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Alcune precisazioni concettuali: il riporto delle perdite come deroga al

1. P REMESSA

2.1. S ULLA FUNZIONE DEL RIPORTO DELLE PERDITE NELL ’ AMBITO DEL REDDITO

2.1.7. Alcune precisazioni concettuali: il riporto delle perdite come deroga al

d’imposta

L’aver attribuito rilevanza reddituale (negativa) alla perdita ci consente di formulare una puntualizzazione, con riguardo ai rapporti tra tale istituto e i principi di competenza e autonomia dell’obbligazione tributaria.

Segnatamente, non appare convincente l’opinione secondo cui «il diritto alla deduzione delle perdite di precedenti esercizi …

costituisce una eccezione al principio di competenza nella rilevazione del reddito imponibile … e non rappresenta un elemento fisiologico nell’imposizione diretta, ma è un correttivo alla ripartizione dei redditi in periodi d’imposta» (199). Ed infatti, se è vera la tesi – qui condivisa – secondo cui la perdita costituisce un correttivo agli effetti distorsivi derivanti dalla circostanza che il reddito è dovuto per singoli periodi d’imposta, risulta incongruente affermare che il riporto della perdita costituisce un’eccezione al principio di competenza. Invero, tale principio riguarda i singoli componenti di reddito, essendo la sua funzione quella di ancorarli a un determinato periodo d’imposta, mentre la perdita è qualcosa di diverso dai singoli componenti di reddito che la compongono (200). Pertanto, la perdita si colloca su un piano

(197) Cfr. LUPI R., Le operazioni straordinarie nel sistema delle imposte sui redditi e dell’IVA, in AA.VV., La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, Milano, 2002, pag. 67.

(198) Cfr. CROVATO F.,Riporto delle perdite e operazioni straordinarie, cit., pag. 611.

(199) Così, DUS S., La fusione di società fra «vecchia» giurisprudenza e «nuovi» principi, in Le società, 1985, pag. 320.

(200) A questo proposito si veda GIANNETTA E.,SCANDALE G.,SESSA M., Teoria e tecnica dell’accertamento del reddito mobiliare, Roma, 1966, ed. III, pag. 459, i quali osservano che con il riporto delle perdite «non si è voluto annullare il principio dell’annualità d’imposta o autonomia delle tassazioni, che resta come prima la regola fondamentale dell’accertamento del reddito, ma si è voluto in sostanza introdurre un

concettualmente e logicamente distinto da quello sui cui opera il principio di competenza, con la conseguenza che la prima, non essendo astrattamente soggetta al secondo, non lo deroga laddove essa viene trasferita da un periodo d’imposta all’altro.

Sembra più corretto, dunque, ritenere che il riporto delle perdite costituisce sì un’eccezione al principio di autonomia dell’obbligazione tributaria, ma lo conferma nel suo postulato sostanziale, e cioè quello secondo cui il risultato netto (utile o perdita) deve essere determinato sempre per periodo d’imposta, deducendo dai proventi maturati in un determinato periodo soltanto i costi imputabili al medesimo periodo d’imposta, sulla base del principio di competenza. Ed infatti, se si assume come regola di carattere generale quella secondo cui la commisurazione dell’obbligazione tributaria è effettuata per singoli periodi d’imposta, la possibilità di compensare risultati di periodi d’imposta diversi non può che costituire una deroga a tale regola.

In tale prospettiva, anche la determinazione del reddito relativa alla fase di liquidazione della società comporta una deroga al principio dell’autonomia dell’obbligazione tributaria (201). Ed infatti, tale reddito è commisurato non già in relazione ai singoli periodi d’imposta per i quali si protrae la liquidazione, bensì considerando come un unico periodo d’imposta l’intero arco temporale della liquidazione (202).

