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Capitolo III° : La struttura del patrimonio nel

2. Le proprietà fondiarie

La struttura fondiaria, come nel 1680, si trovava ancora localizzata a Vigasio e come allora, suddivisa in tre possessioni, che risultavano così costituite,

Possiede una possessione di campi novantaquattro in circa giacente in pertinenza di Vigasio sotto Verona in più campi nella contrà e confini infrascritti

Un’altra possessione nella detta villa di Vigasio in contrà di Spion detta S. Bernardin di campi settanta sabionella, arativi n. cinquanta, vigne n. vinti

Altra possessione in detta villa in contrà della Colombara di campi sessanta in circa con una valle di campi due in circa, arativi cinquanta, vegri dieci sabionella valutati li arativi ducati dieci e li vegri ducati cinque141

La tabella e il grafico che segue illustrano nel dettaglio, le caratteristiche delle proprietà terriere del convento nel 1724.

140 Per definire nel modo migliore la metodologia di analisi abbiamo trattato insieme, i livelli inesigibili “sotto e sopra i 40 anni” e quelli considerati ormai perduti, anche se all’interno della polizza di estimo erano presentati in un ordine diverso.

Tabella 1: Le caratteristiche delle possessioni fondiarie nel 1680 Proprietà Tipo di terra N° campi Valore di un campo in ducati Valore possedimento in ducati

Vigasio: Contrà del Cavamento

Arativa con

vigne 12 10 120

Vigasio: Contrà della Morandina

Arativa con

vigne 34 15 510

Vigasio: Contrà della Motta Arativa con vigne 3 15 45 Vigasio: Contrà de Lonerin Arativa con vigne 26 15 390

Vigasio: Contrà della Albara Arativa garba 4 15 60 Vigasio:Contrà di Pontion Arativa con vigne 10 15 150 Vigasio:Contrà di Pontion Arativa con vigne 2 15 30 Vigasio: Contrà de Giarella Arativa con vigne 2 15 30

Povelian: Contrà del Prà Arativa 1 10 10

Totale 94 1345

Vigasio: Contrà de Spion, San Bernardino

Arativa con

vigne 43 10 430

Vigasio: Contrà de

Spion, San Bernardino Vegra 20 5 100

Vigasio: Contrà de Spion, La Bottesola

Arativa con

vigne 5 10 50

Vigasio: Contrà de Spion, Campo dell'Anel

Arativa con

vigne 2 10 20

Totale 70 600

Vigasio: Contrà della Colombara

Arativa con

vigne 51 10 510

Vigasio: Contrà della

Colombara Vegra 10 5 50

Vigasio: Contrà della

Colombara, del Casotto Arativa 1 10 10

Totale 62 570

Totale possedimenti

Grafico 1: Distribuzione del complesso dei terreni nel 1680 secondo l’utilizzo nel 1680

Arativa

Arativa con vigne Arativa garba Vegra

Nel loro insieme le proprietà fondiarie erano costituite da 226 campi veronesi e il loro valore complessivo ammontava a 2515 ducati, con la prima possessione, che si attestava a 1345 ducati, la seconda a ducati 600 e infine la terza a 570 ducati.

La grande maggioranza dei terreni si presentava coltivata; nello specifico predominavano le terre arative con vigne, 190 (84%). Risultavano solo 2 i terreni arativi e 4 erano quelli arativi garbi, mentre le terre vegre, ossia quelle non coltivate, risultavano essere 30 (13,3%); complessivamente i campi arativi risultavano 196 (86,7%).

Più in dettaglio nella prima possessione le terre arative con vigne risultavano 89, che su 94 campi rappresentavano circa il 95% della stessa proprietà; sempre in questo possedimento si trovava un solo campo arativo e le 4 terre arative garbe. Anche nella seconda possessione predominavano le terre arative con vigne, 50, che su un totale di 70 campi rappresentavano circa il 72% di questa proprietà, in cui erano presenti anche 20 campi di terra vegra. Il terzo possedimento fondiario, con un totale di 62 campi, si caratterizzava per averne 51 arativi con vigne (82,2%), uno arativo e 10 di terra vegra.

Rispetto alla stima dei fondi, gli arativi con vigne della prima possessione presentavano un valore di ducati 15 il campo142, così come gli arativi garbi, mentre quello degli arativi ammontava a 10 ducati il fondo.

