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Sui limiti temporali al riporto delle perdite

1. P REMESSA

2.3. S ULLE MODALITÀ DI UTILIZZO DELLE PERDITE FISCALI

2.3.3. Sui limiti temporali al riporto delle perdite

Si è detto in precedenza che il riconoscimento del diritto al riporto delle perdite fiscali rappresenta una scelta a disposizione del legislatore, il quale può mediare tale diritto con altre esigenze quali

(296) Così, ZIZZO G., Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, cit., pag. 932.

(297) Cfr. ZIZZO G., Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, cit., pag. 932, il quale ritiene che l’unica ragione che potrebbe ridurre una limitazione alla compensazione orizzontare sarebbe «quella di impedire che il gettito stabile proveniente da fonti stabili (immobili, capitale, lavoro dipendente) venga alterato da perdite generate da fonti meno stabili, e soprattutto più manovrabili». Lo stesso A. sostiene a questo proposito che «se le perdite sono effettive, il fatto che siano sofferte “volontariamente”, non le rende meno idonee ad incidere sull’indice di capacità contributiva colpito dal tributo considerato».

quelle di certezza, rapidità e semplicità del rapporto tributario. Da tale mediazione può derivare la fissazione di limiti temporali alla possibilità di utilizzare le perdite, così come accadeva nel nostro ordinamento fino all’entrata in vigore delle modifiche apportate dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (298) (299).

Senonché, con riguardo a tali limiti temporali, già in passato COCIVERA osservava che «una volta superato il principio dell’annualità

dell’imposta, non si comprende perché mai le perdite si debbano dedurre soltanto dal reddito dei cinque esercizi successivi» (300).

Per molto tempo la dottrina ha trovato una risposta a questo interrogativo nell’esigenza di assicurare una simmetria con il termine a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per l’accertamento e, quindi, nella volontà del legislatore di impedire al contribuente la possibilità di «utilizzare perdite di cui è ormai certa la non rettificabilità

da parte degli uffici» (301). Tale conclusione faceva leva sulla circostanza che, per molto tempo, nel nostro ordinamento vi è stata effettivamente una (apparente) simmetria tra il termine entro cui era consentito al contribuente utilizzare le perdite di un periodo d’imposta e

(298) Convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

(299) Sul tema dei limiti temporali al riporto delle perdite si veda, GARGIULO G., Sulla non contestabilità, nell’esercizio del riporto della perdita di un periodo d’imposta definito, in GT – Riv. Giur. Trib., 2007, fasc. 11, pag. 999; LUPI R., Una comodità fiscale senza coperture normative, in ibidem, pag. 1006; REBECCA G., Utilizzo di perdite fiscali. Società di capitali: termini per l’eventuale accertamento, in Il Fisco, 2007, fasc. 32, pag. 4751; MESSINA S.M.,In tema di perdite i termini di accertamento

decorrono dal momento di formazione, in Corr. Trib., 2008, fasc. 1, pag. 57; CARDELLA

P.L, Presentazione della dichiarazione integrativa a favore del contribuente e rilevanza delle perdite fiscali, in GT – Riv. Giur. Trib., 2011, fasc. 8, pag. 718; MIELE L., Rettifica dei periodi d’imposta in perdita fiscale, in Corr. Trib., 2010, fasc. 26, pag. 2069.

(300) Così, COCIVERA B., Guida alla nuova disciplina delle imposte dirette, Milano, 1980, pag. 1039, nota 36.

(301) Così, CROVATO F.,L’imputazione a periodo nelle imposte sui redditi, cit., pag. 33, secondo cui «alle radici del termine quinquennale previsto per il riporto c’è pertanto forse un vago desiderio di simmetria tra termini per il riporto e termini per l’accertamento». Nello stesso senso, tra gli altri, LUPI R., Riporto delle perdite e fusioni di società, in Rass. Trib., 1988, I, pag. 281; ID.,Fondi tassati e riporto delle perdite nei conferimenti in società (in margine a risoluzione ministeriale n. 142/E del 2000), in Rass. Trib., 2000, fasc. 5, pag. 1389; FRANSONI G., Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001, pag. 310; GARGIULO G., Sulla non contestabilità, nell’esercizio del riporto, della perdita di un periodo d’imposta definito, cit., pag. 1004; MESSINA S.M.,In tema di perdite i termini di accertamento decorrono dal momento di formazione, cit., pag. 57;

il termine entro cui l’Amministrazione Finanziaria poteva espletare l’attività di accertamento. In particolare, fino al 31 dicembre 1998 (302) se, da un lato, l’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, stabiliva a pena di decadenza che «gli avvisi di accertamento devono essere

notificati … entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione», dall’altro lato, l’art. 102 del

TUIR (303), nella formulazione pro-tempore vigente, stabiliva che «la

perdita di un periodo di imposta … può essere computata in diminuzione del reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quinto».