In questa stessa prospettiva, un’altra deroga al principio dell’autonomia dell’obbligazione tributaria, analoga al riporto della perdita, è rappresentata dalla possibilità di riportare a nuovo le eccedenze dei crediti d’imposta, delle ritenute d’acconto e dei versamenti in acconto. In tal senso, infatti, deve essere interpretato l’art. 76, comma 1, del TUIR, laddove, dopo aver sancito il principio di

altro ordine di detrazioni: quello delle perdite fiscalmente accertate che risalgono ad un esercizio anteriore. … Pertanto, il reddito va sempre rigorosamente determinato con riferimento al periodo annuale senza che sia permesso spostare ricavi, perdite o spese da un esercizio ad un altro, avendo l’ufficio diritto di ripristinare la normale competenza delle cifre ove risulti che spostamenti del genere sono stati contabilmente operati».

(201) In questo senso, tra gli altri, si esprime POTITO E.,Il sistema della imposte dirette, Milano, 1989, pag. 294.

(202) Ed infatti l’art. 182, comma 1, del TUIR, fa esclusivo riferimento al reddito e non già all’imposta dovuta in relazione alla fase di liquidazione, laddove stabilisce che «in caso di liquidazione dell’impresa o della società il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e l’inizio della liquidazione è determinato in base ad apposito conto economico, ovvero a norma dell’articolo 66 o dell’articolo 3, comma 177, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, se ne ricorrono i presupposti».

autonomia dei periodi d’imposta, stabilendo che «l’imposta è dovuta per

periodi di imposta, a ciascuno dei quali corrisponde una obbligazione tributaria autonoma», prevede una deroga a tale principio facendo

«salvo quanto stabilito negli articoli 80 e 84» del TUIR, riguardanti, rispettivamente, il «riporto o rimborso delle eccedenze» e il «riporto

delle perdite».

Tuttavia, la suddetta conclusione non consente – a nostro avviso – di assimilare la perdita ad un credito d’imposta (203), sebbene

(203) Contra, PADOVANI F., Consolidato nazionale: riflessioni in tema di attuazione del rapporto obbligatorio d’imposta, cit., pag. 1205. Secondo tale A. «la perdita ingloba in sé un credito nei confronti dell’Erario, corrispondente all’imposta (negativa) di cui la medesima (perdita) è espressione». In particolare, a suo avviso, «la visione della perdita alla stregua di un credito» sussiste anche nell’ipotesi di «utilizzo “verticale” della medesima» perdita, in considerazione del fatto che «il riporto trasforma la perdita in un credito, determinando: la restituzione delle imposte (o di parte di esse) corrisposte in relazione a periodi precedenti …ovvero la compensazione del credito con le imposte dovute per periodi successivi». Nell’ipotizzare la configurabilità della perdita come credito, PADOVANI richiama le osservazioni formulate da ZIZZO G.,Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, in Rass. Trib., 2008, fasc. 4, I, pag. 940, il quale, tuttavia, non ha mancato di rilevare come detta configurabilità della perdita come credito d’imposta «è essenzialmente teorica, per la riluttanza degli ordinamenti a riconoscere al contribuente, per il solo fatto della perdita, una posizione di credito, direttamente realizzabile nei confronti dell’Erario o spendibile in compensazione di altre imposte». In particolare, secondo quest’ultimo A., «detta posizione, poiché è sganciata dall’esistenza di una speculare posizione di debito, riferibile al medesimo presupposto, connessa a periodi d’imposta precedenti o successivi, non rispecchia l’esigenza di una corretta esplicazione della funzione tributaria, entro i confini marcati dal principio di capacità contributiva, ma adempie un ruolo sovvenzionale, di assegnazione di un sussidio pubblico commisurato alle perdite (fiscali) sofferte. Si risolve cioè in un concorso dell’Erario alle perdite, coerente, se si vuole, a quella prospettiva che descrive l’Erario stesso come socio (per legge) dell’operatore economico, in tale veste titolare del diritto ad una quota dei suoi utili, ma, appunto, estraneo al novero degli interessi da tutelare nella disciplina del prelievo tributario». Peraltro, l’assimilazione tra perdita e credito, ipotizzata da PADOVANI,trova una smentita anche in una (corretta) considerazione formulata da tale A., laddove Egli afferma che «in sede di verifica, le perdite e le eccedenze d’imposta scontano un diverso trattamento» in quanto «in presenza di una dichiarazione in perdita l’Agenzia tiene conto di tutte le perdite dichiarate nella ricostruzione dell’imponibile, a prescindere dal fatto che le stesse siano state utilizzate o meno negli esercizi successivi», con la conseguenza che Essa «sarà tenuta ad emanare un avviso di accertamento anche in relazione all’esercizio in cui tali perdite sono state utilizzate e sarà in tale esercizio che si procederà al concreto recupero delle imposte». Viceversa, «in presenza di eccedenze d’imposta riportate a nuovo o chieste a rimborso, il recupero non tiene conto di tali elementi in diminuzione delle maggiori imposte accertate», con la conseguenza che «dette