Nel secondo possedimento fondiario, il valore di ogni campo arativo con vigne risultava di 10 ducati, la differenza con gli stessi campi della prima possessione era motivata, molto probabilmente dal tipo di terreno di questa seconda proprietà, che risultava di terra sabbiosa e quindi tale da garantire una minore produttività; sempre in questa possessione, i campi vegri erano valutati 5 ducati il campo. Nella terza proprietà i fondi arativi con vigne risultavano valutati 10 ducati il campo, l’arativo sempre 10 ducati, mentre i vegri ammontavano ad un valore di 5 ducati il campo.

Se la differenza tra la prima e le altre due possessioni a terra sabbiosa interessava il valore degli arativi con vigne, non sembrava invece avere nessuna influenza, rispetto al valore degli arativi, la cui entità a prescindere dal tipo di terreno, si attestava sui 10 ducati il campo.

La descrizione di questi dati, non può far esimere, almeno in termini generali, di evidenziare alcune considerazioni in riferimento al periodo precedente, quando nel 1680, il totale delle possessioni fondiarie di Vigasio erano costituite da 224 campi e complessivamente il loro valore ammontava a 2520 ducati. A distanza di 44 anni il numero di campi era aumentato di due sole unità143, mentre il valore economico presentava una diminuzione di 5 ducati144.

142 I soli campi arativi con vigne della Contrà del Cavamento presentavano il valore di 10 ducati il campo; in merito la polizza di estimo non fornisce sufficienti chiarimenti, molto probabilmente la differenza poteva dipendere da alcuni fattori, non ultimo la posizione dei campi, la qualità della terra o la difficoltà nel procedere all’irrigazione.

143 Le proprietà terriere potevano subire dei ridimensionamenti, ma la chiesa non mancò mai di terre, perché se ne perdeva, ne riguadagnava altre mediante donazioni, legati testamentari, permute, transazioni di vario genere, in quella ottica, che metteva in evidenza la centralità del monastero, nell’ambito di un percorso cristiano verso la salvezza e che vedeva l’istituzione monastica come una ipotesi di organizzazione etica ed economica esterna alla società dei cristiani, ma collegata ad essa, dal suo significato emblematico di riassunto salvifico istituzionalizzato, di quella società intesa come imperfetta perché non totalmente disciplinata. L’economia del monastero fa perno su una organizzazione dei desideri dei monaci, su una loro programmazione, utile forse ancor più che alla perfezione di questi soggetti interni al monastero, alla comunità dei credenti ad esso esterna. La logica conseguenza in una società rigidamente verticalizzata ed indirizzata in senso cristiano, alla salvezza del fedele, porta alla sacralità dell’intero patrimonio ecclesiastico, delle chiese e dei monasteri, reso più vasto dalla obbligatorietà del dono delle proprie sostanze alle istituzioni ecclesiastiche, sotto la grande preoccupazione della futura vita eterna, M. Pegrari, La finanza, op. cit., pag. 216.

144 L’analisi diacronica relativa alle possessioni fondiarie sarà ripresa e approfondita nel Cap. VI a pag. 443.

Da queste risultanze emerge che la situazione tra i due anni in esame, non aveva subito significativi cambiamenti145, in linea quindi, con la caratteristica prioritaria, con cui si ponevano le istituzioni religiose moderne nei confronti dell’attività economica, ossia quella di non essere mai improntata a forme, che potessero far risalire a prototipi di comportamenti orientati all’eccesso verso il profitto, ma piuttosto in linea con gestioni molto misurate146, fedeli all’accontentarsi della sicurezza, o meglio del necessario, per garantire la sopravvivenza della famiglia dei religiosi presente nel convento, fattore sempre ben tenuto in considerazione, come si evince dalla polizza di estimo,

Siamo ordinariamente di famiglia ventiuno in ventidue oltre li forestieri che ricapitano di quando in quando147.

Gestione sobria, sempre comunque da considerare rispetto al contesto economico di crisi e non trascurando nemmeno, che nel corso di questi 44 anni non si era certamente arrestata da parte della Repubblica Veneta, quella attenzione, piuttosto marcata verso i beni degli enti religiosi148.

