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La disciplina delle perdite nell’IRPEF e nell’IRPEG

1. P REMESSA

3.1. L’ EVOLUZIONE NORMATIVA DELLA DISCIPLINA RELATIVA ALLE PERDITE

3.1.2. La disciplina delle perdite nell’IRPEF e nell’IRPEG

Con la riforma degli anni ‘70, le perdite fiscali trovarono una disciplina differenziata nell’ambito dell’Imposta personale sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell’Imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), in quanto agli effetti della prima imposta ne era ammessa la compensazione orizzontale, mentre agli effetti della seconda fu riproposta la compensazione verticale, già disciplinata dall’art. 112 del Testo Unico del 1958 (317).

Segnatamente, per quanto attiene all’IRPEF, l’art. 8 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, stabiliva che «il reddito complessivo si

determina sommando i redditi netti di ogni categoria che concorrono a formarlo e sottraendo le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e dall’esercizio di arti e professioni, ad esclusione di quelle relative a cespiti che fruiscono di esenzioni» e che «le perdite delle società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle delle società o associazioni di cui alla lettera c) del terzo comma dell’art. 5 derivanti dall’esercizio dell’arte o professione, si sottraggono per ciascun socio o associato nella proporzione stabilita dall’art. 5», e cioè

proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.

(317) Per un’attenta ricostruzione della disciplina delle perdite agli effetti dell’Irpef, si veda PERRONE L.,Le perdite nell’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Rass. Trib., 2012, fasc. 5, pag. 1163.

Per quanto attiene all’IRPEG, invece, il riporto delle perdite trovava la propria disciplina nell’art. 17 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, laddove era previsto che «le società e gli enti di cui alle lettere a) e

b) dell’art. 2», e cioè, le società di capitali e gli altri enti pubblici e privati

aventi per oggetto, esclusivo o principale, l’esercizio di attività commerciale, «possono portare la perdita di un periodo d’imposta,

determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, in diminuzione del reddito complessivo imponibile dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quinto» (318). Il successivo art. 24 stabiliva che la predetta «disposizione dell’art. 17, relativa alla

compensazione tra perdite e utili di diversi periodi d’imposta, si applica soltanto alle società e agli enti diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali».

La circostanza che il riporto delle perdite non era ammesso per i redditi d’impresa soggetti ad IRPEF, ma lo era per quelli soggetti ad IRPEG, fu diffusamente criticata dalla dottrina, la quale ne evidenziò taluni profili di incompatibilità con i principi costituzionali (319).

Cosicché, per prevenire una possibile declaratoria di incostituzionalità, a partire dalle perdite formatesi nei periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 1984, fu allineata la disciplina dell’IRPEF a quella dell’IRPEG in quanto, con l’aggiunta di un secondo comma all’art. 8 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (320), fu prevista anche per le persone fisiche la possibilità di riportare verticalmente la perdita «derivante dall’esercizio di imprese

commerciali» in modo da poterla utilizzare «in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quinto», a

(318) In via transitoria, l’art. 28 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, stabilì che «i soggetti tassabili in base al bilancio secondo le disposizioni vigenti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto possono portare in diminuzione del reddito complessivo imponibile, fino al quinto periodo d’imposta successivo a quello in cui si sono verificate, le perdite relative a periodi d’imposta chiusi entro il 31 dicembre 1973, determinate ai sensi dell’art. 12 [rectius, 112] del Testo Unico delle leggi sulle imposte dirette approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645».

(319)Sul tema si veda, TREMONTI G.,In tema di riporto delle perdite fiscali e di imposizione, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 1977, vol. XXXVI, anno XXXVI, II, pag. 175; GAZZERO F.,Ilor: detrazioni e compensazioni delle perdite, in Boll. Trib., 1980, pag. 1482; NOCITI A.,Riporto perdite: si IRPEG, no IRPEF: incostitutizionalità?, in Il Fisco, 1981, fasc. 23, pag. 2598.

(320) Comma così aggiunto dall’art. 3, comma 17, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1985, n. 17 (c.d. “Visentini-ter”).

condizione che fosse «stata tenuta la contabilità ordinaria». In tal modo, veniva risolto il problema della riportabilità in avanti delle perdite derivanti da attività di imprese, arti e professioni per i soggetti IRPEF, che comunque restava preclusa per le imprese minori in contabilità semplificata (321). Tuttavia, non veniva chiarito se la suddetta modifica riguardasse anche le perdite imputate per trasparenza ai soci di società di persone, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili (322).

Successivamente, per contrastare il dilagante fenomeno del commercio delle c.d. bare fiscali (323), con il decreto-legge 18 giugno 1986, n. 277 (324) fu introdotta una specifica misura antielusiva in tema di fusioni di società, con la quale si stabiliva per la prima volta il principio secondo cui il diritto al riporto delle perdite fiscali, delle società fuse o incorporate, è consentito nei limiti del patrimonio netto delle società che partecipano alla fusione. In particolare, l’art. 1 del decreto-legge n. 277, inseriva un secondo comma all’art. 17 del d.P.R. n. 598 del 1973, nel quale era previsto che «in caso di fusione le perdite delle

società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, non possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che eccede quello del rispettivo patrimonio netto quale risulta dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 2502 del codice civile, senza tenere conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi diciotto mesi».

(321) Sulle modifiche apportate dal decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, si veda, MORO VISCONTI,G.,La compensazione tra utili e perdite, in Il Fisco, 1985, fasc. 5, pag. 606; LEO M.,FERRANTI G.,Problemi connessi al riporto delle perdite per le

imprese commerciali in regime ordinario, in Corr. Trib., 1986, pag. 519; LOVISOLO A.,

L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in AA.VV., Le imposte della riforma, Genova, 1989, pag. 117; NAPOLITANO F., Riporto ad esercizi successivi di perdite fiscali pregresse, in Le Società, 1989, fasc. 8, pag. 875;

(322) Come osservato da NAPOLITANO F., Riporto ad esercizi successivi di perdite fiscali pregresse, in Le Società, 1989, fasc. 8, pag. 875, non era chiaro se la suddetta modifica «fosse riferibile unicamente alle imprese individuali, come poteva desumersi dalla formulazione letterale di essa, ovvero anche alle perdite imputate ai soci di società personali, come poteva evincersi dalla ratio legis e dal contesto generale di tutto l’art. 8».

(323) A questo proposito si veda, VISENTINI B.,A proposito di «bare», in Dir. Prat. Trib., 1987, I, pag. 1029; PANSIERI S., Commento agli artt. 27 e 28 della legge 27 aprile 1989, n. 154, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1990, anno XIII, pag. 1240.

Tuttavia, tale previsione non trovava applicazione in caso di superamento del c.d. “test di vitalità”, e cioè quando «dal conto dei

profitti e delle società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulta un ammontare di ricavi, di cui all’art. 2425-bis, parte prima, n. 1, del codice civile, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425-bis, parte seconda, n. 3, del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori».

3.1.3. L’approvazione del TUIR e la stagione delle disposizioni

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