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Capitolo II°: Il patrimonio nel

4. I livelli affrancabil

Dopo l’analisi delle possessioni fondiarie e della loro gestione, la polizza di estimo delineava il corso dei livelli affrancabili, la cui caratteristica era quella di mascherare il prestito ad interesse, in quanto tale “pratica” era particolarmente invisa alle autorità ecclesiastiche.

Questa avversione si fondava sostanzialmente su tre argomentazioni. La prima si rifaceva alla definizione Aristotelica di denaro, “il denaro non genera denaro”; da cui seguiva che il denaro nella sua essenza era sterile. La seconda si riferiva ad un brano del Vangelo di San Luca, “mutuum date nihil inde sperantes”, contenuto nel discorso della montagna: “E se voi prestate denaro soltanto a quelli dai quali sperate di riaverne, Dio come potrà essere contento di voi? Anche quelli che non pensano a Dio concedono prestiti ai loro Amici per riceverne altrettanto! Voi, invece, amate anche i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare di riceverne nulla in cambio, allora la vostra ricompensa sarà grande; sarete veramente figli di Dio che è buono anche verso gli ingrati e i cattivi” (Luca, VI, 34 – 35). La terza argomentazione rimandava alla meditazione di Sant’Agostino sul tempo. Nell’atto di prestito, colui che presta, lucra in sostanza sul tempo, ricava un “prò” per il periodo in cui si è privato di una somma di denaro prestandola ad altri. Ora lucrare sul tempo secondo la chiesa non era lecito, perché il tempo non è dell’uomo ma di Dio. Quindi ogni forma di lucro sul tempo era un furto, un atto contro la Divinità77.

Quando a partire dal XII secolo in Europa le città presero vigore e iniziò a radicarsi un’economia di scambio fondata sulla moneta, il prestito ad interesse iniziò a diffondersi. La chiesa reagì con forza e in diversi Concili condannò la pratica del prestito ad interesse, come usura.

Una avversione conclamata nei confronti del prestito, che nel pensiero della chiesa segue un filo rosso, che corre da Sant’Ambrogio, “Usura est plus accipire quam dare” e da San Girolamo, si definisce usura e sovrappiù qualunque cosa, se si è preso più di quanto si sia dato, a Graziano, “Quicquid ultra sortem exigitur usura est” e alla

“Decretale Consuluit” di Urbano III del 1187, inserita nel codice di diritto canonico,

che a chiare lettere fissava i seguenti punti: “a) è usura tutto ciò che viene richiesto in cambio di un prestito, oltre al prestito stesso; b) riscuotere una usura è un peccato proibito dal Vecchio e dal Nuovo Testamento; c) la sola speranza di un bene in contraccambio che vada oltre il bene stesso è un peccato; d) le usure debbono essere integralmente restituite al loro legittimo possessore; e) prezzi più alti per la vendita a credito costituiscono usure implicite78”.

Tuttavia con i traffici che crescevano e con l’economia monetaria che si affermava in modo sempre più pregnante, la chiesa attraverso una complessa mediazione pervenne, ad una interpretazione evolutiva della sua originaria posizione, in ordine al prestito ad interesse.

La richiesta di un “prò” sulle somme prestate si iniziò a giustificare alla luce di quattro principi:

1) danno emergente per il quale chi presta una somma di denaro risente di un danno per il periodo in cui si priva dello stesso; 2) lucro cessante attraverso il quale l’atto di prestito si concreta per il prestatore in una sorta di astensione dalla possibilità di spendere con profitto il denaro prestato;

3) stipendium laboris, l’attività di prestito è un lavoro, richiede tempo, impegno, conoscenze tecniche, tenuta di contabilità; 4) periculum sortis in virtù del quale il prestatore avrebbe corso un rischio nella sua attività. Questi principi finirono nell’elaborazione ecclesiastica per rappresentare una sorta di “maglia”, entro la quale si giustificò in seguito il prestito ad interesse79.