entrambi condividano la duplice caratteristica, da un lato, di essere elementi che l’ordinamento riconosce al contribuente al di fuori del periodo d’imposta di loro rilevanza e, dall’altro lato, di incidere (negativamente) sulla debenza dell’imposta. Tale assimilazione, benché affascinante dal punto di vista astratto, non è tuttavia praticabile in concreto sul piano concettuale. Ed infatti, la perdita e il credito si collocano su piani, temporalmente e logicamente, diversi nell’ambito della struttura dell’obbligazione tributaria, in quanto la prima concorre alla delimitazione del presupposto del tributo, mentre il secondo costituisce il risultato di operazioni alla fase di liquidazione e versamento del tributo. Inoltre, la perdita, laddove partecipa alla liquidazione dell’imposta dovuta, costituisce un credito «se, e nella

misura in cui, i periodi precedenti o successivi hanno generato o genereranno un debito per la stessa imposta» e, dunque, sarebbe «un credito spendibile solo all’interno dei meccanismi del prelievo sul reddito, per azzerare un debito connesso al medesimo prelievo» (204). A ciò si aggiunga la considerazione che la perdita è un elemento necessario di commisurazione del reddito su base pluriennale e non può avere impieghi diversi dall’utilizzo in diminuzione dei redditi di altri periodi d’imposta, né, tanto meno, può essere attribuita ad un soggetto diverso da quello che l’ha prodotta, se non nei casi e nei limiti previsti dall’ordinamento, mentre il credito non sempre finisce con l’influenzare la quantificazione dell’imposta dovuta, in quanto lo stesso, oltre a poter essere utilizzato in compensazione, può essere monetizzato mediante istanza di rimborso o, addirittura, essere ceduto a terzi.

A questo proposito, si ritiene di poter condividere l’osservazione, avanzata in dottrina (205), secondo cui sarebbe concettualmente

eccedenze … seguiranno il loro normale decorso e non influenzeranno il recupero» (così, PADOVANI F., op. ult. cit., pag. 1266). Sull’analogo problema della (non) assimilabilità del riporto in avanti della detrazione dell’IVA alla fattispecie del credito di d’imposta si veda, LA ROSA S.,Differenze e interferenze tra diritto a restituzione, diritto di detrazione e credito da dichiarazione, in Riv. Dir. Trib., 2005, II, pag. 156, il quale, nel negare tale assimilazione, osserva come «il c.d. riporto in avanti delle eccedenze non rappresenta modalità satisfattiva del relativo credito, ma misura specificamente tributaria ad esso alternativa; e misura che consiste nell’attribuzione di un puro e semplice diritto di detrazione delle medesime da successivi adempimenti tributari».

(204) Così, ZIZZO G., Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, cit., pag. 929.

(205) Cfr. BURELLI S.,Consolidato nazionale e frammenti di autonomia privata nella determinazione della fattispecie imponibile, in Riv. Dir. Trib., 2009, vol. XIX, fasc. 2, I, pag. 265.

inesatto utilizzare il termine “compensazione” per riferirsi all’operazione con cui il risultato positivo di un periodo d’imposta viene diminuito con il risultato negativo di un altro o di altri periodi d’imposta. Com’è ben noto, infatti, dal punto di vista civilistico la compensazione rappresenta un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, attuato mediante l’elisione delle reciproche posizioni debitorie di due soggetti, ciascuno, rispettivamente e contestualmente, debitore e creditore dell’altro (206).

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