Questi assunti si consolidano in parte, anche considerando la struttura fondiaria di altri monasteri veronesi emersa, dall’analisi della polizza di estimo del 1724. Per San Domenico i luoghi del possesso fondiario erano gli stessi del 1680 ed uguale situazione si presentava anche per Santa Eufemia, dove seppur con minime differenze, si può affermare, che il numero di campi rimase pressoché inalterato rispetto ai 44 anni precedenti; immutata si presentava anche la condizione di San Antonio dal Corso e di Santa Anastasia.

Qualche modifica nel 1724 si era registrata per San Fermo maggiore, che rilevava 60 campi a San Pietro Incariano, 38 a Lavagno, 80 a Isola Porcorizza e 118 a

145 D’altra parte era ben difficile pensare a forme di sfruttamento tanto diverse e soprattutto in grado di migliorare la produttività; si veda al riguardo, S. Van Bath, B. Hendrich, Storia agraria dell’Europa occidentale, Einaudi, Torino 1972; D. Grigg, Storia dell’agricoltura in occidente, Il Mulino, Bologna 1994.

146 Bisogna comunque fare attenzione a non confondere la sobrietà con l’immobilismo, in quanto se la dinamicità non era particolarmente significativa, si vedrà comunque nel corso del lavoro, che alcune importanti iniziative economiche erano state assunte e consolidate dai religiosi della Scala.

147 A dimostrazione di questa forma di gestione economica, il numero dei padri non si discostava da quello indicato nella polizza di estimo del 1680, che era mediamente di 20.

148 Anzi si può dire, che questa forma di attenzione nei confronti delle proprietà ecclesiastiche, si fosse anche intensificata, tra il 1680 e il 1724, a causa del rilevante impegno bellico della Repubblica di Venezia e soprattutto in merito a questo, con la sconfitta subita nei confronti dei Turchi, nella guerra di Candia (1645 – 1669) che per diversi decenni successivi rappresentò un valido pretesto per intaccare i beni del clero, E. Rossini, C. Vanzetti, Storia dell’agricoltura, op. cit., pag. 286.

Sommacampagna, per un totale di 296 campi, che rispetto ai 243 rilevati nel documento del 1680 mostrava, una differenza di 53 campi, non certo irrisoria149.

Tornando a Santa Maria della Scala e anticipando in parte le dinamiche di confronto, che saranno elaborate nel proseguo del lavoro, si ritiene utile evidenziare alcune differenze nelle caratteristiche dei campi, tra i due anni.

Nel 1680 i campi arativi con vigne erano 50, quindi la differenza con il 1724 risultava essere di 140 campi; questo aumento in buona parte, sembrava essere avvenuto ai danni dei campi arativi in senso stretto, che dai 98 del 1680 erano passati ai 2 del 1724. Questa era una situazione abbastanza frequente nelle terre venete, che si caratterizzava, nel seguire i confini delle proprietà fondiarie con filari di viti, mentre all’interno venivano coltivate piantagioni cerealicole, in particolare a grano150.

Ancora più significativa era la riduzione degli arativi garbi, che nei 44 anni compresi fra i due periodi, da 34 erano passati a 4, come del resto merita attenzione la riduzione delle terre non coltivate, che dalle 41 del 1680 (20 vegre e 22 pascolive) erano passate alle 30 vegre del 1724.

La riduzione sia delle terre garbe, ma soprattutto di quelle non coltivate può sottendere l’idea che i padri del convento di Santa Maria della Scala, si siano impegnati per migliorare la loro struttura fondiaria cercando, nel limite del possibile, di renderla maggiormente produttiva, anche se nel complesso, questo impegno non era certamente da annoverare come particolarmente significativo, vista la differenza che emergeva tra il 1680 e il 1724, di “solo” 14 campi coltivabili, (nel 1680 i terreni a coltivazione erano 182, mentre risultavano 196 nel 1724).

