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Consigliere alla Corte Suprema di Cassazione e Vice Presidente del Centro studi Livatino

1_L’elemento di similitudine fra la nostra epoca e l’epoca dell’Appello ai Liberi e Forti è costituito dalla fine delle illusioni. Cento anni fa il devastante conflitto bellico mondiale, l’“inutile strage”, se- condo la provvida definizione di Benedetto XV, aveva frantumato il mito del progresso esaltato dal ripiegamento dell’uomo sulle proprie capacità e sulla propria volontà, che aveva caratterizzato i de- cenni tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, non a caso pretenziosamente definiti la Belle Epoque. Il filo conduttore dell’appello, che chiamava alla responsabilità e alla speranza cristianamente fondata, cadeva in un contesto di odi intensi, di lacerazioni e di ferite personali, di contese non sopite fra co- munità etniche e fra Stati dai confini nuovi, che gli esiti della Guerra, e il successivo trattato di pace, non solo non erano riusciti a sanare, ma anzi per taluni aspetti avevano acuito. Oggi, a più di ses- sant’anni dai Trattati istitutivi dell’Unione europea, che avevano fatto intravvedere un percorso fi- nalmente unitario e pacificatore del Vecchio continente, e a trent’anni dalla Caduta dei Muri, che addirittura aveva spinto taluno a parlare di “fine della storia”, facendo illudere su una convivenza finalmente pacifica, si riacutizzano odi e divisioni profonde, peraltro non mancate negli ultimi de- cenni fin dentro i confini europei (si pensi alla Bosnia o al Kossovo): ancora una volta, come cento anni fa, le illusioni si sono trasformate in delusioni.

Cento anni fa la Chiesa aveva salde radici nei popoli europei, in particolare in Italia, e costituiva il ri- ferimento per le famiglie e per le comunità colpite da lutti gravissimi, e disorientate dai disordini post-bellici. E’ stato il ruolo e la presenza articolat della Chiesa nel corpo sociale italiano a farle rico- noscere dal Fascismo un ambito, pur con qualche limite, di esercizio di libertà religiosa certamente più ampio di quello che aveva fatto seguito all’Unificazione forzata.

2_ll paradosso di oggi è che da decenni in tutta Europa vigono Costituzioni democratiche, eppure non mancano i rischi per l’esercizio della libertà religiosa, pur con caratteristiche differenti rispetto alla situazione del Primo dopoguerra. La minaccia non viene dalle armi o da manipoli i violenti, ma dalla crescita progressiva, a partire dagli anni 1970, prima per via giudiziaria, quindi per via parlamentare, con forte intensità nell’ultimo quindicennio, della tutela di diritti che tali non sono: si pensi per tutti all’assurdità del “diritto alla morte”, di cui a una recente ordinanza della Corte costituzionale ita- liana. Ma se l’ordinamento tutela “diritti” che tali non sono, finisce per limitare la libertà di espres- sione e per negare i diritti veri, come quello alla libertà religiosa, radicati nella natura dell’uomo e fondati nelle Carte internazionali e nelle Costituzioni.

Si pensi alle ricadute che su questo tema hanno le decisioni giudiziarie, le leggi e le prassi di governo negli Stati nei quali è stata introdotta una legislazione c.d. antiomofobia. Qualche esempio permette di chiarire meglio la portata della minaccia. In Spagna nel 2014 veniva avviato un procedimento pe- nale nei confronti di mons. Fernando Sebastián Aguilar – da Papa Francesco nominato cardinale pro- prio pochi giorni prima e di recente scomparso – per via di un’intervista al quotidiano di Malaga Diario Sur il precedente 20 gennaio. Si era espresso in questi termini: «(…) con tutto il rispetto dico

che l’omosessualità è una maniera deficiente di manifestare la sessualità, perché questa (la sessualità) ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. L’omosessualità, in quanto non può rag- giungere questo fine, sbaglia. Questo non è per niente un oltraggio. Nel nostro corpo abbiamo molte deficienze. Io ho l’ipertensione. Mi devo arrabbiare perché me lo dicono? È una deficienza che cerco di correggere come posso».

3_Negli Stati nei quali una legge simile è stata introdotta la sua applicazione ha colpito non chi in qualsiasi modo offende le persone omosessuali, bensì chi sostiene le ragioni della famiglia. In Fran- cia, dove una legge del 2004 sanzionava le discriminazioni razziali, nel 2008 e nel 2012 quelle dispo- sizioni sono state estese alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale: la legge Taubira (dal nome del ministro della Giustizia che l’ha promossa) è stata applicata, anche con arresti, verso persone ree di indossare una felpa recante il logo della Manif pour tous, e cioè un disegno con le sa- gome di un papà, di una mamma e di due bambini.

