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Il riporto delle perdite e il principio di capacità contributiva

1. P REMESSA

2.1. S ULLA FUNZIONE DEL RIPORTO DELLE PERDITE NELL ’ AMBITO DEL REDDITO

2.1.4. Il riporto delle perdite e il principio di capacità contributiva

Da quanto precede può dunque trarsi la conclusione che il riporto delle perdite risponde ad un’esigenza di razionalità e coerenza propria dell’imposizione reddituale, che impone di tener conto anche degli imponibili di segno negativo verificatisi in diversi periodi d’imposta, in quanto i risultati reddituali di un singolo periodo d’imposta, se presi in considerazione nella prospettiva di un arco temporale più ampio del singolo periodo d’imposta, potrebbero essere annullati o addirittura ribaltati dai risultati negativi di periodi d’imposta precedenti o successivi, che «pure rientrano in quell’unico flusso reddituale che costituisce la

base impositiva ai fini delle imposte dirette» (157).

Sulla base di tali considerazioni, buona parte della dottrina è portata a ritenere non solo che il riporto delle perdite è espressione del principio costituzionale, che vuole che l’imposizione ricada sull’effettiva capacità contributiva (158), ma, altresì che riconoscere il riporto delle perdite consente di tener conto della «complessiva ed effettiva capacità

contributiva (reddituale) della società», mentre negarlo significa

«avallare un sistema di tassazione su ricchezze parzialmente

inesistenti» (159).

(156) Così, COSCIANI C.,Istituzioni di scienza delle finanze, Torino, 1961, pag. 219.

(157) Così, CARPENTIERI L., Riflessioni sulla mancata estensione del riporto delle perdite ai fini Ilor, cit., pag. 728.

(158) Cfr. GALLO F.,Ratio e struttura dell’IRAP, in Rass. Trib., 1998, fasc. 3, pag. 635, secondo cui «lo spirito e la lettera dell’art. 53 Costituzione … richiedono … un effettivo collegamento con fatti e situazioni concretamente espressivi di potenzialità

economica», ID., Imposta regionale sulle attività produttive, in Enc. Dir.

Aggiornamento, V, Milano, 2001, pag. 661.

(159) Così, BEGHIN M., Operazioni di riorganizzazione delle attività produttive, in AA.VV., Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, pag. 433. Ritengono che le limitazioni al riporto delle perdite integrino

In tale prospettiva si ritiene che il riporto delle perdite è funzionale al rispetto di capacità contributiva nei termini in cui, consentendo di far ricadere l’imposizione sulla ricchezza assunta come presupposto dell’imposizione stessa, rende il tributo coerente con il suo oggetto economico (160). Un eventuale sindacato di legittimità costituzionale del mancato riconoscimento delle perdite dovrebbe operarsi, a nostro avviso, sulla base del procedimento logico, utilizzato più volte dalla Corte Costituzionale, che parte dall’individuazione del presupposto del tributo per poi stabilire se una disposizione censurata si collochi o meno armonicamente nell’ambito di tale presupposto. Ed infatti, è insegnamento del Giudice delle Leggi quello secondo cui il legislatore, una volta «effettuata una scelta politica nell’esercizio della

sua discrezionalità» deve attuare «poi con coerenza il criterio prescelto, mediante una disciplina normativa idonea al conseguimento del fine voluto» e che «diversamente, ove l’incoerenza, fosse tale da determinare irrazionali discriminazioni, la legge risulterebbe viziata non solo nel merito, ma anche sotto il profilo della legittimità costituzionale»

(161).

una violazione del principio di capacità contributiva, TESAURO F.,Riporto delle perdite e la incostituzionalità della sua esclusione dall’imponibile dell’Ilor, cit., pag. 5; TOSI L., Il requisito di effettività…, cit., pag. 129; GIOVANARDI A., Il riporto delle perdite, in AA.VV., Imposta sul reddito delle persone giuridiche. Imposta locale sui redditi. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1996, pag. 189; PANSIERI S.,Il riporto delle perdite nelle fusioni di società, cit., pag. 285.

(160) Cfr. DE MITA,Fisco e costituzione, cit., pag. 549.