Senonché, a decorrere dal 1° gennaio 1999 tale simmetria è in parte venuta meno, in quanto il termine per l’accertamento è stato ridotto al «quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la

dichiarazione» (304). Inoltre, con l’eliminazione del limite quinquennale del riporto delle perdite disposta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (305), è definitivamente venuta meno anche tale residuale simmetria esistente tra i limiti temporali al riporto delle perdite e termine per l’accertamento.

Tale circostanza costituisce, probabilmente, la riprova del fatto che la predetta simmetria temporale, sebbene trovasse un apparente riscontro sul piano normativo, non rispondeva in realtà ad un preciso intento del legislatore (306).

A sostegno di tale affermazione depone anzitutto la circostanza che, quando fu introdotto il diritto al riporto delle perdite con il relativo limite quinquennale, il termine per l’accertamento non era di cinque anni. Ed infatti se, da un lato, l’art. 4 della legge 11 gennaio 1956, n. 25, stabiliva che «l’azione della finanza per la rettifica dei redditi compresi

nelle dichiarazioni presentate tempestivamente e, nei casi di mancata presentazione della dichiarazione, di quelli precedentemente accertati, si prescrive col 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui la

(302) Data di entrata in vigore delle modifiche apportate al comma 1 dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, dall’art. 15, comma 1, lett. a), del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, emanato in attuazione della delega di cui all’art. 3, comma 134, della 23 dicembre 1996, n. 662, con cui il termine per l’accertamento è stato portato dal quinto al quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi.

(303) Corrispondente all’attuale art. 84 del TUIR.

(304) Modifica disposta dall’art. 15, comma 1, lett. a), del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241.

(305) Convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

(306) E’ questa la posizione anche di ZIZZO G., Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, cit., pag. 936.

dichiarazione fu presentata o doveva essere presentata» e che

«l’azione della finanza per l’accertamento dei redditi non dichiarati dal

contribuente, che non abbiano formato oggetto di precedenti accertamenti, si prescrive col 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata», dall’altro lato

l’art. 25 della legge 5 gennaio 1956, n. 11, stabiliva che «le società e gli

enti tassabili in base al bilancio hanno facoltà di portare l’ammontare della perdita di un esercizio in diminuzione del reddito degli esercizi successivi per non oltre un quinquennio». Né, d’altro canto, viene fatta

menzione della suddetta simmetria nei lavori parlamentari che hanno condotto all’approvazione della stessa legge 5 gennaio 1956, n. 11 (307).

Ma vi è di più. Anche quando il termine per l’accertamento è stato portato al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (308), l’ipotizzata simmetria poteva anche non ricorrere, posto che, se la perdita veniva utilizzata in compensazione nella dichiarazione relativa al quinto anno successivo a quello di sua formazione, l’Amministrazione Finanziaria, nell’andare a rettificare tale dichiarazione, non poteva anche rideterminare l’importo della perdita così riportata in quanto essa si riferiva, evidentemente, ad un periodo d’imposta non più accertabile (309).

(307) A dire il vero nella relazione sul disegno di legge presentata dalla IV Commissione Permanente, Finanza e Tesoro, della Camera dei Deputati (atto n. 1432-A), da cui ha avuto scaturigine la legge 5 gennaio 1956, n. 1, con riguardo alla disposizione di cui al comma 2 dell’art. 25 che accordava la possibilità di riportare le perdite «anche ai contribuenti non tassabili in base a bilancio, a condizione che gli accertamenti per i tre anni anteriori a quello in cui la perdita si è verificata siano stati eseguiti sulla scorta delle scritture contabili, a norma dell’art. 6 della legge 11 gennaio 1951, n. 25, e che il medesimo sistema di accertamento venga seguito anche per gli anni per i quali è consentita la detrazione», si precisa che tale termine di tre anni è stato stabilito in quanto «la finanza deve essere messa in grado di poter controllare, con un indispensabile raffronto, l’andamento delle gestioni antecedenti all’esercizio in cui si è verificata la perdita, la quale, ovviamente, non può essere determinata se non sulla base di idonee scritture». Ciò nonostante, il legislatore non ritenne necessario prevedere che l’opzione per la tassazione in base al bilancio dovesse essere stata esercitata da cinque anni, previsione che sarebbe risultata comunque superflua dato che il termine per l’accertamento era di tre anni.