Non è comunque da escludere, che l’originaria avversione della chiesa per il prestito ad interesse, non possa aver condizionato negli anni successivi, il tipo di comportamento adottato all’interno di conventi e monasteri.

Al riguardo seppur quantitativamente fiorente e vasta l’attività di prestito di monasteri e conventi tra ‘600 e ‘700, risulta comunque contrassegnata da condizioni di prestito molto favorevoli per i debitori, sia nei termini del tasso di interesse applicato, sia

78 G. Borelli, Questioni di Storia, op. cit., pag. 189. 79 G. Borelli, Questioni di Storia, op. cit., pag. 190.

rispetto al protrarsi dei tempi di scadenza per l’estinzione, che poteva durare anche per tempi assai lunghi80.

Se i prestiti erano soprattutto orientati verso le famiglie patrizie, non mancavano esempi relativi ad operazioni di prestito verso specifiche comunità81 e non erano assenti neppure operazioni, nelle quali conventi e monasteri elargirono prestiti al Reverendo clero82.

Le condizioni di prestito permettevano soprattutto alle molte famiglie illustri dei patriziati cittadini, i destinatari prioritari dei prestiti in quanto per definizione solvibili e degni della massima fiducia, di concludere lucrosi affari, senza impegnare denaro proprio, in misura rilevante83.

L’insofferenza da parte delle autorità ecclesiastiche nei confronti dei prestiti ad interesse, seppure mitigata nel corso del tempo, non influenzava le istituzioni religiose solo in ragione alle condizioni di prestito, ma le costringeva molto spesso a dover mascherare tale attività, attraverso una particolare forma contrattuale, quella appunto del livello affrancabile. A tale proposito Giorgio Borelli sottolinea che “attraverso questo tipo di contratto, due individui Tizio e Caio, che nella realtà erano entrati in un rapporto

80

Alcuni esempi in tal senso evidenziano, che nel 1536 il patrizio veronese Gio: Batta Carminati l’otto giugno di quell’anno stipulò davanti al notaio Bernardo Burana, un atto in virtù del quale il monastero di San Giovanni Evangelista alla Beverara gli conferì a prestito 40 ducati; il debitore si impegnava a pagare 13 lire venete l’anno. Il monastero non si dimostrò particolarmente puntiglioso nell’esazione, se gli eredi Carminati si affrancarono il debito dei 40 ducati soltanto il 21 maggio 1711, con atto del notaio Giovanni Bernardi. Un altro patrizio veronese, Ottavio Poeta, il 18 aprile 1550 prendeva a prestito con regolare atto davanti al notaio Pietro Ciringhelli 100 ducati, sempre dal monastero di San Giovanni Evangelista alla Beverara, cui si impegnava di corrispondere lire venete 29, soldi 1 e denari 6 a cadenza annuale. Un erede di Ottavio, il nobile Antonio Verità-Poeta estinse l’impegno con 100 ducati solo il 13 maggio 1707. In entrambi i casi la restituzione del capitale prestato avvenne quasi dopo due secoli, il che da parte del monastero non risultò segno di particolare avvedutezza capitalistica nella gestione dei propri crediti. Il tasso di interesse, nelle due operazioni si aggirava intorno al 4,5% e tale rimase per quasi duecento anni evidenziando certo, di non essere riguardato come una manifestazione di cupidigia, G. Borelli Aspetti e forme, op. cit, pag. 130.

81 Era il caso del monastero di Sant’Antonio dal Corso, che nel 1694 conferì con atto davanti al notaio Sigismondo Verdello un prestito alla comunità di Povegliano di 1000 ducati ad un tasso del 6%. Soltanto il 5 giugno 1776, vale a dire ottanta anni dopo, innanzi al notaio Vincenzo Ferro avvenne la restituzione con tasso e somma invariati81, G. Borelli Aspetti e forme, op. cit., pag. 130

82 Si trattava del monastero di San Cristoforo, che il 7 febbraio 1680, con atto del notaio Vincenzo Ferro, consegnava a prestito al Reverendo clero la somma di 1000 ducati ad un interesse del 4%. Il Reverendo clero affrancò il suo debito solo il giorno 8 agosto 1739, con atto davanti al notaio Alessandri, circa quindi sessanta anni dopo, G. Borelli Aspetti e forme, op. cit., pag. 131.