La polizza di estimo non sembra delucidare, sul modo attraverso il quale possa essere stato favorito l’aumento delle terre produttive, non è comunque una ipotesi da escludere, quella dell’impegno dei padri di aver trasformato, attraverso bonifiche, opere di irrigazione, o altri interventi migliorativi, terreni incolti, in campi adibiti a produzione

149 G. Borelli Aspetti e forme, op. cit., pp. 156, 160-162.

150 Nel Veneto prevaleva il seminativo, soprattutto a seguito del fatto, che gran parte dei canoni versati dai contadini per assicurarsi la permanenza sulle terre che coltivavano era costituita dai cereali; comunque dove il franco (caratteristica del terreno) lo consentiva, le terre erano dominate da alberature con filari di viti; nelle terre umide e dove l’acqua poteva salire fino ad alti livelli impedendo le colture arbustive, queste venivano sostitute con filari di viti che seguivano i confini dei campi e delle proprietà, E. Rossini, C. Vanzetti, Storia dell’agricoltura, op. cit., pag. 337.

agricola151. Era questa una caratteristica dei proprietari terrieri medio grandi dell’età moderna, quella di scegliere l’ampliamento dei possedimenti per superare fasi critiche e non cercare invece di migliorare la produttività della terra, attraverso l’impiego di nuove attrezzature.

A tale riguardo dalla polizza di estimo rispetto alle attrezzature emergeva,

La suddetta possessione al presente la lavora Zuane Beghal in qualità di boaro con un versor solo152

Le due suddette possessioni al presente le lavora Lorenzo Falzon in qualifica di Boaro con un versor solo153;

addirittura una riduzione, con gli aratri passati dai tre del 1680 ai due del 1724.

Ad attestare invece una significativa differenza fra i due anni era intervenuto un cambiamento nella conduzione delle terre, passata dalla lavorenzia del 1680, alla gestione in economia.

La scelta di orientarsi sulla conduzione in economica dei fondi agrari, non sembrava sottendere particolari considerazioni di ordine produttivo, in quanto analizzando la condizione di altre istituzioni religiose emergevano, anche scelte che andavano in senso

151 In questo contesto non è da trascurare l’impegno della Repubblica di Venezia, per cercare di incentivare le opere di bonifica sul territorio, al fine di ampliare le aree produttive. Impegno che si concretizzò con l’istituzione di una nuova magistratura specializzata in materia, il Magistrato delle acque, con funzioni consultive e programmatiche; un secondo istituto, emanazione del primo, quello dei Savi sopra le acque, aveva funzioni prettamente tecniche ed esecutive. Il compito prioritario che la Serenissima si prefissò fu quello, di consolidare le terre emergenti dalle paludi mediante interventi stabilizzanti, in modo da dare vita a nuove aree guadagnabili a una profittevole produzione agricola. Un esempio, di come lo stato potesse intervenire nella esecuzione di opere di pubblica utilità e all’uopo, si predispose una adeguata legislazione in materia. L’azione intrapresa nei confronti dell’incolto, indicato con il termine di retratto, fu decisiva. Le modalità di esecuzione si articolavano in due forme: potevano essere assunte direttamente dai pubblici uffici che ne gestivano le operazioni direttamente, oppure essere affidate a singoli privati, che dovevano riunirsi in consorzi. Nei due casi i compiti assunti dai pubblici uffici erano differenziati, ma in ognuno si sorvegliava, che fossero condotti a termine, secondo precisi criteri di esecuzione. Se nel primo caso i preposti alla cosa pubblica si assumevano la gestione diretta delle singole operazioni, dei finanziamenti e di qualunque altro intervento necessario, nel secondo invece, si operava esclusivamente sotto il controllo diretto e costante dei Provveditori. I singoli privati, riconosciuta la bonifica come intervento di pubblica utilità erano invitati, a costituirsi in consorzio e se in questo atto di volontaria adesione non si fosse trovato il generale consenso, il governo veneziano aveva due scelte, o avocare a sé i lavori o decretare la costituzione del consorzio. Per l’anticipazione delle somme necessarie, si potevano ottenere prestiti da privati o comunque dai Provveditori, che impiegavano le somme ricavate dall’uso dei diritti di acqua. Dal ‘600 al ‘700 i consorzi di bonifica nella Repubblica Veneta furono in tutto 240. Non è nemmeno da trascurare il crescente interesse per quei tipi di sistemazioni superficiali, che potessero garantire una maggiore stabilità del suolo, come il terrazzamento, la sistemazione a ciglioni, il sostegno dei terreni con muri a secco, particolarmente usati per le colture arboree e arbustive, soprattutto vite e olivo, ma utili anche per le ristrette aree che in tali ambienti erano dedicate ai cereali e al prato, E. Rossini, C. Vanzetti, Storia dell’agricoltura, op. cit., pp. 310-331.

152

Riguarda la prima possessione di 94 campi, A.S.VR, A.E.P. 1724, registro n. 343, Busta 28, carte non numerate.

