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Giustificazioni di eventuali limiti al riporto delle perdite

1. P REMESSA

2.1. S ULLA FUNZIONE DEL RIPORTO DELLE PERDITE NELL ’ AMBITO DEL REDDITO

2.1.5. Giustificazioni di eventuali limiti al riporto delle perdite

L’aver stabilito che l’istituto del riporto delle perdite è strumentale al rispetto del principio di capacità contributiva, non in termini assoluti ma solo in quanto tale istituto rende l’imposta sui redditi coerente e razionale rispetto al suo presupposto, consente di poter giustificare perché il mancato riconoscimento generalizzato di tale istituto da parte del legislatore non si traduca in una automatica violazione del suddetto principio costituzionale. A ben vedere, infatti, il correttivo stabilito con il riporto delle perdite, benché necessario a garantire coerenza al sistema dell’imposizione sui redditi, può non essere riconosciuto in termini assoluti nel caso in cui il suo sacrificio sia necessario a soddisfare concorrenti esigenze di certezza, stabilità e rapidità della definizione dei rapporti tributari. Ciò consente di poter affermare che una limitazione al

(167) Cfr. BORIA P., Il bilanciamento dell’interesse fiscale e capacità contributiva, cit., pag. 64.

riporto delle perdite non si traduce in un’automatica violazione del principio di capacità contributiva, laddove tale limitazione sia adottata contemperando anche le suddette esigenze ovvero altri interessi interni alla logica del tributo (168).

In tale prospettiva si ritiene di poter collocare l’opinione di chi ritiene che se il fine ultimo del legislatore fosse stato quello di ancorare il prelievo al “reddito effettivo”, realizzato nell’arco di tutto il ciclo produttivo dell’impresa, non sarebbe stata prevista alcuna deroga temporale o quantitativa al riporto delle perdite e, inoltre, si sarebbe prevista anche la possibilità di riportare le perdite non solo in avanti, come attualmente previsto, ma anche all’indietro. Invero, la presenza di tali limiti potrebbe trovare la propria giustificazione proprio nella circostanza che, sebbene non possano esservi dubbi sul fatto che il riporto delle perdite risponde a esigenze di equità e coerenza del prelievo, è comunque vero che tali esigenze devono essere contemperate con altre, quali la definizione dei rapporti tributari o la possibilità di controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Da quanto precede può trarsi dunque la conseguenza che il riporto delle perdite rientra nel «quadro delle complessive valutazioni

discrezionali proprie del legislatore» (169).

In questa prospettiva potrebbe essere letta la posizione assunta dalla Corte Costituzionale, in una delle poche occasioni in cui essa è stata investita della questione di legittimità costituzionale concernente le disposizioni che pongono limiti al riporto delle perdite fiscali.

Segnatamente, con l’ordinanza 14-21 gennaio 1988, n. 54 (170) i Giudici delle Leggi sono stati chiamati a stabilire, tra l’altro, se «con la

(168) Cfr. LUPI R., Riporto delle perdite e fusione di società, cit., pag. 281; CROVATO F.,L’imputazione a periodo nelle imposte sui redditi, cit., pag. 27, nota 11; STEVANATO D.,Riporto delle perdite…, cit., il quale propone come esempio l’interesse alla «semplicità dei meccanismi da utilizzare nel riporto» e quello a «non rimettere in discussione obbligazioni tributarie già adempiute». Nello stesso senso, FICARI V.,

Reddito di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, pag. 203; FRANSONI

G.,Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, in Riv. Dir. Trib., 2008, vol. XVII, fasc. 7-8, I, pag. 659.

(169) Così, LUPI R.,Riporto delle perdite e fusione di società, cit., pag. 281. (170) La posizione espressa dalla Corte con tale ordinanza è stata confermata nelle successive ordinanze 21 aprile-5 maggio 1988, n. 515 e 12-20 aprile 1989, n. 220, oggetto di commento da parte di CARPENTIERI L., Riflessioni sulla mancata estensione del riporto delle perdite ai fini Ilor, cit., pag. 727; FAVARA F.,Riporto delle perdite di esercizi precedenti, Rass. Avv. Stato, 1988, fasc. 1, I, pag. 15; TESAURO F., Riporto delle perdite e la incostituzionalità della sua esclusione dall’imponibile dell’Ilor, in Boll. Trib., fasc. 1, 1988, pag. 5.

mancata deduzione delle perdite» agli effetti dell’ILOR, «verrebbe ridotta la capacità contributiva» e, di conseguenza, si sarebbe potuto

porre un problema di legittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 4, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 (171), in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., oltre che all’art. 76 Cost. per eccesso di delega, posto che l’art. 4, n. 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, recante la «delega legislativa …

per la riforma tributaria», prevedeva che l’ILOR doveva essere applicata

«al reddito complessivo netto determinato ai fini dell’Irpeg» (172).