(308) Modifica avutasi con l’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. (309) Per comprendere meglio quanto riportato nel testo, si utilizza l’esempio proposto da LUPI R.,Riporto delle perdite e fusioni di società, in Rass. Trib., 1988, I, pag. 281, nota 10, il quale osservava come «già nell’attuale sistema riportare la perdita nel quinto esercizio successivo a quello di realizzazione assicura in linea pratica il decorso dei termini per d’accertamento dell’esercizio di realizzazione della

Ma non basta. Se la volontà del legislatore fosse stata quella di stabilire una simmetria con il termine per l’accertamento, quando ha introdotto l’illimitato riporto delle «perdite realizzate nei primi tre periodi

d’imposta» (310), avrebbe dovuto prevedere “simmetricamente” l’estensione (indefinita?) del termine per l’accertamento di tali periodi d’imposta (311).

Anche alla luce delle argomentazioni sin qui esposte, parte della dottrina ritiene che l’apposizione di un limite temporale al riporto delle perdite sarebbe il frutto di una scelta priva di qualsiasi fondamento razionale, giustificata solo dall’esigenza di incrementare arbitrariamente il gettito (312).

Secondo un’altra parte della dottrina, invece, la predetta scelta sarebbe da ricondurre alla volontà del legislatore di tener conto delle esigenze di semplicità, stabilità e rapidità nella definizione dei rapporti tributari (313).

perdita prima che la dichiarazione del periodo in cui avviene il riporto sia smistata agli uffici competenti; le perdite del 1983 sono ad esempio riportabili sino al 1988, con una dichiarazione presentata nel maggio 1989 quando i termini di rettifica del 1983 (anno di realizzazione della perdita) scadranno il successivo 31 dicembre 1989 (data in cui le dichiarazioni relative al 1988 saranno ancora ammonticchiate in qualche scantinato)».

(310) Misura introdotta nel previgente comma 1-bis dell’art. 102 del TUIR (corrispondente all’attuale art. 84, comma 2, del TUIR) dall’art. 8, comma 1, lett. b), del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358.

(311) Tale argomentazione è formulata da STEVANATO D.,Riporto delle perdite ed elusione tributaria, in Riv. Dir. Trib., 2000, I, pag. 1139.

(312) In questo senso si esprime PERRONE L., Le perdite nell’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Rass. Trib., 2012, fasc. 5, pag. 1163, il quale ritiene che la fissazione del limite temporale al riporto delle perdite è «rimessa alla libera valutazione del legislatore il quale può, a seconda delle diverse contingenze, decidere di allungare il tempo di recupero delle perdite ovvero di renderlo illimitato». Nel medesimo senso, STEVANATO D.,Riporto delle perdite ed elusione tributaria, cit., pag. 1139; LUPI R., Una “comodità fiscale” senza coperture normative, in GT-Riv. Giur. Trib., 2007, pag.1007; ZIZZO G., Profili di incostituzionalità del regime dell’utilizzo delle perdite nelle imposte sul reddito, in Corr. Trib., 2007, fasc. 24, pag. 1987, nonché, Considerazioni sistematiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, cit., pag. 931.

(313) Cfr. GIOVANARDI A.,Il riporto delle perdite, in AA.VV., Imposta sul reddito delle persone giuridiche. Imposta locale sui redditi. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1996, pag. 191. Si veda anche STEVANATO D., Riporto delle perdite ed elusione tributaria, in Riv. Dir. Trib., 2000, I, pag. 1138, secondo cui «a questo profilo giustificativo del limite (quinquennale), attinente alle possibilità di un controllo dell’operato del contribuente, possono inoltre essere valorizzate esigenze di rapidità di definizione dei rapporti tributari, che evidentemente sconsigliano dall’adottare soluzioni che permettano un riporto illimitato

In una diversa prospettiva si potrebbe ritenere che, essendo il riporto delle perdite un correttivo volto ad adeguare il reddito imponibile a quello economico effettivamente espresso dal ciclo produttivo, l’apposizione di un eventuale termine al suo esercizio deve essere coerente con tale finalità. Pertanto, la scelta di stabilire un lasso di tempo entro cui consentire il riporto delle perdite, deve essere compiuta in funzione non già dell’attività di accertamento, bensì dell’ottimale valutazione del fenomeno economico espresso dal ciclo produttivo.