In Canada è emblematico il caso dell’università protestante alla periferia di Vancouver, la Trinity West University; agli studenti di quest’ateneo viene chiesto ordinariamente di sottoscrivere, al mo- mento dell’ingresso, un codice di comportamento nel quale ci si impegna a non accedere a siti por- nografici utilizzando il wi-fi dell’università, a non assumere alcool nel campus e ad astenersi “da forme di intimità sessuale che violino la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”. Cinque anni fa la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Legge canadesi ha avviato un procedimento am- ministrativo contro la Trinity West University e ha chiesto agli Ordini degli Avvocati di non ammet- tere alla pratica forense i laureati di quell’ateneo perché “omofobi”. Dove starebbe l’omofobia in quel codice di comportamento? Nel riferimento alla “sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”, e al fatto che sia menzionato solo questo matrimonio, e non quello fra omosessuali.

Certo, i cattolici devono sempre richiamare il Magistero ecclesiale sulle persone omosessuali, dando eco all’esortazione contenuta nel Catechismo della Chiesa cattolica, quando esorta, al n. 2358, a che le persone omosessuali siano accolte “con rispetto, compassione e delicatezza. (…) si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”. Ma la questione posta dall’inserimento nelle leggi di termini - come omofobia o transfobia - dall’accezione incerta e comunque nuova fa sì che contenuto di tali termini sarà determinato di volta in volta dal giudice, che deciderà con largo uso di discrezionalità, visto che non esistono parametri giuridici di riferimento. Per cui, alla stregua di quanto accade ove una legislazione simile è già in vigore, viene da chiedersi qual è la sorte della libertà religiosa allor- ché diventa (addirittura penalmente) rischioso, per sospetto di omofobia, sostenere che è preferibile far crescere un bambino da genitori naturali di sesso diverso rispetto a una coppia same sex.

Pensiamo agli insegnamenti sul matrimonio nei corsi di preparazione, nei seminari, nelle facoltà teo- logiche, nella pastorale quotidiana. Pensiamo, per non restare nelle ipotesi generiche, a quanto acca- duto negli USA a Kim Davis, impiegata dell’anagrafe nello Stato del Kentucky, finita in carcere per aver opposto un diniego alla celebrazione di “nozze” fra persone dello stesso sesso. O a quanto ac- caduto in UK a Lillian Ladele, che lavorava al London Borough of Islington, addetta alla iscrizione di nascite, morti e matrimoni; dopo l’approvazione del Civil Partnership Act nel 2004 (quindi for- malmente non una legge sul matrimonio same sex, bensì sulle unioni civili, simile a quella italiana), fu disposto che l’articolazione dell’ufficio nel quale era inserita Ladele provvedesse anche alla regi- strazione delle unioni civili. La funzionaria sollevò obiezione di coscienza, sostenendo che in base alle sue convinzioni religiose non era tenuta a officiare la cerimonia di costituzione dell’unione; per que- sto fu licenziata. In primo grado, l’Employment Tribunal ravvisò la discriminazione; l’Employment Appeals Tribunal ribaltò la prima pronuncia, dando torto alla funzionaria. Ladele ha poi proposto

ricorso alla Corte EDU, lamentando la discriminazione su base religiosa: il ricorso è stato respinto con decisione definitiva il 27 maggio 2013. La Corte ha escluso lesione di diritti e quindi ha confermato il licenziamento, per l’esplicita ragione che nell’UK manca una norma specifica che autorizzi l’obie- zione di coscienza.

4_Quel che va sottolineato è che se si mette in crisi il legame fra libertà di espressione e diritto, ne ri- sente la libertà religiosa. Come ha magistralmente scritto Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la XLIV Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 2011 “Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata. La libertà religiosa è all’origine della libertà morale. In effetti, l’apertura alla verità e al bene, l’aper- tura a Dio, radicata nella natura umana, conferisce piena dignità a ciascun uomo ed è garante del pieno rispetto reciproco tra le persone. Pertanto, la libertà religiosa va intesa non solo come immu- nità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la ve- rità.”

Nella direzione dei pericoli che corre in Europa la libertà religiosa è significativa, fra le altre, la sen- tenza del 30 gennaio 2018 della CEDU-Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso dell’agenzia pub- blicitaria “Sekmadienis Ltd.” contro il Governo lituano. Il governo lituano aveva irrogato una sanzione all’agenzia per una campagna pubblicitaria riguardante un’azienda di abbigliamento, che ritraeva due giovani che richiamavano le figure di Gesù e Maria, con didascalie recanti tali nomi. Nella parte introduttiva della sentenza, la Corte riconosce in primis il potere degli Stati membri di adottare restrizioni alla libertà di espressione, quando ciò sia necessario a garantire la salvaguardia di interessi preminenti (un’elencazione tassativa dei quali è riprodotta nel secondo comma del me- desimo articolo 10 CEDU). La Corte aggiunge che il potere di valutare la sussistenza di tali esigenze restrittive deve tuttavia essere esercitato, dai singoli Stati, in conformità col quadro normativo e giu- risprudenziale comunitario, e alla Corte, in ultima analisi, spetterebbe il potere di verificare che le eventuali difformità non compromettano l’esercizio di tale libertà.