L’ordinanza n. 54 del 1988 si riferisce a tre distinti giudizi promossi con le ordinanze di rimessione 7 aprile 1987 della Corte di Appello di Milano, 15 aprile 1981 della Comm. Trib. di I grado di Milano, 24 aprile 1986 della Comm. Trib. di I grado di Genova (in Corr. Trib., 1987, fasc. 4, pag. 282). Quest’ultima è stata oggetto di commento da parte di TRENTI U., Sulla legittimità costituzionale del divieto di deducibilità delle perdite pregresse ai fini Ilor, in Dir. Prat. Trib., 1987, vol. LVIII, II, pag. 66.

Sul tema del mancato riporto delle perdite agli effetti dell’ILOR si veda anche, GAZZERO F.,Ilor: detrazioni e compensazioni delle perdite, in Boll. Trib., 1980, pag. 1482; DE MITA E.,L’esclusione del riporto delle perdite nella disciplina dell’Ilor, in Fisco e Costituzione, 1984, pag. 858; ID., Periodi d’imposta e riporto delle perdite, in Fisco e Costituzione, 1984, pag. 882; MICCINESI M.,L’imposta locale sui redditi, in RUSSO P., Manuale di diritto tributario, Milano, 1994, pag. 610; GIOVANARDI A., Il riporto delle perdite e PENNELLA N.,La determinazione dell’imposta e dell’imponibile, entrambi in AA.VV., Imposta sul reddito delle persone giuridiche. Imposta locale sui redditi Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1996, rispettivamente a pag. 185 e a pag. 431; CROVATO F.,L’imputazione a periodo nelle imposte sui redditi, Padova, 1996, pag. 28.

(171) Il comma 3 dell’art. 4 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, recante “Istituzione e disciplina dell’imposta locale sui redditi”, stabiliva che nei confronti delle società e degli enti soggetti all’IRPEG, l’ILOR si applicava «sull’ammontare del reddito complessivo determinato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche ovvero, quando questa non è applicata, con i criteri previsti per la determinazione del predetto reddito complessivo, escludendo in ogni caso le deduzioni di cui all’art. 17» del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, e cioè il riporto delle perdite fiscali.

(172) E’ interessante osservare che nella relazione di accompagnamento dello schema di decreto delegato si affermava che il «riferimento ai redditi determinati ai fini delle imposte erariali comporta che, anche agli effetti dell’applicazione dell’Ilor, trovano applicazione le norme che consentono la detrazione delle perdite subite dal contribuente, secondo la disciplina prevista per le imposte erariali suddette». Tuttavia, nella stessa relazione, veniva affermato che l’utilizzo delle perdite fiscali pregresse rappresentava «un’alterazione della natura reale dell’ILOR per lo meno in quanto si ammettono deduzioni di perdite relative a cespiti tra loro diversi». Come osservato da GAZZERO F.,Ilor: detrazioni e compensazioni delle perdite, in Boll. Trib., 1980, pag. 1482, il divieto del riporto delle perdite agli effetti dell’ILOR fu aggiunto «inaspettatamente da un colpo di mano dell’esecutivo».

La Corte, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale così proposta, ha ritenuto non violato, per eccesso di delega, l’art. 76 Cost. per il fatto che l’art. 4, punto 2), della legge 9 ottobre 1971, n. 825, fa espresso riferimento al «reddito», mentre «la perdita di esercizi

precedenti va considerata fatto impeditivo della imposizione, per effetto delle disposizioni che lo consentono, ma non elemento posto sullo stesso piano di significazione del reddito» (173).

