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Sulla configurabilità del riporto delle perdite come agevolazione

1. P REMESSA

2.2. S ULLA NATURA DEL RIPORTO DELLE PERDITE FISCALI

2.2.1. Sulla configurabilità del riporto delle perdite come agevolazione

La dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che il riporto delle perdite non costituisce un’agevolazione (207) (208).

(206) Sull’istituto della compensazione nel diritto tributario si veda GIRELLI G., La compensazione tributaria, Milano, 2010.

(207) Ritengono, tra gli altri, che il riporto delle perdite non ha natura agevolativa PANSIERI S., Il riporto delle perdite nelle fusioni di società, in Rass. Trib., 1987, pag. 285; ID.,Riporto delle perdite nelle fusioni di società, in Le Nuove Leggi

Civili Commentate, 1987, anno X, pag. 240;LUPI R.,Riporto delle perdite e fusione di

società, in Rass. Trib., 1988, I, pag. 282; ID. La diversa rilevanza sistematica della disposizione sul riporto delle perdite, in Dial. Dir. Trib., 2007, fasc. 1, pag. 72, secondo cui «il riporto delle perdite … non costituisce una gentile concessione del legislatore,

ma una precisazione della capacità economica». CROVATO F.,L’imputazione a periodo

nelle imposte sui redditi, Padova, 1996, pag. 26; ID., Il riporto delle perdite, in L’imposta sul reddito delle persone fisiche, a cura di V. Uckmar e F. Tundo, Collana per la didattica coordinata da G. Visentini, 2003, vol. II, pag. 34; STEVANATO D., Riporto delle perdite ed elusione tributaria, in Riv. Dir. Trib., 2000, I, pag. 1140; MICHELUTTI R., Profili elusivi del riporto delle perdite nel consolidato fiscale e nella trasparenza, in AA.VV., Elusione ed abuso del diritto tributario, a cura di G. Maisto, collana Quaderni della Rivista di Diritto Tributario, 2009, Milano, pag. 138. Da ultimo, DI SIENA M.,Note sparse a margine del rinnovato regime di riporto delle perdite fiscali da parte dei soggetti IRES, in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, 2012, fasc. 3, pag. 635, il quale «conviene sulla circostanza che l’istituto del riporto delle perdite non

Tale conclusione è coerente con il ruolo di correttivo strutturale che l’istituto del riporto delle perdite riveste nell’ambito dell’imposizione sul reddito d’impresa, nell’ottica di garantirne coerenza. Come si è già avuto modo di rilevare, infatti, il riporto delle perdite, lungi dal comportare la rinuncia all’imposta relativa alla parte del reddito compensata con le perdite, altro non rappresenta che il doveroso riconoscimento del diritto, costituzionalmente garantito, a che l’imposta sia commisurata al reddito effettivamente prodotto. In altri termini, la

costituisce un’opzione legislativa rispondente ad una logica agevolativa, ma rappresenta un elemento strutturale immanente alla dinamica del reddito d’impresa».

(208) Sul concetto di agevolazione in ambito tributario si veda: D’AMATI N.,voce Agevolazioni ed esenzioni tributarie, in Nov. Dig. It., app. I, Torino, 1980, pag. 153; ID., Profili giuridici delle agevolazioni fiscali, in Boll. Trib., 1995, fasc. 8, pag. 565; MOSCHETTI F., ZENNARO R., Agevolazioni fiscali: I. Tipi agevolativi e problemi procedurali, in Dig. Disc. Priv., Sez. Comm., Torino, 1987, I, pag. 64; LA ROSA S., Voce Esenzione (dir. trib.), in Enciclopedia del diritto, XV, Milano, 1966, pag. 568; ID., Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, Milano, 1968; ID.,Le agevolazioni tributarie, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, I, pag. 403; FICHERA F., Le agevolazioni fiscali, Milano, 1992; BASILAVECCHIA M., Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni, in Rass. Trib., 2002, fasc. 2, pag. 421. Secondo quest’ultimo A., il termine agevolazione può essere inteso come «genus cui ricondurre le species dell’esenzione e dell’esclusione. Queste ultime sono caratterizzate dalla “non tassazione”, ossia dall’insussistenza dell’an debeatur, mentre la categoria generale delle agevolazioni comprenderebbe ogni forma di attenuazione della tassazione, che conduce o ad una diminuzione sostanziale dell’entità del prelievo, o quanto meno all’applicazione di modalità e schemi semplificati di attuazione del tributo».

