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Presidente Fondazione con il Sud

1_ Indubbiamente il confronto tra i due momenti storici non consente di parlare di similitudine, se non nel senso della percezione di attraversare una fase storica di grandi cambiamenti, che richiede uno sforzo vigoroso di pensiero e di governo dei processi. Sturzo, su questo punto, traccia un per- corso di coraggiose ed impegnative riforme strutturali con un grande respiro riformatore e con tratti di grande discontinuità. Elementi questi, che certamente non si intravedono nel nostro dibattito po- litico e sono ancora incerti nello sforzo di studio e di riflessione. L’unico riferimento, a livello plane- tario, che ha il respiro che deve accompagnare un forte, diffuso, coraggioso impegno per il cambiamento è costituito dalla “Laudato sì” di Papa Francesco, che accanto alla definizione di un nuovo generale paradigma dello sviluppo, fornisce anche una serie di indicazioni più strettamente politiche, cioè di scelte da fare, alcune anche con una grande urgenza. Ma rileggendo il punto 5 del- l’Appello di Sturzo, non si può non sottolineare come, soprattutto per due questioni, il secolo sem- bra essere trascorso invano. Il primo è quello relativo all’assetto idrogeologico: siamo ancora in enorme ritardo ed ancora non riusciamo a porre la questione tra le priorità delle politiche di sviluppo del Paese. La seconda è quella del Mezzogiorno, per la quale stiamo ancora tentando di convincere il Paese della necessità di una “risoluzione nazionale” del problema. Certamente molte cose sono state fatte e molte conquiste, soprattutto in termini di servizi essenziali, sono state realizzate. Ma la sostanza politica del problema resta immutata: l’Italia non è capace di convincersi, e di agire in con- seguenza, che quella del Sud è una questione nazionale, che riguarda, cioè, l’intero Paese.

2_ La mia risposta a questa domanda è positiva. Il tema dell’ambiente, come quello delle crescenti di- seguaglianze, mostra in modo inequivocabile i limiti del meccanismo di sviluppo dominante, basato sulla concentrazione finanziaria, sui grandi flussi globali in materia di finanza, di comunicazione, di conoscenza. La risposta a questi fenomeni non può essere più affidata alla individuazione di politi- che che compensino gli effetti negativi di quel modello di sviluppo, come certifica la crisi, irreversi- bile, del modello di welfare che si è affermato in Europa nel novecento.

Occorre rovesciare il paradigma. Occorre tornare ad un sistema che abbia al centro il valore della persona, della comunità del bene comune. Per semplificare, bisogna chiudere la parentesi di Adam Smith e tornare al paradigma dello sviluppo definito da Galiani, Genovesi, Dragonetto. Con un im- menso sforzo di comunicazione, con il sempre maggiore sostegno ai percorsi della cosiddetta eco- nomia civile, con la sperimentazione continua di nuove prassi comunitarie, si può conquistare il consenso dei cittadini coinvolgendoli in modo attivo in questi nuovi processi. Questa è la frontiera della democrazia e dello sviluppo. D’altra parte non si può dimenticare la straordinaria, profetica intuizione di Paolo VI che nella “Populorum Progressio” ci ricordava che lo sviluppo è “un processo di popolo”.

3_Provare ad intraprendere percorsi che sperimentino e progressivamente affermino nuovi mecca- nismi di sviluppo, attenti all’ambiente considerato come bene comune e non come strumento di ar-

ricchimento per pochi, implica naturalmente il passaggio da una cultura del potere ad una del ser- vizio, nelle classi dirigenti. E la cultura del servizio determina l’affermarsi di meccanismi di traspa- renza nelle relazioni tra isituzioni e cittadini e di diffusione di responsabilità.

Si tratta di passare da politiche fatte “per” qualcuno a politiche fatte “con” qualcuno, come ci ricorda l’esperienza di Danilo Dolci. Ma su questo punto penso vi sia un aspetto molto delicato che vale la pena approfondire nel documento per il centenario sturziano. Il passaggio da un certo modello di svi- luppo ad un altro, da una determinata concezione del ruolo delle classi dirigenti ad una visione del potere inteso come servizio, presume una inevitabile fase conflittuale. Ce lo ricorda ancora una volta Francesco nella Laudato si, quando esplicitamente chiede se si ritenga possibile che i soggetti che hanno saccheggiato l’ambiente, che hanno impoverito popoli e nazioni, che hanno provocato guerre e diseguaglianze, possano essi stessi guidare il cambiamento.

Evidentemente no: e c’è quindi bisogno di passaggi di forte discontinuità ed anche di rottura. 4_ Èquesto un punto particolarmente rilevante. Almeno io lo considero decisivo nel percorso di cam- biamento che vogliamo intraprendere. Per le caratteristiche proprie del nostro tempo, la moltiplica- zione di buone prassi, di progetti esemplari, di esperienze avanzate, costituisce una frontiera indispensabile. Come pure è indispensabile fare sforzi per mettere in rete queste esperienze, sia per rafforzarle, sia per evitare che i protagonisti di tante, straordinarie storie, pensino di essere isolati, di costituire una eccezione. Nella mia esperienza alla Fondazione Con il Sud sono testimone diretto di tante storie, di tante esperienze, che hanno “rovesciato il paradigma”. Partendo dal sociale, co- struendo risposte di solidarietà ed accoglienza, assistendo ed includendo i più deboli, hanno dato vita a percorsi di valorizzazione di beni comuni, di sviluppo e di occupazione. Migliaia di opportunità di lavoro in imprese e cooperative sociali, a dimostrare che lo sviluppo non ha come solo molla nella ri- cerca del profitto, ma sempre più spesso, la solidarietà e la comunità. Nei fatti di mostrano la potenza ed il realismo della frase del Vangelo che ci ricorda che “le pietre di scarto” possono diventare “pie- tre d’angolo” sulle quali costruire l’edificio.

Bisogna enfatizzare queste esperienze non nella logica di mostrare lodevoli e meritorie eccezioni: se questo fosse l’obiettivo troverebbe spazio l’atteggiamento di quanti rifiutano di pubblicizzare le loro esperienze per un apprezzabile senso di discrezione; bisogna enfatizzarle per dimostrare che un altro modello di sviluppo è possibile. Rifiutare di tenere queste esperienze in recinti, casomai dorati, ma percepiti come “altra cosa” rispetto allo sviluppo. Lavorare nel sociale è lavorare per lo sviluppo. 5_ Per l’insieme delle considerazioni prima schematicamente riassunte, penso di sì. E ritengo che l’af- fermarsi progressivo di un nuovo modello di sviluppo, cambi in positivo il quadro delle relazioni in- ternazionali. Insisterei nella esigenza di evitare il rischio che, sottolineare la necessità di sentirsi impegnati a costruire una corretta dimensione europea ci colga “di spalle” al mediterraneo che per adesso, viviamo come fonte di problemi e preoccupazione, ma che sarà invece cruciale per un svi- luppo sostenibile.

PUNTO 5 - SVILUPPO E AMBIENTE

Relazione di sintesi di