In tale prospettiva potrebbe dirsi, dunque, che il legislatore, una volta che ha deciso di riconoscere il riporto delle perdite e di apporvi un termine per esigenze di cautela e di rapidità di definizione dei rapporti tributari, ha selezionato un periodo di tempo che fosse coerente con la volontà di avvicinare il reddito imponibile a quello effettivo (314).

E’ significativo rilevare, a questo proposito, che in taluni ordinamenti il limite temporale è stato selezionato proprio in funzione del fenomeno economico considerato, prevedendo una differenziazione dei termini in ragione della tipologia di attività svolta dall’impresa (315).

delle perdite fiscali pregresse». Da ultimo, DI SIENA M.,Note sparse a margine del rinnovato regime di riporto delle perdite fiscali da parte dei soggetti IRES, in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, 2012, fasc. 3, pag. 635, il quale, convenendo «sulla circostanza che l’istituto del riporto delle perdite non costituisce un’opzione legislativa rispondente ad una logica agevolativa, ma rappresenta un elemento strutturale immanente alla dinamica del reddito d’impresa», ritiene che «il limite cronologico all’impiego» delle perdite «va apprezzato (solo) come uno strumento tecnico di cautela per l’Erario e come una modalità di semplificazione e di certezza dei rapporti fra soggetti dell’obbligazione tributaria».

(314) E’ significativo rilevare al riguardo che in un importante lavoro comparatistico svolto da GRIZIOTTI prima dell’introduzione del riporto delle perdite nel nostro ordinamento, tale A. osservava come «le esigenze pratiche d’accordo con la logica delle imposte, sono favorevoli al ricupero delle imposte pagate sopra profitti mediante compensazioni con le perdite. Sono, peraltro, da considerare le complicazioni, derivanti da variazioni del potere di acquisto della moneta, che non rendono facilmente confrontabili entità d’esercizi molto lontani nel tempo. Quindi l’ambizione di poter portare queste compensazioni fino alla liquidazione di un’impresa deve essere moderata dalle esigenze pratiche dell’amministrazione di evitare eventuali frodi fiscali con moltiplicazione delle perdite, da ripartire e compensare per un tempo indeterminato e calcoli laboriosi per un conguaglio monetario. Periodi di nove o sette anni anteriori o posteriori possono considerarsi praticamente adeguati a coprire il ciclo economico delle imprese» (così, GRIZIOTTI B.,L’imposizione degli utili di impresa, in Riv. di Polit. Econ., anno XXXIX, serie III, fasc. VII-VIII, 1949, pag. 779).

(315) E’ il caso, ad esempio, della Danimarca che in passato prevedeva un limite quinquennale generalizzato per tutte le imprese e, allo stesso tempo, un limite di quindici anni per le imprese operanti nel settore dell’estrazione del petrolio. Si veda al

A questo proposito andrebbe indagata l’opportunità di prevedere una differenziazione dei termini per il riporto delle perdite a seconda del settore economico in cui opera l’impresa e, più in particolare, delle dinamiche di sviluppo dei suoi cicli economico-produttivi (316).

riguardo MICHELSEN A., Tax treatment of corporate losses, in IFA Cahiers de droit fiscal international Volume LXXXIIIa, The Hague, 1998, pag. 28.

(316) Cfr. SBROIAVACCA A., La necessità di valutare le perdite alla luce del settore economico di appartenenza, in Dial. Dir. Trib., 2012, fasc. 5, pag. 505, la quale ravvisa «la necessità di valutare le perdite alla luce del settore economico di appartenenza».

CAPITOLO III

LA DISCIPLINA DELLE PERDITE NEL DIRITTO POSITIVO SOSTANZIALE

3. PREMESSA

Allo scopo di introdurre il tema che verrà trattato nel presente capitolo, appare utile premettere un excursus storico della disciplina sostanziale in tema di riporto delle perdite fiscali e una breve disamina delle vigenti diposizioni che recano tale disciplina.

3.1. L’EVOLUZIONE NORMATIVA DELLA DISCIPLINA RELATIVA ALLE

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