Tuttavia, lo stesso A. osserva come, secondo l’impostazione comunemente accolta in dottrina, le figure dell’esenzione e dell’esclusione potrebbero essere contrapposte alla categoria dell’agevolazione, laddove si consideri quest’ultima solo come un trattamento da cui deriva un minor carico impositivo o semplificazioni formali. Secondo tale impostazione, l’esclusione, a differenza dell’esenzione, va ricondotta «alla stessa struttura del tributo considerato», essendo finalizzata a definire l’ambito applicativo del tributo, «delineando con maggiore precisione il presupposto e la base imponibile del tributo e concorrendo quindi alla identificazione del fatto, della situazione e dei soggetti sottoposti a imposizione». L’esenzione, invece, stabilisce una «deroga alle regole disegnate, in ordine al presupposto del tributo, dalle norme impositrici e da quelle di esclusione, esonerando da contribuzione fattispecie che altrimenti rientrerebbero a pieno titolo nella sfera di applicazione del tributo. Da tale tradizionale distinzione, che a sua volta poi tenta di spiegare l’esenzione con il carattere extrafiscale degli interessi che la introducono, deriva la possibile riconduzione al concetto di agevolazione della sola esenzione, e non delle esclusioni: solo la prima avrebbe in effetti la caratteristica propria delle agevolazioni, di derivare il trattamento favorevole da una norma derogatoria, e ciò la accosterebbe alle altre fattispecie di agevolazione, dalle quali essa si distingue solo per il suo attenere all’an e non al quantum dell’imposizione».

compensazione delle perdite non determina la sottrazione del reddito alla tassazione, ma anzi comporta che tale tassazione possa cadere su un reddito effettivamente esistente, con la conseguenza che «l’imposta

sui redditi futuri è regolarmente pagata, anche se mediante compensazione con il ‘credito d’imposta’ maturato a seguito della perdita. Se ciò non fosse si finirebbe per corrispondere il tributo su redditi in tutto o in parte inesistenti, come purtroppo avviene quando non sia possibile compensare le perdite nei termini di legge» (209).

Per tale ragione, dunque, deve escludersi che il riporto delle perdite rappresenti una forma di esenzione del reddito che è oggetto di compensazione con le perdite fiscali. Ed infatti, l’esenzione costituisce un ostacolo legale al sorgere dell’obbligazione tributaria in capo al soggetto passivo, in relazione al reddito assoggettabile a tributo (210), sottraendo al tributo situazioni oggettive o soggettive che, in sua assenza, rientrerebbero naturalmente nell’area del presupposto tipico (211). Al contrario la perdita, sebbene produca i medesimi effetti di un’esenzione e sebbene operi su un piano diverso dall’imponibile, in realtà non fa venire meno il presupposto del tributo, ma lo definisce per assicurarne la rispondenza rispetto al principio della capacità contributiva (212).

Comunque, le disposizioni di esenzione, secondo l’opinione diffusa in dottrina, hanno una valenza derogatoria e palesano in ogni caso un intento effettivamente agevolativo (213), mentre il riporto delle perdite assume una valenza marcatamente strutturale.

La natura strutturale del riporto delle perdite non consente di poter affermare che tale riporto si traduca in una forma di esclusione. E’

(209) Cfr. MANZONI I.,VANZ G., Il diritto tributario, Torino, 2008, ed. II, pag. 209. (210) Cfr. TINELLI G.,Esenzione tributaria e domanda di definizione automatica dell’imponibile, in Boll. Trib., n. 3, 1983, pag. 251.