(161) Così, Corte Cost., sent. 7 novembre 1979, n. 126. Un’interpretazione analoga è rinvenibile nella sentenza della Corte Costituzionale 26 marzo 1980, n. 42, oggetto di commento da parte di DE MITA E.,Fisco e Costituzione, cit., pag. 535. La medesima Corte Costituzionale, pronunciandosi in tema di deducibilità di costi dal reddito imponibile, ha più volte affermato che sebbene spetti al «legislatore, secondo le sue valutazioni discrezionali, individuare gli oneri deducibili», tale discrezionalità non può sfociare nell’arbitrio, con la conseguenza che nella scelta devono essere presi in considerazione «il necessario collegamento con la produzione del reddito, il nesso di proporzionalità con il gettito generale dei tributi, nonché l’esigenza di adottare le opportune cautele contro le evasioni di imposta» (così, sentenza 8 luglio 1982, n. 143. Nello stesso senso, ordinanza 14-21 gennaio 1988, n. 51). Con la conseguenza che le regole che presiedono alla determinazione della base imponibile delle imposte sul reddito possono essere considerate legittime nella misura in cui siano giustificate: (i) dalla considerazione della maggiore o minore inerenza degli elementi negativi alla produzione del reddito, e dunque della loro idoneità ad incidere sull’effettività della ricchezza costituente presupposto di imposta, (ii) da esigenze di gettito alla luce di un equo contemperamento tra il dovere di solidarietà ed il principio di capacità contributiva, (iii) da ragionevoli finalità antielusive e, in generale, dalla tutela

Da qui, dunque, il corollario, messo in evidenza anche dalla dottrina richiamata nel precedente paragrafo, secondo cui una volta che il legislatore ha selezionato un determinato presupposto è necessario che vi sia un collegamento effettivo tra la prestazione imposta e il presupposto considerato (162) (163).

dell’interesse pubblico alla riscossione dei tributi. Per quanto queste considerazioni siano formulate dalla Corte con riferimento agli oneri deducibili, non vi è dubbio che esse possano in astratto riferirsi anche alla determinazione del reddito complessivo.

(162) Cfr. DE MITA,Fisco e costituzione, cit., pag. 549.

(163) Ed è il caso di rilevare che la conclusione secondo cui il riconoscimento del riporto delle perdite è strumentale al rispetto del principio di capacità contributiva è valida qualunque sia l’accezione di capacità contributiva che si ritenga di accogliere. A questo proposito, è noto che in dottrina si sono affermate due distinte concezioni intorno al principio di capacità contributiva.

Secondo un orientamento, che gode tuttora di largo consenso in dottrina, la capacità contributiva è espressa da presupposti che non sono solo economicamente valutabili, ma richiedono anche specifici elementi di patrimonialità, nel senso della necessaria identificazione del c.d. indice di potenzialità economica con una ricchezza patrimoniale, liberamente disponibile, appartenente al soggetto passivo dell’obbligazione tributaria. In altri termini, il presupposto di un’imposta deve esprimere una ricchezza concreta, in ogni caso idonea, almeno secondo l’id quod plerumque accidit, ad attingere i mezzi economici necessari al contribuente per adempiere all’obbligazione tributaria. Pertanto, secondo tale orientamento «la relazione fra tributo e ricchezza deve atteggiarsi … in modo che sia certa, in riferimento ai tributi, e nei limiti dell’astrattezza legislativa, l’esistenza dei mezzi economici per soddisfarlo» (così, GAFFURI F., Il senso della capacità contributiva, in Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di Perrone e Berliri, Napoli, 2006, pag. 32. Nello stesso senso, tra gli altri: FALSITTA G., I divergenti orientamenti giurisprudenziali in Italia e in Germania sulla incostituzionalità delle imposte dirette che espropriano l’intero reddito del contribuente, in Riv. Dir. Trib., 2010, I, pag. 139; MOSCHETTI F., I principi di giustizia fiscale della Costituzione italiana, in Riv. Dir. Trib., 2010, I, pag. 436).

Secondo l’altra concezione, invece, il principio di capacità contributiva ha una funzione meramente distributiva, in base alla quale il soggetto passivo d’imposta è scelto in relazione a fatti e atti che dimostrano necessariamente una forza economica a contenuto patrimoniale e per la quale il «raggiungimento dell’obiettivo della “giusta imposta” è affidato, conseguentemente, al solo rispetto del principio di ragionevolezza

previsto dall’art. 3 Cost. e presupposto dall’art. 53, comma 1, Cost.» (così, GALLO F.,

Le ragioni del Fisco. Etica e giustizia della tassazione, Bologna, 2007, ed. II, pag. 80). Ora non v’è dubbio che la prima concezione sia compatibile con l’affermazione secondo cui il riconoscimento del riporto delle perdite è strumentale al rispetto del principio di capacità contributiva.