Inoltre, la Corte ha ritenuto non violati né l’art. 53 Cost., sulla base della considerazione che «le perdite pregresse, attinenti cioè ad

altri esercizi, non riguardano la capacità contributiva del periodo d’imposta per il quale l’Ilor è applicata», né l’art. 3 Cost., sulla base

della considerazione che appartiene «alla discrezionalità legislativa

disporre un riparto compensativo a carattere derogatorio» (174).

Tale posizione è stata successivamente ribadita dalla stessa Corte con la sentenza 20 giugno-3 luglio 2002, n. 308, riguardante la questione di legittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 14 del TUIR, nella formulazione vigente solo per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 1987, e cioè quello di entrata in vigore del TUIR, che aveva previsto che il credito d’imposta sui dividendi doveva essere portato in aumento del reddito complessivo «netto» (175).

(173) Così, Corte Cost., ordinanza 14-21 gennaio 1988, n. 54. (174) Così, Corte Cost., ord. n. 54 del 1988 cit.

(175) Si tratta della sentenza 20 giugno-3 luglio 2002, n. 308. La questione di legittimità costituzionale era stata posta dalla sez. tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 30 marzo 2001, che aveva ritenuto non «manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dell’art. 14, comma 4, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nella sua formulazione originaria, rimasta in vigore per il solo 1988». In particolare, la Suprema Corte aveva ravvisato che «tale disciplina … suscita forti dubbi di illegittimità costituzionale sia per un eccesso di delega da parte del legislatore che ha redatto il citato art. 14 del Testo unico sulle imposte dirette, e sia per la situazione del tutto irrazionale creata sul punto e mantenuta nel sistema solo per un anno, situazione di sicuro lesiva del principio di uguaglianza nei confronti di coloro che per quell’anno avevano crediti da porre in compensazione con le perdite».

A questo proposito si ricorda che il comma 4 dell’art. 14 del TUIR aveva il suo antecedente nella legge 16 dicembre 1977, n. 904, la quale, all’art. 1 accordava un credito di imposta a favore dei percettori dei dividendi, al fine di evitare la doppia imposizione sugli utili distribuiti dalle società commerciali, e all’art. 2 stabiliva che tale credito poteva essere «computato, in aggiunta agli utili, nella determinazione del reddito imponibile del socio». Ciò in quanto detto credito si atteggiava come un’entrata in favore del percettore. Sicché alla stregua dell’art. 2 della legge n. 904/1977, la possibilità di operare una compensazione tra il credito d’imposta e le perdite pregresse era stata da sempre considerata come un elemento caratterizzante il

In particolare, il giudice rimettente aveva lamentato che tale disposizione, imponendo di far concorrere l’ammontare del credito di imposta al reddito complessivo netto e, quindi, al reddito già depurato delle perdite pregresse, precludeva la possibilità di compensare tali perdite «con l’ammontare dell’entrata corrispondente al credito

predetto» (176), il quale, pertanto, veniva sottoposto a tassazione.

La Corte Costituzionale, nel rigettare la questione di costituzionalità così sollevata, ha ribadito che l’istituto del riporto delle perdite costituisce «espressione di discrezionalità» del legislatore e che esso rappresenta «una deroga al principio per il quale la tassazione è

dovuta per periodi di imposta (ordinanza n. 54 del 1988)» (177).

Tralasciando per un momento le questioni relative all’assimilazione della perdita al reddito e all’asserita riferibilità della capacità contributiva al singolo periodo d’imposta, in questa sede preme solo evidenziare come la Corte Costituzionale abbia ricondotto

sistema rimasto in vigore fino all’approvazione del TUIR. Senonché il comma 4 dell’art. 14 del TUIR ha stabilito che «ai fini della determinazione dell’imposta», il computo del credito doveva avvenire «in aumento del reddito complessivo netto». In questo modo, la disciplina precedente veniva innovata senza che la legge del 12 aprile 1984, n. 68, in attuazione della quale è stato approvato il TUIR, contenesse una delega implicita o esplicita per «un mutamento sostanziale della disciplina del credito di imposta, e senza che si fossero create condizioni giuridiche, economiche, politiche e sociali che rendessero necessario un tale cambiamento» (così, Cass, sez. V, ord. 31 marzo 2001). Per porre rimedio a tale distorsione, con l’art. 1 del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165, è stato riformulato il testo del comma 4 dell’art. 14 del TUIR, eliminando l’aggettivo «netto» con effetto dal 1° gennaio 1989. Per tale ragione la prima formulazione del comma 4 dell’art. 14 del TUIR è rimasta in vigore per un solo anno.