83 E’ doveroso sottolineare che relativamente all’attività di prestito degli enti religiosi, un ruolo particolarmente significativo era assunto dalle istituzioni femminili, in quanto le doti che accompagnavano la professione di fede delle religiose erano rappresentate da una cospicua disponibilità di denaro, G. Zalin, Denaro in entrata, denaro in uscita, l’attività creditizia dei Paolotti Scaligeri nel Settecento, in Mercanti e vita economica nella Repubblica Veneta (secoli XIII – XVIII), Banca Popolare di Verona, 1985, pp. 455-457.

di prestito ad interesse, in cui Tizio faceva credito a Caio e questi si impegnava a corrispondere una quota di interessi sul capitale prestato, mascheravano questa operazione facendo figurare, con un atto notarile, che Caio vendeva a Tizio un bene immobile, per il valore della somma prestatagli. Tizio contestualmente instaurava un rapporto livellario con Caio trasferendogli il bene, sul quale Caio si impegnava, proprio in ragione della concessione livellaria, a pagare annualmente un canone o un censo livellario, il cui importo risultava pari alla somma dovuta da Caio a Tizio, a titolo di interessi. Il rapporto livellario si estingueva nel momento, in cui la somma da Caio fosse stata restituita a Tizio. All’originaria vendita fittizia era di solito unito un patto di retrovendita e nel patto livellario era prevista l’affrancazione84”.

Sulla base di queste premesse dalla polizza di estimo risultavano 101 livelli affrancabili, che ammontavano a lire venete 2943, soldi 7, denari 4. La grande maggioranza risultava in denaro, solo una esigua parte presentava pagamenti in natura, mentre tre annoveravano insieme denaro e prodotti in natura,

Bernardin de Chiechi da Montorio in luoco de Bortolamio Facenda paga troni

dieci, brenti sei oglio; L. 10

Li eredi di Vincenzo Righi in luoco della Eccelsa Marchesa Suor Dominilla Quondam de Zuane Zanetta pagano annui troni cinque, soldi undici et un

peso di cappone; L. 5 : 11

84 Nel suo complesso l’argomento riferito ai livelli affrancabili è stato approfondito attraverso i seguenti riferimenti bibliografici, quali: G. Corazzol, Fitti e livelli a grano, Angeli, Milano 1979;

G. Borelli, Aspetti e forme, op. cit.;

G. Borelli, Analisi della struttura patrimoniale di un monastero in età preindustriale, Economia e storia, 1983

F. Vecchiato, Sul prestito rurale, Studi Storici Luigi Simeoni, XXXIII, 1983; G. Zalin, Denaro in entrata, op. cit.;

D. Ivone, Le attività di prestito degli enti ecclesiastici nel Regno di Napoli. Proprietà e censi nella chiesa di Squillace, Napoli 1988;

G. Zalin, Un’azienda del 700 veronese. Patrimonio redditi e spese del monastero di Santa Maria delle Vergini, in Archivio Veneto V°, Volume 140, 1993;

M.L. Ferrari, Nobili di provincia al tramonto dell’antico regime. I marchesi Dionisi di Verona 1719 – 1866, Verona 1995;

G. De Luca, Commercio del denaro e crescita economica a Milano tra Cinquecento e Seicento, Milano 1996;

F. Landi, Per una storia dei falsi in bilancio: le contabilità pubbliche dei conventi e dei luoghi pii, in L’uso del denaro. Patrimoni e amministrazione nei luoghi pii e negli enti ecclesiastici in Italia, a cura di A. Pastori, M. Garbellotti, Bologna 2001;

V. Chilese, Una città nel Seicento Veneto. Verona attraverso le fonti fiscali del 1653, Verona 2002; M. Pegrari, La finanza e la fede. Le attività creditizie negli enti religiosi e laici nella Terraferma veneta. Il caso di Brescia (XVIII secolo), in a cura di F. Landi, Confische e sviluppo capitalistico. I grandi patrimoni del clero regolare in età moderna in Europa e nel continente americano, Franco Angeli, Milano 2004.