Tuttavia, alla medesima conclusione si giunge anche accedendo alla concezione fondata su una logica meramente distributiva, in cui il presupposto può essere individuato anche da atti o fatti che non dimostrano una forza economica dal contenuto patrimoniale concreto. Anche in questa ottica, infatti, è necessario, alla luce degli artt. 3 e 53 Cost., che il presupposto esprima perlomeno una “potenzialità

Alla luce di tali considerazioni può, pertanto, ritenersi che una volta che il legislatore, nel legittimo esercizio della propria discrezionalità, abbia individuato il presupposto espressivo della capacità contributiva e di ragionevolezza che l’imposta mira a colpire, nel rispetto del principio di capacità contributiva, deve stabilire regole di determinazione della base imponibile (i.e. del reddito complessivo) in maniera coerente con tale presupposto (164). Diversamente, qualora tali regole risultassero in irragionevole contrasto con il presupposto stesso del tributo, le relative disposizioni si rileverebbero costituzionalmente illegittime.

Come si è già avuto modo di evidenziare, dunque, l’interesse fiscale perseguito dal legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, deve essere bilanciato con il principio di capacità contributiva, attraverso la mediazione operata in base al criterio di coerenza interna e della razionalità del sistema normativo (165). Tale assunto, peraltro, trova conforto in quella giurisprudenza della Corte Costituzionale volta ad operare il sindacato di legittimità delle scelte del legislatore sulla base del principio di ragionevolezza (166).

economica”, intesa come «mera possibilità di misurare in denaro situazioni di diversa (e per alcuni versi relativamente maggiore) capacità di soddisfare bisogni ed interessi. Il limite alle scelte legislative si riduce quindi alla possibilità di valutare in denaro determinate situazioni ed elementi di fatti inclusi nella fattispecie imponibile» (così, FEDELE A., La funzione fiscale e la “capacità contributiva” nella Costituzione italiana, in Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di Perrone e Berliri, Napoli, 2006, pag. 14). Sarebbe possibile affermare, dunque, che le due tesi, riguardo al concetto di capacità contributiva, sono tra loro incompatibili, ma la loro applicazione può condurre a risultati identici rispetto ad alcuni problemi di legittimità costituzionale (così, FEDELE A., Gli incrementi «nominali» di valore nell’INVIM ed il principio di capacità contributiva, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1982, anno XLI, vol. XLI, parte I, pag. 57). Ed infatti, il criterio della necessaria corrispondenza del prelievo, in linea di massima, ad un’esigenza di razionalità intrinseca all’interno del sistema tributario, complessivamente ispirato a principi distributivi dei carichi pubblici in ordine ai quali rilevano esclusivamente situazioni economiche apprezzabili, trova conforto in entrambe le concezioni appena esposte.

(164) A riguardo si veda PEVERINI L., Considerazioni in tema di legittimità costituzionale del doppio regime fiscale dell’assegno divorzile, in Rass. Trib., 2009, fasc. 4, pag. 1061.

(165) Cfr. BORIA P.,Il bilanciamento dell’interesse fiscale e capacità contributiva nell’apprezzamento della Corte costituzionale, in Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone e C. Berliri, Napoli, 2006, pag. 64.

(166) Cfr. GALLO F., L’imposta regionale sulle attività produttive e la capacità contributiva, in Giur. Comm., 2002, anno XXIX, fasc. 2, pag. 131.

La valorizzazione del principio di coerenza e di ragionevolezza è in linea con quella posizione sostenuta in dottrina, che considera il principio di capacità contributiva quale specificazione del generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Secondo tale orientamento, infatti, la capacità contributiva, costituendo una regola oggettiva di riparto dei carichi tributari, è finalizzata primariamente a garantire il concorso di tutti alle spese pubbliche, sulla base della valutazione discrezionale compiuta del legislatore, il quale è vincolato solo dal rispetto della razionalità e della coerenza. Pertanto, la capacità contributiva non rappresenta un vincolo assoluto della potestà legislativa, ma rappresenta una «macrostruttura assiologica di

riferimento», vale a dire un valore che enuncia un progetto normativo

generale, finalizzato a orientare la produzione legislativa e destinato a convivere con gli altri valori presenti nell’ordinamento (167).

Inoltre, l’affermazione secondo cui l’interesse fiscale deve essere ponderato secondo il criterio della ragionevolezza risulta valida anche nella prospettiva di quella posizione dottrinale che attribuisce al principio di capacità contributiva una funzione solidaristica.

In tale delineato contesto può dirsi, dunque, che il riporto delle perdite costituisce un criterio non imprescindibile quanto piuttosto tendenzialmente necessario dell’imposizione reddituale, al fine di rendere coerente tale imposizione con le sue finalità, ossia il prelievo su un presupposto individuato nel possesso del reddito.

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