Peraltro, la formulazione del comma 4 dell’art. 14 era stata recepita nell’impostazione del modello di dichiarazione M-760/89, che era stato strutturato in maniera tale da impedire di fatto la compensazione tra il credito d’imposta e le perdite pregresse. Tale impostazione è stata ritenuta illegittima da talune commissioni tributarie e, in particolare, dalla Comm. Trib. di I grado di Milano con la decisione 10 dicembre 1991, n. 156 e dalla Comm. Trib. di I grado di Roma con la decisione 11 giugno 1992, n. 91110851, entrambe commentate da SIMONI A.,Credito d’imposta sui dividendi e compensazione con perdite pregresse, in Boll. Trib., 1992, fasc. 20, pag. 1617.

L’impostazione del modello M-760/89 era stata criticata anche dall’Assonime con la circ. 15 maggio 1989, n. 57, pag. 16.

Sull’argomento si veda anche CIOCCA L., IRPEG. Riflessioni sulla compensabilità dei crediti d’imposta con le perdite fiscali pregresse, in Il Fisco, 1990, fasc. 44, pag. 7024.

(176) Così, Corte Cost., sent. n. 308 del 2002 cit. (177) Così, Corte Cost., sent. n. 308 del 2002 cit.

alla discrezionalità del legislatore la possibilità di stabilire limiti al riporto delle perdite, riconducendo, probabilmente, tale riporto alla categoria degli elementi, caratterizzanti il tributo, a disposizione del legislatore. Accedendo a tale impostazione, occorre stabilire quale sia il limite alla discrezionalità del legislatore e se tale limite imponga comunque un riconoscimento del riporto delle perdite (178). Come già evidenziato in precedenza un limite è certamente costituito da possibili fenomeni di incoerenza e irrazionalità nell’applicazione del tributo, ricorrenti laddove il prelievo venisse fatto ricadere su un presupposto inesistente.

Senonché, in entrambi i giudizi, la Corte Costituzionale non si è preoccupata di accertare se la scelta del legislatore di limitare il riporto delle perdite agli effetti dell’ILOR e dell’IRPEG, sebbene astrattamente legittima, in quanto rientrante nell’ambito della sua discrezione, non avesse in concreto portato a risultati incoerenti e irrazionali rispetto al presupposto di entrambe le imposte su cui vertevano i giudizi, e cioè l’ILOR e l’IRPEG.

Per quanto attiene in particolare all’ILOR, la conclusione cui è giunta la Corte Costituzionale è stata criticata dalla dottrina, che ne ha denunciato l’incoerenza e l’irrazionalità sotto diversi profili.

Segnatamente, è stata eccepita l’assenza di una valida giustificazione alla base dell’esclusione del riporto delle perdite agli effetti dell’ILOR, nonostante l’art. 4, punto 2), della legge n. 825 del 1971 stabilisse che tale imposta doveva applicarsi «al reddito netto

determinato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche».

Invero, in assenza di tale disposizione, il mancato riconoscimento del riporto delle perdite agli effetti dell’ILOR poteva essere giustificato sulla base della discrezionalità del legislatore. Tuttavia, dal momento che la suddetta disposizione fa espresso riferimento al reddito netto, sarebbe stato coerente riconoscere il riporto delle perdite anche agli effetti dell’ILOR, posto che, vietandolo, si veniva a creare un’evidente situazione di contraddizione, in quanto «il reddito complessivo netto,

determinato ai fini IRPEG, è un reddito al netto delle perdite degli anni

(178) E’ questo uno di quei casi in cui «si tratta … di procedere ad una identificazione dei valori coinvolti dall’esercizio della funzione legislativa tributaria che assumono una posizione reciprocamente confliggente, andando a comporre quella che, con felice espressione, è stata definita “topografia del conflitto”» (così, BORIA P.,Il bilanciamento di interesse fiscale, in Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di L. Perrone e C. Berliri, Napoli, 2006, pag. 59).

precedenti», mentre «il reddito tassabile con ILOR, non ridotto dalle perdite … è un’entità diversa da quella determinata ai fini IRPEG» (179).