(211) Cfr. FALSITTA G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2003, ed. IV, pag. 210.

(212) La Corte Costituzionale, sembra invece ritenere che il riporto delle perdite costituisca una forma di esenzione, laddove ha stabilito che esso deve essere considerato come un mero «fatto impeditivo dell’imposizione» e non come «un elemento posto sullo stesso piano di significazione del reddito» (così, Corte Cost., ord. 21 gennaio 1988, n. 54).

(213) In tal senso, TINELLI G.,Istituzioni di diritto tributario, cit., nota 13 di pag. 28; LA ROSA S., Voce Esenzione (dir. trib.), in Enciclopedia del diritto, XV, Milano, 1966, pag. 568; Circa la natura non eccezionale delle norme che dispongono esenzioni cfr. D’AMATI N.,Profili giuridici delle agevolazioni fiscali, in Boll. Trib., 1995, fasc. 8, pag. 565.

bensì vero che le esclusioni, secondo l’opinione comunemente diffusa in dottrina, a differenza delle esenzioni, non hanno natura derogatoria e agevolativa, ma «concorrono a definire l’ampiezza del presupposto ed

attengono, quindi, alla struttura stessa del tributo» (214). Tuttavia, il riporto delle perdite non può essere considerato una forma di esclusione, in quanto esso opera come una deduzione e, di conseguenza, la non concorrenza del reddito di un esercizio alla quantificazione dell’imposta dovuta è solo un mero effetto o meglio una conseguenza del riconoscimento della perdita di un altro esercizio. Pertanto, il reddito, che trova compensazione con la perdita fiscale, è “escluso” da imposizione solo in via mediata e, soprattutto, solo se e in quanto esiste la perdita riportabile relativa ad un altro periodo d’imposta.

Nel caso del riporto delle perdite, dunque, l’obbligazione tributaria relativa ad un periodo d’imposta esiste e viene quantificata secondo le ordinarie regole di determinazione analitica dell’imponibile, dando quindi luogo ad un reddito di periodo; il riporto delle perdite interviene in un momento successivo non per far venire meno il presupposto del tributo, che si è già manifestato, bensì per prevenire forme irrazionali di applicazione del tributo su un presupposto inesistente.

In dottrina è stata operata di recente un’interessante (quanto provocatoria) ricostruzione, in termini agevolativi, della vigente disciplina delle perdite fiscali. In particolare, secondo tale ricostruzione, la natura agevolativa emergerebbe da alcuni dati normativi che riguardano non solo il riporto in avanti delle perdite nell’ambito del reddito d’impresa (215), ma altresì la compensazione (orizzontale) tra perdite e redditi di categorie di reddito diverse, effettuata agli effetti

(214) Così, TINELLI G.,Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2007, ed. II, nota 13 di pag. 29. Secondo RUSSO P.,Manuale di diritto tributario, Milano, 1994, pag. 121, le norme che stabiliscono le esclusioni concorrono con «la norma base a delimitare i confini della fattispecie impositiva». Pertanto, tali norme «sono prive di una reale autonomia e, inoltre, lungi dall’essere giustificate da un intento agevolativo, esprimono la scelta concretamente e complessivamente operata dal legislatore, in via di progressiva messa a fuoco e di esatta individuazione dei fatti ritenuti manifestazione della specifica capacità contributiva che si vuole colpire con un determinato tributo. Altrimenti detto, le norme in questione non rivestono un carattere di specialità, bensì operano in modo sistematico nel delimitare l’ambito oggettivo del tributo in chiave con la ratio ad esso sottesa».

(215) E cioè quelle che disciplinano la compensazione verticale delle perdite fiscali di periodi d’imposta diversi.

della determinazione del reddito complessivo di un periodo d’imposta (216).