153 E’ relativo alla seconda e alla terza possessione, rispettivamente costituite da 70 e 61 campi, A.S.VR, A.E.P. 1724, registro n. 343, Busta 28, carte non numerate.

contrario, oppure situazioni nelle quali convivevano diversi tipi di contratti di conduzione154.

Molto probabilmente la scelta poteva invece essere motivata da ragioni di necessità gestionale, in quanto molto spesso succedeva, che i lavorenti, anche se in misura minore rispetto agli affittuari, si prendessero delle libertà che andavano oltre i loro diritti. Non era un fenomeno inusuale, quello che talvolta vedeva i lavorenti realizzare delle colture per proprio conto, non solo non rispettando i contratti stipulati con i proprietari, ma, anche procurando agli stessi dei danni economici.

Quali siano comunque i motivi di questo orientamento resta evidente, che attraverso la gestione in economia, i padri di Santa Maria della Scala, si siano trasformati in imprenditori, con alle loro dipendenze manodopera salariata; questa nuova situazione permetteva ai religiosi, di intervenire più direttamente nelle dinamiche legate alla coltivazione delle terre, di controllare con maggiore efficacia i risultati ottenuti e di fare scelte produttive più consone ai loro bisogni.

Questo tipo di gestione si fondava sulla figura dei lavoratori salariati, boari e braccianti, ai quali era richiesta forza e capacità di condurre gli aratri. Per i boari la loro dedizione e sottomissione al padrone doveva essere totale, come si evince, da un contratto del 1700 di una famiglia nobile veronese, dove emergeva, che “i boari saranno obbligati tutti

ubbidire puntualmente in tutto e per tutto quello li venirà comandato, anche nelle cose non appartenenti al loro mestiere, dovendo ogni cosa eseguire con buona volontà e rassegnazione155”. Solitamente oltre al proprietario, il boaro doveva rispondere anche al gastaldo156, al quale era obbligato di sottostare per gli ordini relativi all’esecuzione delle

154 G. Borelli Aspetti e forme, op. cit., pp. 148-162. 155

M.L. Ferrari, Nobili di provincia, op. cit., pag. 205

156 Nella polizza di estimo non veniva menzionato nessun riferimento al gastaldo, seppure questa figura nei contratti in economia assumeva un ruolo di uomo di fiducia del proprietario, con compiti sia di controllo sui lavoratori, sia come anello di congiunzione tra chi eseguiva il lavoro dei campi e i possidenti. Il gastaldo apparteneva solitamente ad un gruppo sociale, né imprenditoriale, né di lavoratori manuali, si trattava di persona che per una vita intera si metteva a servizio del proprietario fondiario. Il contratto del gastaldo annoverava norme tese a regolare la sua attività, particolarmente centrata sulla sorveglianza dei lavoratori della terra e sull’organizzazione delle attività agrarie, in cui emergevano la realizzazione degli impianti, la manutenzione delle opere fondiarie, la gestione dell’allevamento, cui si aggiungevano regole di carattere etico relative alle responsabilità connesse ai rapporti economici e giuridici tra proprietà e lavoro. Diversi contratti che legavano il gastaldo al proprietario fondiario, contenevano norme nelle quali il gastaldo doveva “con tutta la possibile attenzione e buona maniera far che dalli lavorenti tutti siano interamente osservati li nuovi scritti… Dovrà esso pure invigilare perché la coltura de campi, la coltivazione et impianti de legnami siano fatti a tempi debiti”, che si impegnava ad “ubbidire e servire li padroni in tutto e per tutto quello li venirà comandato sì di giorno come di notte”. Ma da questi contratti emergeva anche l’importanza del richiamo alla massima correttezza amministrativa

diverse mansioni, che era chiamato ad eseguire. Un ruolo ancora peggiore era assunto dai braccianti, le cui condizioni di vita e di lavoro risultavano spesso al limite della sopravvivenza157.

In conclusione di questa disamina, possiamo evidenziare, che il patrimonio fondiario del convento, seppur si fosse mantenuto pressoché intatto nel numero dei campi, risultava comunque rispetto ai 44 anni precedenti, qualitativamente migliorato e questo è certamente un aspetto, che depone a favore dei religiosi e della loro capacità di gestire le proprietà, nonostante la presenza di un periodo caratterizzato da diversi momenti di crisi economica158.