Capitolo II°: Il patrimonio nel
6. Gli ordini religiosi e la costituzione del patrimonio
Su queste basi si ritiene utile approntare una breve disamina della suddivisione degli ordini religiosi, che proprio in ragione ai termini economici veniva ad assumere, una particolare significatività97.
Con ordine si intende un istituto religioso del clero regolare98, che si caratterizza da un lato, per il giuramento di un voto solenne e dall’altro per un particolare stile di vita; al riguardo si possono individuare tre tipologie di ordini religiosi:
1. gli ordini monacali o monastici tradizionali erano quelli che si dedicavano alla vita contemplativa all’interno dei monasteri, come ad esempio i Benedettini, i Cistercensi, i Certosini;
2. i mendicanti che iniziarono la loro attività nei primi anni del XIII secolo, con le opere di San Domenico e San Francesco e caratterizzavano la loro natura, nell’attività di apostolato, di predicazione e di assistenza umanitaria, oltre che per la scelta della povertà, sia individuale che collettiva;
3. i chierici regolari che si affermarono durante la Controriforma e la loro attività pastorale era rivolta soprattutto nel campo educativo ed assistenziale.
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L’interesse assume importanza in quanto a seconda degli ordini, si modificavano i termini della nascita e della crescita dei patrimoni, quindi temi di particolare importanza, per comprendere le dinamiche economiche degli enti religiosi. Sembra adeguato analizzare questo aspetto dopo aver delineato i livelli affrancabili e quelli con obbligo di messe, in quanto in un ordine mendicante come quello dei Serviti di Santa Maria della Scala, la formazione iniziale della dotazione economica avveniva soprattutto attraverso le offerte dei fedeli (in questo contesto oltre alle elemosine sembra ragionevole inserire anche i livelli con obbligo di messe, che seppure contratti sottendevano comunque volontà prioritariamente di ordine caritatevole), mentre la crescita economica aveva nell’attività di prestito la componente decisamente più rilevante. Aspetti questi che in ragione a Santa Maria della Scala saranno dimostrati nel corso dell’analisi. 98 ordine religioso regolare in quanto gli appartenenti hanno fatto il voto di sottostare a un insieme di precetti e di comportamenti (ritmi della preghiera, organizzazione del lavoro, disposizioni relative alle forme e agli orari di vita in comune, ecc.), in F. Landi, Storia economica del clero, op. cit., pag. 14.
Dal punto di vista della formazione e della gestione del patrimonio, la divisione è particolarmente significativa, soprattutto fra gli ordini monastici tradizionali e i mendicanti.
Gli ordini tradizionali, legarono le loro fortune economiche fin dall’inizio con le donazioni imperiali e la costituzione degli enormi patrimoni di “prima erezione”, vere e proprie doti, con le quali si metteva un monastero o un convento nella possibilità di godere di una rendita stabile, con la quale provvedere al mantenimento della famiglia dei religiosi. Quindi ad un determinato patrimonio corrispondeva una rendita e alla rendita un numero proporzionato di religiosi.
Ne conseguiva, che la spinta per la nascita di un monastero era data da una dotazione capace di garantire una rendita fissa, che a seconda della sua entità, permetteva il mantenimento di un certo numero di religiosi, proporzionati all’entità del patrimonio disponibile.
Successivamente la gestione dei beni di “prima erezione” consentiva di allargare il patrimonio e le relative entrate attraverso la gestione, mentre continuavano le donazioni, finalizzate alla creazione di nuovi centri ad opera dei sovrani, della nobiltà e dei patriziati99.
Situazione diversa, si presentava per i mendicanti, i quali alla base della loro genesi e della loro evoluzione avevano la povertà in comune, con la rinuncia a qualsiasi forma di proprietà e di reddito; di conseguenza fondavano la loro origine e la loro sussistenza prioritariamente sulle elemosine e sulle offerte dei fedeli. Ne conseguiva che il presupposto per la nascita di un monastero o di un convento si doveva ritrovare in un determinato spazio demografico, potenzialmente sufficiente a una raccolta di elemosine, bastevole alla sussistenza di una famiglia di padri, che veniva dimensionata proprio in ragione di questo flusso derivante dalla pubblica carità100; se l’area su cui sorgeva il convento o il monastero era più o meno ricca, motivata sul piano religioso e più o meno in concorrenza con altre strutture religiose che vivevano di elemosine, la famiglia dei religiosi era a sua volta più o meno numerosa.
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F. Landi, Storia economica del clero, op. cit., pp. 24-25.
100 A tale proposito può essere utile collegare questo a ciò che è stato precedentemente evidenziato, circa la tenace protesta intentata dal convento di San Fermo Maggiore, per la nascita nelle sue vicinanze, della chiesa di Santa Maria della Scala, si veda al riguardo pag. 32.
Mentre negli ordini tradizionali esisteva una rigidità fra risorse disponibili e numero di monaci, data dal rapporto “rendita-spesa pro capite”, nel caso dei mendicanti dominava una grande flessibilità, che lasciava spazio a una continua tensione verso nuovi insediamenti, alimentata da interessi locali, dall’iniziativa di gruppi di fedeli, da nuove sensibilità pastorali. Dai rappresentanti degli ordini che si contendevano il territorio, veniva solitamente attuata una concorrenza spesso spregiudicata, che non solo si attivava per valorizzare la propria immagine, ma che non disdegnava l’attacco nei confronti degli ordini antagonisti101.
E’ necessario comunque sottolineare che i propositi legati alla povertà e alla rinuncia di qualsiasi forma di proprietà, nel corso degli anni furono molto mitigati, soprattutto attraverso gli interventi della Santa Sede, sospettosa di fronte ai movimenti pauperistici, verso i quali non solo si dimostrò tollerante di fronte ad un ammorbidimento della rigidità della scelta di povertà collettiva, oltre che individuale, ma nel contempo si impegnò, anche ad incoraggiare l’evoluzione verso quel principio, per il quale la chiesa
“non è fondata se non è dotata102”.
L’abbandono delle forme di povertà collettiva seguì l’evoluzione stessa del concetto di povertà, che da occasione per raggiungere la santificazione attraverso le lotte pauperistiche cominciò ad assumere, i caratteri del problema sociale, tale da portare ad una forte disistima dello stato di indigenza. I Papi accolsero e approvarono l’allontanamento progressivo degli ordini mendicanti dalla intransigente difesa della povertà come valore positivo e questo rappresentò, una sorta di “avallo” sempre più sistematico, al possesso di abitazioni e di proprietà fondiarie.
Con il Concilio di Trento, si sancì che tutti gli ordini religiosi, compresi i mendicanti potessero possedere beni immobili103.
Dal punto di vista economico, l’evoluzione dei nuovi atteggiamenti assunti dagli ordini mendicanti nei confronti della povertà collettiva diventò, una questione cruciale per il
101 F. Landi, Storia economica del clero, op. cit., pag. 28. 102 F. Landi, Storia economica del clero, op. cit., pag. 26. 103
Solo i Cappuccini e i Minori osservanti conservarono formalmente il vincolo della povertà mendicante, anche se attraverso indulti particolari, questo proponimento in seguito si è attenuato al punto che oggi non esistono più Ordini realmente mendicanti, in F. Landi, Storia economica del clero, op. cit., pag. 27.
rilievo che il fenomeno assunse, dagli inizi dell’età moderna fino alla fine del Settecento104.
Raffigurati i termini legati agli ordini religiosi in relazione alle dinamiche economiche, si può passare ad analizzare una ulteriore sezione delle polizza di estimo, che presentava particolari temi di interesse; quella relativa ai livelli inesigibili.