare dovizia, tanto da far diventare questa operazione, il vero punto di riferimento del sistema economico di conventi e monasteri; Giorgio Borelli occupandosi del vario intrecciarsi dei redditi e della ricchezza degli enti ecclesiastici, dopo aver sottolineato come non sia possibile “costruire una tipologia della struttura del patrimonio di chiese e conventi che valga, come una sorta di universale apriscatole, a restituircene in ogni caso i contorni”, ha ribadito che in tutte quelle gestioni “il connotato che più colpisce è in definitiva l’imponente attività di prestito357”.
Nel corso dell’evo moderno e per quello che ci riguarda, dal tardo Seicento in avanti, questa fervente attività di prestito era venuta di fatto, istituzionalizzandosi, affiancando gli interventi del Santo Monte di Pietà358, nelle richieste di finanziamento provenienti dagli strati medio alti della società.
357 G. Borelli, Aspetti e forme, op. cit., pag. 164. Sulla stessa linea interpretativa si muovono anche altri storici:
G. Corazzol, Fitti, op. cit.;
G. Zalin, Denaro in entrata, op. cit.; De Luca, Commercio del denaro, op. cit.; D. Ivone, Le attività, op. cit.;
M. Pegrari, La finanza, op. cit.; L. Aloni, I censi, op. cit.;
358I Monti di Pietà sorsero nel Quattrocento, un secolo di crisi, ad opera dell’ordine dei Francescani che presero tale iniziativa per sovvenire alle necessità dei ceti meno abbienti. I Monti rappresentavano le concretizzazioni economiche di quella etica francescana, sensibile alla dinamica economica del tempo, che puntava all’aiuto dei poveri (non i marginali comunque, i quali erano esclusi dalla politica di aiuto francescana) o in generale delle classi piccolo borghesi e si inoltrava, forse tortuosamente, nel labirinto della riflessione sul costo del denaro e nel dibattito sull’usura. In tal senso prendeva corpo l’idea del Monte quale strumento di calmierazione del costo del denaro a vantaggio delle forze del lavoro avanzanti e di pari all’idea della capacità del Monte di erogare, anche se in forme timide, credito per la produzione e per il commercio. Esperienza dei Monti come espressione prima dell’esigenza di un controllo della comunità sopra il reddito dei prestiti monetari e il reddito dell’investimento attivo e come proclamazione del risparmio quale obiettivo sociale e religioso ad un tempo. I Monti di Pietà prestavano su pegno piccole somme. Il primo Monte di Pietà sorse a Perugia nel 1462 e ben presto l’istituzione ebbe successo nell’Italia centro settentrionale.
Risulta interessante sottolineare la rilevanza dell’elemento politico nella diffusione dei Monti, in altre parole sembra importante non trascurare i diversi percorsi che hanno caratterizzato i Monti negli antichi stati italiani, cosicché, se in alcuni centri i Monti hanno dilatato progressivamente la loro attività finanziaria, in altri si sono impegnati soprattutto in una attività assistenziale, di sostegno alle frange più
Poco importava su questo punto l’atteggiamento critico e intransigente propugnato dalla chiesa, a fronte di quelle ingenti somme in possesso delle istituzioni religiose, che senza particolari sforzi potevano garantire delle rendite sicure anche per lassi di tempo molto lunghi.
E’ vero che i prestiti, potevano risultare favorevoli ai debitori, in quanto soggetti a tassi di interesse vantaggiosi e alla possibilità di dilazionare nel tempo il rientro, oltre al fatto di pagare solo il nudo interesse senza quota di reintegro del capitale, ma, certamente lo erano anche per i religiosi, che in questo modo avevano la possibilità, non solo di garantire un reddito ai capitali, costante nel tempo, ma in caso di insolvenza dei debitori potevano entrare in possesso di quei beni, che tali individui avevano, nella maggioranza dei casi, con atto pubblico davanti ad un notaio359, messo in garanzia e che riguardavano prioritariamente terreni, più o meno coltivabili, o immobili.
deboli della popolazione a cui continuavano esclusivamente ad erogare prestiti a tassi contenuti e talora anche a tasso zero, come nel caso di Verona, Padova, Udine.