Inoltre, è stato eccepito il fatto che negando il riporto delle perdite «si sottopongano a tassazione mere reintegrazioni patrimoniali

modificando così la natura dell’ILOR, la quale, pur apparendo come un’imposta sui redditi, va in realtà a colpire il patrimonio dell’impresa»

(180), con l’effetto che «l’imposta cessa di essere un’imposta sul reddito

ed opera come imposta patrimoniale» (181).

Infine, è stato osservato che il mancato riporto delle perdite agli effetti dell’ILOR non poteva trovare giustificazione nel carattere reale di tale imposta (182). Invero, dal momento che l’ILOR era un tributo che si applicava per cespite, la realità di tale tributo avrebbe semmai potuto spiegare un eventuale limite alla compensazione orizzontale delle perdite relative ad un cespite, con i risultati relativi ad un altro cespite, in quanto tale compensazione avrebbe dato rilevanza alla posizione soggettiva del titolare dei redditi. La realità invece poteva non limitare il riporto delle perdite d’impresa in quanto tale riporto non discende dalla considerazione di aspetti soggettivi, bensì dall’esigenza di superare la rigida autonomia dei periodi d’imposta, attesa la continuità e unitarietà del fenomeno economico-reddituale che si svolge nell’arco dei

(179) Così, TESAURO F.,Riporto delle perdite e la incostituzionalità della sua esclusione dall’imponibile dell’Ilor, in Boll. Trib., fasc. 1, 1988, pag. 8.

(180) Così, GIOVANARDI A., Il riporto delle perdite, cit., pag. 193. L’A., riprendendo un’osservazione di TESAURO, afferma che «se le perdite vanno ad erodere le riserve di utili accumulati negli anni precedenti, riserve che vengono reintegrate con gli utili conseguiti nei periodi di imposta successivi a quello in cui si è verificata la perdita, il divieto della facoltà in questione dà vita, nella migliore delle ipotesi, ad un fenomeno di doppia imposizione, poiché l’impresa è assoggettata a tassazione una prima volta sugli utili destinati a riserva e una seconda volta su quelli destinati a ricostituirla. Si è detto nella migliore delle ipotesi, perché se l’erosione-ricostituzione delle riserve di utili continua a verificarsi, il prelievo viene reintegrato indefinitamente».

(181) Così, TESAURO F.,Riporto delle perdite e la incostituzionalità della sua esclusione dall’imponibile dell’Ilor, cit., pag. 8.

(182) Cfr. CROVATO F., L’imputazione a periodo nelle imposte sui redditi, Padova, 1996, pag. 29, MICCINESI M., L’imposta locale sui redditi, cit., pag. 610. In senso contrario si esprime, invece, DE MITA E.,L’esclusione del riporto delle perdite nella disciplina dell’Ilor, cit., pag. 858, secondo cui il limite al riporto delle perdite sarebbe «conforme alla natura reale dell’Ilor».

medesimi (183). In questa prospettiva, il carattere personale o reale del tributo non incide sull’ammissibilità del riporto delle perdite.

Pertanto, come osservato in dottrina, se da un lato sarebbe stato irrazionale introdurre, nell’ambito dell’ILOR, un concetto di reddito complessivo, solo per consentire la compensazione delle perdite con i redditi di altre categorie, dall’altro lato si poteva consentire la compensazione delle perdite di categoria di anni precedenti con i redditi della medesima categoria di anni successivi. Anche per le imposte reali, infatti, se c’è continuazione di una stessa attività da un esercizio all’altro, risulterebbe coerente con la natura del tributo ammettere la compensazione delle perdite di un esercizio con i redditi di un esercizio successivo (184).

In conclusione, posto che «l’obiettivo di fondo della politica

fiscale deve essere pure sempre quello di costruire sistemi che consentano di tassare il reddito che è più vicino a quello economico-aziendale» (185), è compito del legislatore quello di verificare fino a che punto le esigenze di gettito erariale, soddisfatte mediante la tassazione su base annuale, possono legittimare una limitazione alla possibilità di compensare il risultato reddituale positivo di un periodo d’imposta con quello negativo di altri periodi d’imposta, tenuto conto anche delle esigenze di rapidità e certezza dei rapporti tributari oltre che di quelle di controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

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