Dionisio Bertolosi in luoco de Mattio Conise paga annui troni cinque,

soldi undici et un peso di cappone; L. 5 : 11

Relativamente a quelli in denaro, si andava da livelli affrancabili di una certa consistenza,

Cristoforo maggio censo dal Quondam Signor Giacomo Ferrarese paga

ogni anno troni cento ottantaquattro, soldi quattro; L. 184 : 4 Il Signor Pietro Francesco et fratelli Trivella in luoco del Quondam Signor

Agostin Quondam Antonio Trivella pagano annui troni cento sessantasei,

soldi tredici, dinari quattro; L. 166 : 13: 4

Il Signor Giacomo Peccana in luoco del Signor Girolamo Moscaglia paga annui troni

cento quarantaotto, soldi sedici; L. 148 : 16

ad altri di valore meno oneroso,

Li eredi di Girolamo Mutoni in luoco del Quondam Signor Cristoforo Franchi pagano per un minale de formento redoto a dinari, troni doi; L. 2 Il Signor Tommaso da Monte in luoco del Signor Lazaro da Monte paga annui troni

quattro, soldi otto, dinari otto; L. 4 : 8 : 8

Girolamo et fratelli Benella in luoco de Lorenzo paga troni cinque,

soldi quattro; L. 5 : 485.

La media dei livelli affrancabili si attesta a lire venete 31, soldi 8, denari 2, mentre la

standard deviation86 presenta un valore di 41, decisamente elevato e tale da evidenziare, che questi introiti si presentavano in modo relativamente difforme, rispetto all’entità monetaria.

Questa risultanza potrebbe sottendere, che i prestiti del convento si basassero in misura non trascurabile sulla fiducia e di conseguenza coloro che ne godevano in misura maggiore agli occhi dei padri, probabilmente avevano l’opportunità di ricevere prestiti di entità più rilevante, mentre gli altri si dovevano accontentare di prestiti più contenuti; fiducia che necessariamente doveva dipendere dal rango sociale del debitore e dal grado di sicurezza, con il quale i religiosi presumevano, che potesse onorare il prestito. Dai dati comunque emerge, che se questo fosse vero, i padri centellinavano molto la loro fiducia visto, che su 95 livelli affrancabili in denaro, solo 7 superavano le 100 lire venete (7,4%) e 51 risultavano inferiori alle 15 lire venete (53,7%).

85 A.S.VR, A.E.P. 1680, registro n. 334, Busta 34, carte non numerate.

86 La standard deviation rappresenta la somma degli scarti di ogni caso dalla media, elevati al quadrato; tale somma è divisa per il numero dei casi e dal risultato ottenuto si estrae la radice quadrata, P.Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1999, pag. 509. Un valore elevato della standard deviation sottende che i dati in esame sono particolarmente eterogenei, in quanto risulta significativa la loro “distanza” dal valore medio. Non esiste un valore limite per definire se la standard deviation sia accettabile; ovviamente un risultato che riporta parecchie decine (41), come quello rappresentato nel nostro caso induce a pensare che i dati esaminati siano di natura particolarmente diversa fra loro.

Rispetto all’attività di prestito è possibile tentare attraverso l’esame della polizza di estimo, un confronto con altri monasteri cittadini. San Fermo maggiore riscuoteva tra città e territorio oltre 4000 lire venete sotto forma di livelli, Santa Eufemia per livelli (o fitti) percepiva lire venete 4127 e San Domenico scuoteva per canoni livellari o interessi su prestiti lire venete 936, soldi 6, denari 487.

Seppure gli esempi risultano particolarmente limitati emerge comunque, che Santa Maria della Scala, rispetto ai livelli affrancabili si trovava in linea con altri monasteri cittadini, tolto in questo caso San Domenico, che non arrivava alle 1000 lire venete.