Segnatamente, un primo dato normativo, a favore della natura agevolativa del riconoscimento delle perdite fiscali, sarebbe rappresentato dalla coesistenza di disposizioni che, da un lato, escludono la deduzione delle perdite dal reddito complessivo e, dall’altro lato, la riconoscono invece per i redditi della medesima categoria (217), anche se in relazione a periodi d’imposta diversi. Tale differenziazione, essendo ritenuta priva di una razionale giustificazione sotto il profilo sistematico, risulterebbe incompatibile con la natura strutturale del riporto delle perdite e, pertanto, non sarebbe altrimenti giustificabile se non con «l’esigenza di “temperare” la concessione del

“beneficio” della utilizzabilità delle perdite in esercizi successivi riconosciuto a favore delle perdite derivanti dall’esercizio d’impresa»

(218).

Secondo la ricostruzione in esame, un altro dato normativo a favore della natura agevolativa del riconoscimento delle perdite fiscali sarebbe costituito dalla disposizione che stabilisce una limitazione all’utilizzo delle perdite in presenza di redditi esenti. Tale limitazione, infatti, sembrerebbe essere imposta dalla necessità di prevenire il verificarsi di un cumulo tra regimi agevolativi, in applicazione di un «principio speculare a quello del divieto di doppia imposizione che vede

con eguale disfavore quello che gli anglosassoni chiamerebbero double

dip» (219).

Ed ancora, deporrebbe a favore della natura agevolativa anche la disposizione che accorda il riporto illimitato delle perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione (220).

Ebbene, i suddetti dati normativi, sebbene inequivocabili, non sono comunque sufficienti per poter affermare che il riporto delle perdite non riveste una natura strutturale nell’ambito dell’imposizione sui redditi

(216) Cfr. FRANSONI G., Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, in Riv. Dir. Trib., 2008, vol. XVII, fasc. 7-8, I, pag. 651.

(217) Cfr. art. 8, comma 3, del TUIR, con riguardo alle perdite fiscali delle imprese commerciali.

(218) Così, FRANSONI G., Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, cit., pag. 660.

(219) Così, FRANSONI G., Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, cit., pag. 660.

(221), ma denotano, semmai, l’assenza di razionalità nell’ambito della disciplina delle perdite fiscali, specie sul piano del coordinamento delle vigenti disposizioni in materia di IRPEF e di IRES. A ben vedere, infatti, un trattamento differenziato del riconoscimento delle perdite fiscali risulta ammissibile (e razionale) solo laddove la differenziazione è stabilita per tener conto delle peculiarità proprie di fattispecie diverse prese in considerazione dal legislatore (222). In particolare, sarebbe razionale prevedere che la compensazione orizzontale delle perdite sia riconosciuta nell’ambito dell’imposizione personale sui redditi, come diretta conseguenza della personalità dell’imposta e, quindi, della necessaria riferibilità del reddito al soggetto (223). Al contempo, la

(221) Come del resto riconosciuto dallo stesso FRANSONI G.,Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, cit., pag. 667, il quale, traendo le conclusioni della propria ricostruzione afferma che «appare … sempre più necessario che rispetto al regime delle perdite, cui è comunque difficile negare carattere strutturale nell’ambito dell’imposizione reddituale, il legislatore intervenga con modifiche volte a recuperare un disegno di complessiva razionalità».

(222) In tal senso, FRANSONI G.,Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, cit., pag. 661, secondo cui è possibile ammettere «differenziazioni solo in presenza di corrispondenti differenze strutturali relative alle forme di tassazione dei soggetti cui le perdine sono riferite».