La Corte ha deciso a favore della libertà di espressione dell’agenzia pubblicitaria - che passa attraverso l’uso strumentale delle immagini delle due figure centrali per le confessioni cristiane (e non solo per loto) - sancendo, fra l’altro, che la campagna pubblicitaria, per il modo in cui è stata realizzata, non è “gratuitamente offensiva né profana”, né attacca “in maniera arbitraria o abusiva una religione” in particolare (Ivi, punto 77). Quel che emerge in questa sentenza è che i giudici parlano di sacro e di profano senza definire l’ambito e il contenuto della loro concezione del sacro, e al tempo stesso senza tener conto del carattere profanante che ha una pubblicità che usa personaggi che incarnano la sto- ria della salvezza cristiana. Sostituiscono la loro valutazione a quella della confessione religiosa i cui sentimenti di appartenenza sono oggetto di tutela, senza aver alcun mandato, popolare o no, in tale direzione (e quand’anche lo avessero, sarebbe discutibile che fossero legittimati a esercitarlo, visto il rilievo fondante della libertà religiosa). Ma, fra gli altri, un punto che merita interesse è dove la CEDU sostiene, sulla premessa che la sola confessione in qualche modo coinvolta nella controversia fosse quella cattolica, che un numero ridotto di cattolici avrebbe manifestato, in maniera pubblica e formale, il suo dissenso; ciò, secondo la Corte, equivarrebbe a dire che non esistono prove che tutti gli appartenenti a questa confessione si siano sentiti realmente offesi dai contenuti della pubblicità in questione. Una simile evidenza è stata provata solo ricorrendo a un’intervista diretta e personale di tutti i cattolici presenti del Paese: alcuni hanno manifestato il proprio disagio, altri cittadini credenti, ancorché offesi dalla pubbli- cità, possono aver scelto di rimanere in silenzio. Viene in mente quanto Papa Francesco ricorda spesso a proposito del rilievo non già numerico dei cattolici, bensì oggettivo e qualitativo.

5_All’epoca dell’Appello del 1919 perfino un regime autoritario quale quello che si sarebbe insediato in Italia dopo tre anni giunse a garantire - con i limiti noti - la libertà religiosa ricorrendo al Concor- dato del 1929 per il rilievo che all’epoca la comunità ecclesiale aveva nel corso sociale italiano. Se oggi la CEDU nega rilevo al rispetto delle figure fondamentali delle confessioni cristiane, viene da chiedersi, al di là dei sondaggi effettuati, se non dipenda dalla debole difesa di questa fondamentale libertà, anzitutto da parte di coloro che dovrebbero averla a cuore.

Leggi di recente approvate in Italia, come quella sulle c.d. unioni civili e quella sulle c.d. dat hanno posto il duplice problema della scarsa resistenza dei cattolici al loro varo, e della obiezione di co- scienza - non prevista né dall’una né dall’altra - quale ultimo strumento di salvaguardia della libertà religiosa, e della libertà in generale. Riprendere oggi lo spirito dell’Appello del 1919 significa anche comprendere che l’obiezione di coscienza non ha niente a che vedere con l’espressione di idee o di posizioni opinioni politiche: non mi piace una legge, non la rispetto invocando l’obiezione. Se la co- scienza è, come è, un giudizio della ragione, essa non è la suggestione di un momento, non é una una semplice opinione, ancora meno è una emozione. Attraverso il suo giudizio la persona riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per compiere. Quindi: si tratta di qualcosa che riguarda ogni singola persona, non una collettività; è una cosa intima, strettamente personale; ha a che fare con l’uso della ragione e la libertà: il richiamo della coscienza mette in moto la ragione e determina una scelta libera dell’uomo; la coscienza richiama ad una legge non scritta dalla persona – e da nessun altro uomo – ma “scritta nel suo cuore”; infine – e soprattutto – questa legge scritta nel cuore del- l’uomo è vincolante. Lo Stato ti intima: “devi fare questa azione” e ti minaccia di una sanzione se non obbedisce; la coscienza e la ragione ti intimano: “non devi fare questa azione”, qui la “sanzione” è la perdita della tua dignità.

Oggi la coscienza è la frontiera della libertà religiosa. Come ha insegnato Rosario Livatino, magi- strato ucciso per mano mafiosa del quale è in corso il processo di beatificazione, “non occorre cioè che Cesare sia un credente. È sufficiente che ogni singolo Stato rispetti, nella sua legislazione terrena, quelle esigenze della persona, dei gruppi, della comunità che sono indicate dalla loro stessa umanità di vita; ad esempio, la legge dello Stato non potrà consentire, senza intervenire con la norma indica- tiva e con la punizione adeguata, che una persona tolga la vita ad un’altra (qui si presenta sintoma- tico il campione concettuale della pratica abortiva); non potrà imporre la sterilizzazione umana; non dovrà esigere tributi vessatori unicamente per paralizzare l’esercizio di un tipo di libertà di associa- zione; e via dicendo. Date a Cesare significa date ciò che è giusto che Cesare chieda; ma Cesare ha, a sua volta, una regola naturale che deve osservare e - a dimostrazione macroscopica dei suoi limiti e per evitare che possano esservi dubbi su questo punto - non potrebbe ad esempio pretendere di sop- primere la vita delle persone coi capelli biondi perché sgradite al potere” (conferenza sul tema Fede e diritto. Canicattì, 30 aprile 1986).

PUNTO 9 - ECONOMIA E FISCALITÀ

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