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segue: il refreshing delle perdite

1. P REMESSA

3.3. P ROFILI SISTEMATICI DELLE PERDITE D ’ IMPRESA NELL ’IRES

3.3.4. Il riporto delle perdite fiscali

3.3.4.4. segue: il refreshing delle perdite

Un altro fenomeno che, al pari del commercio delle bare fiscali, è potenzialmente idoneo ad incidere sul diritto al riporto delle perdite è quello comunemente conosciuto come “ringiovanimento” delle perdite (c.d. “refreshing”). In particolare, con tale espressione si intende l’effetto conseguito quando, mediante l’utilizzazione delle disposizioni sulla determinazione dell’imponibile, si produce un’artificiosa o prematura emersione di reddito, al solo scopo di rendere tale reddito capiente in vista dell’utilizzo di perdite pregresse (502).

Tale fenomeno, come è facile intuirsi, ha avuto particolare rilevanza fino a quando il riporto delle perdite era soggetto al limite di cinque anni, in quanto era proprio l’approssimarsi della scadenza quinquennale ad indurre i contribuenti ad anticipare l’utilizzo delle perdite, ricorrendo al meccanismo in esame.

(500) Tale auspicio è palesato anche da ANDRIOLA M., La dialettica tra “aggiramento” e valide ragioni economiche, in una serie di ipotesi applicative della norma antielusiva, cit., pag. 1897.

(501) Cfr. ZIZZO G., Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, cit., pag. 962.

(502) Più diffusamente sull’argomento si veda, LUPI R., Fondi tassati e riporto delle perdite nei conferimenti in società (in margine a risoluzione ministeriale n. 142/E

del 2000), in Rass. Trib., 2000,fasc. 5, pag. 1389; CROVATO F., Riporto delle perdite

ed operazioni straordinarie, in AA.VV., La fiscalità delle operazioni straordinarie

d’impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, Milano, 2002, pag. 618; STEVANATO D.,Il

riporto delle perdite e le relative tecniche di “ottimizzazione” nell’ambito del gruppo: leciti strumenti di pianificazione od espedienti elusivi? in AA.VV., La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, Milano, 2002, pag. 633; MARINO T., Operazioni di conferimento, ringiovanimento delle perdite ed onere della prova dell’elusione fiscale in un recente arresto della giurisprudenza di merito, in GT – Riv. Giur. Trib., 2005, fasc. 11, pag. 1066; MARINO G., Legittimo l’utilizzo di plusvalenze per il recupero di perdite pregresse, in Corr. Trib., 2009, fasc. 29, pag. 2363; LUPI R., STEVANATO D., Lease back infragruppo e “paradosso di elusività senza vantaggio fiscale”, in Corr. Trib., 2009, fasc. 24, pag. 1923;LEO M.,Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 2010, tomo II, pag. 1452.

Senonché, anche in vigenza del suddetto limite quinquennale, la dottrina era concorde nel ritenere che il ringiovanimento delle perdite, a differenza del commercio delle bare fiscali, non costituisse un comportamento antielusivo per il fatto che esso, sebbene fosse diretto a prevenire gli effetti pregiudizievoli derivanti dal limite quinquennale, non risultava in contrasto con la ratio alla base di detto limite (503). Ed infatti, secondo tale orientamento, il limite quinquennale è posto non già in funzione dell’ottimale commisurazione del reddito e, quindi, del rispetto della capacità contributiva – finalità che caratterizza, invece, il riporto delle perdite –, bensì in funzione dell’esigenza «puramente operativa di

non creare difficoltà agli uffici in sede di accertamento, allontanando troppo la ricerca di elementi per verificare le perdite riportate a nuovo dal momento del loro realizzo» (504). Di conseguenza, si riteneva che il ringiovanimento non tradisse l’obiettivo della limitazione quinquennale, ma, al contrario, ne assicurasse la realizzazione in quanto, grazie a tale meccanismo, si determinava una tendenziale correlazione fra l’esercizio del riporto e i termini per l’accertamento (505).

Sotto altro profilo, la liceità del ringiovanimento delle perdite veniva giustificata dalla dottrina sulla base della considerazione che tale ringiovanimento, consentendo di dare rilevanza a perdite che altrimenti sarebbero andate definitivamente perse, impediva il verificarsi di distorsioni rispetto alla ratio dell’istituto del riporto, che è quella di «dare

rilevanza alle perdite come espressione della diminuzione di capacità contributiva in un arco pluriennale» (506).

(503) Cfr. ANDRIOLA M., La dialettica tra “aggiramento” e valide ragioni economiche, in una serie di ipotesi applicative della norma antielusiva, in Rass. Trib., 2006, fasc. 6, pag. 1897, il quale ritiene che «tale operazione – pur essendo posta in essere al fine di utilizzare le perdite fiscali pregresse – non può essere considerata elusiva, in quanto non rientrante in un disegno elusivo preordinato alla precostituzione di un risparmio di imposta, altrimenti non spettante». Al contrario, secondo l’A., «il contribuente, nell’esercizio della sua autonomia contrattuale utilizza il quinquennio a disposizione per non vedersi pregiudicato l’esercizio del diritto alla deduzione della perdita».