(223) In tal senso, FRANSONI G.,Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, cit., pag. 661. Sul punto, MESSINA S.M., La disciplina delle perdite, in Corr. Trib., 2007, fasc. 46, pag. 3779, secondo cui «il nostro sistema espressamente attribuisce rilevanza al reddito complessivo al fine di determinare il debito d’imposta. In un’imposta personale quale l’IRPEF pare evidente che le varie fonti reddituali siano da inquadrare nella più ampia dimensione giuridica ed economica costituita dal reddito complessivo della persona. Di tal che limitare la rilevanza delle perdite all’interno della singola categoria avrebbe l’effetto di alterare in relazione al periodo d’imposta la determinazione della reale capacità contributiva». Analoghe considerazioni sono svolte da ZIZZO G.,Profili di incostituzionalità del regime dell’utilizzo delle perdite nelle imposte sul reddito, in Corr. Trib., 2007, fasc. 24, pag. 1988, secondo cui «la vocazione personale di IRPEF ed IRES … non dovrebbe esaurirsi nella valorizzazione, mediante la previsione di deduzione e detrazioni, di oneri appartenenti alla dimensione personale e familiare del contribuente, ma dovrebbe altresì, e forse in primo luogo, concretizzarsi nell’attendibile misurazione del reddito complessivo, ossia dello specifico indicatore di capacità contributiva colpito da questi tributi. La segregazione delle perdite mina l’attendibilità di detta misurazione, perché implica una ricostruzione del reddito complessivo basata sulle sole fonti che manifestano risultati positivi, seguendo una logica da prelievo reale e non da prelievo personale. Né dovrebbe rilevare la circostanza che, con la compensazione orizzontale, oneri connessi ad una fonte (il lavoro autonomo, l’impresa) finirebbero per scaricarsi su proventi connessi ad altre fonti (immobili, capitali, lavoro dipendente), in difetto del requisito dell’inerenza. Nell’unità del presupposto, la connessione ad una fonte si traduce in connessione al reddito complessivo, implica cioè che gli oneri, una volta

compensazione verticale andrebbe riconosciuta, invece, nell’ambito dell’imposizione sul reddito d’impresa, come correttivo all’artificiosa suddivisione del ciclo produttivo in più periodi d’imposta. Pertanto, agli effetti dell’IRPEF per le persone fisiche titolari di reddito d’impresa, entrambe tali forme di compensazione dovrebbero combinarsi in un sistema misto (224).

Nell’ambito della disciplina delle perdite fiscali l’unica forma di differenziazione, che potrebbe essere spiegata in termini di agevolazione, è rappresentata dalla disposizione che accorda il riporto illimitato delle perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione della società. Tuttavia, le recenti modifiche normative hanno reso di fatto meno apprezzabile il beneficio accordato da tale disposizione rispetto al regime ordinario di riporto delle perdite, che risulta oramai anch’esso illimitato nel tempo e limitato solo parzialmente nel quantum. Comunque, anche a prescindere da tali recenti modifiche normative, il riporto illimitato delle perdite realizzate nei primi tre anni di attività, trovando la sua giustificazione nella volontà del legislatore di tener conto del fatto che in fase di avvio dell’attività è più frequente il manifestarsi delle perdite, appare più come la rimozione di una penalizzazione che come una vera e propria forma di agevolazione in senso positivo. In altri termini, il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, che gli consente di poter disciplinare il riporto delle perdite bilanciando, da un lato, esigenze (erariali) di semplicità e certezza del rapporto tributario, nonché di difesa dell’integrità delle basi imponibili (225) e, dall’altro lato, il rispetto del principio di capacità contributiva, ha dato maggior peso a tale principio, impedendo che le perdite realizzate in fase di avvio del ciclo produttivo non fossero più recuperate (226).

filtrati nei meccanismi del prelievo in qualità di elementi strutturali di una certa categoria di reddito, acquisiscano il rango di elementi strutturali del reddito complessivo».

(224) Cfr. PERRONE L.,Le perdite nell’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Rass. Trib., 2012, fasc. 5, pag. 1179.

(225) Cfr. ZIZZO G., Profili di incostituzionalità del regime dell’utilizzo delle perdite nelle imposte sul reddito, cit., pag. 1988.

(226) Del resto, la stessa relazione illustrativa del provvedimento (schema del decreto legislativo 12 settembre 1997, poi definitivamente approvato come d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358) con cui è stata introdotta la disposizione che prevede l’illimitato riporto per le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta, chiarisce che la finalità di tale previsione è quella di rimuovere una penalizzazione e non quella di introdurre un’agevolazione. In particolare, in tale relazione si legge che la limitazione

2.2.2. Sulla configurabilità del riporto delle perdite come diritto

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