Il fondo iniziale dei Monti venne costituito con lasciti, collette, donazioni da parte di privati ma anche con l’intervento delle civiche amministrazioni interessate ad una istituzione, che essendo concorrenziale a quella dei banchi ebraici, mirava a smussare il malcontento delle masse urbane attuando una politica di prestito su pegno ad esse assai favorevole. In genere l’ammontare del prestito era contenuto in modo da poter soddisfare il più ampio ventaglio possibile di richiedenti. Se la vendita del pegno del debitore insolvente non bastava a far recuperare al Monte per intero il suo credito, il cliente era tenuto al risarcimento. La durata del prestito era a sei mesi. In una fase iniziale i Monti di Pietà non chiesero interessi sull’operazione. Tuttavia ciò alla lunga rappresentò un pericolo per la sopravvivenza dei Monti stessi. Essi avevano, infatti notevoli spese di gestione, dovute al gran numero di scritture che si dovevano tenere, atteso l’alto numero di operazioni poste in essere. Fu così che i Monti iniziarono a chiedere un modico interesse sulle operazioni che variava tra il 2% e il 5%. Tale interesse era destinato a coprire le spese di gestione. La scelta operata dai Francescani attirò loro i fulmini dell’ordine dei Domenicani, rigorosi difensori della tesi della gratuità del prestito. La controversia che infiammò il mondo ecclesiastico venne chiusa da Leone X con la bolla Inter multiplices nel 1515. Con essa si legittimavano pienamente i Monti di Pietà e li si autorizzava a percepire un modico interesse sulle operazioni poste in essere. Ben presto i Monti di Pietà accettarono depositi a titolo gratuito a scopo di custodia che dovevano restituire alla richiesta dei depositanti. Ma ben presto anche i Monti di Pietà accesero le brame dei ceti dirigenti delle città che fecero di tutto per estromettere i Francescani, che si videro così costretti a fissare sui depositi un tasso di interesse (solitamente del 4 o 5%), che il Monte dovette pagare ai depositanti. Paolo Prodi parlava di una sterilità della disputa se i Monti siano stati istituzioni bancarie o opere pie di beneficenza essendo stati inseparabilmente e organicamente una cosa e l’altra. Attività quali la raccolta sistematica del risparmio e l’erogazione del credito ritenute ai margini della comunità si sono trasformate nei Monti in opere di Misericordia,
P. Prodi, La nascita dei Monti di Pietà: tra solidarismo cristiano e logica del profitto, in Annali dell’Istituto Storico Italo-germanico in Trento, VIII, 1982, pp. 211-224.
Per ulteriori approfondimenti circa il ruolo economico assunto dai Monti di Pietà in epoca moderna, si veda, G. Borelli, Questioni di Storia, op. cit., pp. 191-192;
P. Lanaro, Prestito e carità nei Monti di Pietà: una riflessione storiografica, in a cura di A. Pastore e M. Garbellotti, L’uso del denaro. Patrimoni e amministrazione nei luoghi pii e negli enti ecclesiastici in Italia (secoli XV-XVIII), Il Mulino, Bologna, pp. 96-98.
359 Chi prestava voleva il notaio per costituirsi un titolo di credito privilegiato e forte, che lo garantisse pienamente.
Ad alimentare l’attività di prestito di conventi e monasteri, vista la poca propensione dei religiosi nell’affrontare impegni gravosi sia sul piano degli investimenti che degli acquisti360, concorrevano sicuramente le elemosine e in tal senso Santa Maria delle Scala, si dimostrava un esempio particolarmente interessante, in quanto questa voce era quella che risultava la più importante, nelle dinamiche delle entrate del convento, con 5960 lire venete, tale da risultare più del doppio del valore dei livelli affrancabili ottenuti dagli interessi sui prestiti.
Insieme alle elemosine, sempre in un’ottica propriamente di carattere spirituale, non erano da trascurare i proventi dei livelli con obbligo di messe, anniversari e offici, i quali con 1646 lire venete rappresentavano una voce significativa nel bilancio economico del convento.
Rappresentate nella loro struttura le entrate, si può passare ad esaminare quali erano le dinamiche di uscita presenti a Santa Maria della Scala nel 1680.