(504) Cfr. CROVATO F., Riporto delle perdite ed operazioni straordinarie, cit., pag. 620.

(505) Cfr. LUPI R., Fondi tassati e riporto delle perdite nei conferimenti in società (in margine a risoluzione ministeriale n. 142/E del 2000), cit., pag. 1395.

(506) Cfr. CROVATO F., Riporto delle perdite ed operazioni straordinarie, cit., pag. 621. L’A. ritiene inoltre che le ragioni di carattere sistematico che consentivano di giustificare la non contrarietà all’ordinamento del ringiovanimento delle perdite, non sono venute meno per effetto dell’abrogazione, disposta dall’art. 21, comma 2, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, della norma sulla rilevanza agli effetti fiscali delle

Di tutt’altro avviso si è mostrata, invece, l’Amministrazione Finanziaria che, soffermandosi su una fattispecie avente ad oggetto un’operazione infragruppo che prevedeva un conferimento di azienda con emersione di plusvalenze compensate con perdite fiscali pregresse, ha ravvisato in tale operazione l’assenza di «una reale

causa economica diversa dal vantaggio fiscale», affermando «il carattere elusivo dell’operazione» e ritenendola diretta ad «aggirare le disposizioni che limitano la possibilità di dare rilievo fiscale alle perdite pregresse oltre i limiti del quinquennio» (507).

In linea con la dottrina si è pronunciata la giurisprudenza di merito. La CTP di Venezia, ad esempio, con riguardo ad un conferimento di un ramo dì azienda, con emersione di una plusvalenza, fra due società appartenenti ad uno stesso gruppo societario e di successiva cessione dello stesso ramo di azienda dopo due anni dalla società conferitaria alla conferente, ha statuito che la contestazione

plusvalenze iscritte contenuta nell’art. 54, comma 1, lett. c), del TUIR, nella numerazione vigente fino a prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. Ed infatti, l’iscrizione di plusvalenze con rilevanza fiscale costituiva il più elementare strumento per “anticipare” redditi futuri compensandoli con le perdite pregresse, evitando la scadenza del limite di cinque anni, ed era frequentemente effettuata in un periodo di perdita o in presenza di perdite fiscali pregresse ancora da riportare. Secondo il citato A., l’abrogazione della predetta norma non trovava la sua giustificazione sistematica nella volontà del legislatore di impedire il ringiovanimento delle perdite, bensì «nell’esigenza di svincolare il bilancio civilistico dai condizionamenti fiscali, in linea con la progressiva divaricazione dei valori fiscali rispetto ai valori di bilancio». Sull’argomento delle plusvalenze iscritte si veda, CROVATO F., L’irrilevanza fiscale delle plusvalenze iscritte: un altro passo verso la divaricazione tra valori fiscali e valori di bilancio, in Rass. Trib., 1999, fasc. 2, I, pag. 385.

(507) Così, ris. 18 settembre 2000, n. 142/E. A questo proposito, mette conto segnalare che in un’altra occasione, l’Amministrazione Finanziaria ha avuto modo di affermare, con riguardo ad una operazione che avrebbe permesso di «compensare, successivamente alla fusione, le perdite della controllante (altrimenti inutilizzabili negli esercizi futuri) con le plusvalenze realizzate dalla controllata sulle cessioni dei rami d’azienda (altrimenti assoggettate ad imposizione ordinaria)», che tale «compensazione aggira il principio posto dall’art. 102 … il quale stabilisce che la perdita di un periodo d’imposta … può essere computata in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza nel reddito complessivo di ciascuno di essi» (così, ris. 28 febbraio 2002, n. 62/E, commentata da STEVANATO D., La fusione tra società del gruppo elude il divieto di compensazione intersoggettiva delle perdite?, in Corr. Trib., 2002, fasc. 18, pag. 1641). A riguardo si veda, ARTINA R., È ammissibile la compensazione tra perdite pregresse e plusvalenza da cessione?, in Corr. Trib., 2001, fasc. 5, pag. 351.

dell’elusività dell’operazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria deve essere congruamente provata dall’Ufficio procedente, non potendo configurarsi in tali casi alcun tipo di presunzione nemmeno in conseguenza della soppressione della norma riguardante la rilevanza fiscale delle plusvalenze iscritte in stato patrimoniale (508).

Traendo le conclusioni di questo breve excursus, si concorda con le conclusioni cui era giunta la dottrina circa la non contrarietà all’ordinamento del ringiovanimento delle perdite fiscali, sebbene non si condivida l’argomentazione secondo cui il limite quinquennale si collocava in una posizione simmetrica rispetto al termine per l’accertamento.

Inoltre, si ritiene condivisibile la considerazione secondo cui l’utilizzo anticipato delle perdite, laddove quest’ultime scaturiscano dalla legittima deduzione di costi inerenti e di competenza, non costituisce un comportamento elusivo, ma, al contrario, consente di addivenire ad una migliore commisurazione del reddito su base pluriennale, coerentemente con la ratio che ispira la disciplina in tema di riporto delle perdite.

In tale contesto, doveva ritenersi elusivo l’utilizzo di meccanismi idonei a consentire un utilizzo delle perdite scadute, posto che, in questo caso, vi fosse certamente l’aggiramento di un esplicito divieto sancito dall’ordinamento (509).

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