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EDUARDO GIANFRANCESCO

1_La valorizzazione della riflessione di Luigi Sturzo in tema di sussidiarietà verticale (ed, inscindi- bile da questa, orizzontale) consente di affrontare adeguatamente alcune delle sfide più impegna- tive della contemporaneità, in ambito politico e giuridico.

Come emerge da tutti i documenti preparatori, le “categorie del politico” della contemporaneità sono sottoposte ad una tensione ed una trasformazione tali da mettere in crisi non pochi strumenti inter- pretativi e di azione tradizionali.

Da un lato, si assiste, ormai da qualche decennio, a processi, per così dire, di liquefazione dell’ordine politico e giuridico tradizionale; un ordine che comunque, bene o male, vedeva nell’entità statale un punto di riferimento imprescindibile all’interno ed all’esterno dei confini territoriali che delimita- vano il singolo Stato. É ciò che si può definire complessivamente come “globalizzazione sferica, a propulsione neo-liberista” a mettere radicalmente in discussione categorie fondanti della convivenza politica internazionale nonché – e questo assume un particolare rilievo- del costituzionalismo libe- ral-democratico e dell’impalcatura di rapporti che questo era riuscito, faticosamente e non senza tra- vaglio, a costruire tra Stato e comunità intermedie, fino ad arrivare ai rapporti con i singoli individui. Nella decostruzione delle forme tradizionali di rapporto tra Stato-Comunità intermedie-Cittadini la nozione fondamentale per la tradizione giuridica occidentale di “Stato di diritto” rischia di essere svuotata di senso.

Al tempo stesso, come forma di reazione alla globalizzazione (ma al tempo stesso quale conseguenza di essa od anche in ragione di un uso strumentale della stessa e delle sue conseguenze) si assiste in non pochi ordinamenti statali ad una verticalizzazione dei rapporti “di potere” ed alla loro forma- lizzazione giuridica. Si tratta di una linea di tendenza che può portare oltre i confini del costituzio- nalismo liberal-democratico ma che anche rimanendo all’interno di quei confini può stravolgerne non poco i lineamenti, sino a porre il dubbio se le categorie tradizionali della dialettica politica e giu- ridica autorità-libertà tipiche dello “Stato di diritto” siano ancora in grado di afferrare il senso so- stanziale della realtà sociale.

Alimentata dallo “spazio di scetticismo e di delusione che caratterizza attualmente l’opinione pub- blica relativamente al funzionamento di tutte le istituzioni democratiche”, una deriva populistica sembra espandersi anche sulle più consolidate democrazie “con crescente verticalizzazione del po- tere e ruolo dei leader, favorita dai media e dai social, con emarginazione dei corpi intermedi”. Anche senza arrivare a questi esiti estremi, la reazione alla globalizzazione può manifestarsi in forme di neo-centralismo che svalutano l’apporto che i corpi intermedi (territoriali e sociali) sono in grado di apportare all’edificio politico-costituzionale complessivo: si tratta di un processo che può avvenire “a costituzione vigente”, attraverso, ad esempio, orientamenti delle Corti costituzionali nell’inter- pretazione della legislazione ordinaria oppure mediante tentativi di vera e propria revisione costi- tuzionale di ispirazione ri-centralizzatrice.

2_ Come si accennava in apertura, il pensiero politico di Luigi Sturzo mantiene una straordinaria at- tualità per affrontare adeguatamente queste sfide della contemporaneità.

La circostanza per cui tale pensiero è venuto storicamente elaborandosi in reazione ad esperienze di statalismo autoritario, quali quelle del XX secolo, non deve essere visto come una limitazione del- l’attualità di tale riflessione. Gli statalismi fascisti e comunisti che il pensiero sturziano “fronteggia” sono l’esito del processo di impossessamento e subordinazione dello Stato “tradizionale” ad opera di ideologie totalitarie che vedono nello Stato non un fine ma uno strumento per la realizzazione di un disegno “globale”. Ciò è evidente in massimo grado nel totalitarismo nazionalsocialista ed in quello comunista sovietico ed in modo “imperfetto”, ma comunque significativo, per l’esperienza fascista italiana.

La posizione antitetica di Sturzo rispetto a tali esperienze è costituita dalla netta affermazione della pri- marietà della persona e delle formazioni sociali rispetto ad ordinamenti politici e statali antitetici a tale opzione di valore. Al di là delle evidenti differenze, l’assoggettamento della “macchina” statale al- l’ideologia dei totalitarismi del XX secolo e la liquefazione dello Stato propria dei processi di globaliz- zazione del XXI secolo presentano punti in comune sui quali occorre riflettere.

In questo senso, la riflessione sturziana vede nello Stato, o più precisamente in uno Stato costruito su basi personalistiche un entità utile a salvaguardare e promuovere i diritti della persona umana. Si tratta quindi di costruire su basi coerenti con questa impostazione l’edificio costituzionale statale ed in ciò la riflessione sturziana è stata di grande utilità nel momento dell’elaborazione della Costituzione italiana del 1948, al- lorché si trattava di fuoriuscire e di rompere con l’impostazione tradizionale ed autoreferenziale della so- vranità statale che aveva caratterizzato l’esperienza precedente e che, per la fragilità delle sue basi di scelte di valore, aveva opposto scarsa resistenza all’impossessamento della persona (e dell’apparato di forza) dello Stato ad opera delle ideologie totalitarie. Analogamente, la riflessione sturziana appare di grande utilità nel momento presente, di fronte sia alle ideologie dell’anti-statalismo globalizzante che di quelle delle “democrazie illiberali” a verticalizzazione populista del potere; entrambe antitetiche con un approccio personalista e garantista della dialettica autorità-libertà.

3_ Dai tre documenti preparatori emerge chiaramente la molteplicità di declinazioni possibili del principio di sussidiarietà verticale nell’informare il modo di essere complessivo dell’organizzazione pubblica statale.

Si tratta di un carattere coerente, peraltro, con l’ispirazione di fondo del principio stesso che solo a prezzo di forzature evidenti potrebbe essere costretto entro i margini di una interpretazione unila- terale. E, del resto, è proprio del carattere delle “disposizioni di principio” la loro apertura a molte- plici letture attuative, purché – è il caso di ribadirlo – esse restino fedeli all’impostazione di fondo del principio stesso.

Questa apertura strutturale del principio di sussidiarietà è risultata provvidenziale nel momento della scrittura della Costituzione del 1948, allorché i Costituenti non potevano – pena l’impossibilità di raggiungere l’accordo sul “patto costituzionale”- definire in caratteri dettagliati l’articolazione or- ganizzativa della “Repubblica delle Autonomie” che si andava costruendo.

Non dovrebbe sfuggire la delicatezza del punto: un eccesso di indeterminatezza rischia di confinare le disposizioni di principio nel campo delle dichiarazioni prive di prescrittività, espressive, al più, del “com- promesso dilatorio” incapace di esprimere una decisione politica e giuridica vera e propria. L’eccesso di carattere di dettaglio toglie, al contrario, al principio il “respiro necessario” che serve a differenziarlo dalla disposizione di dettaglio e che gli permette di adattarsi e sopravvivere al mutare dei tempi e delle contingenze.

Il principio di sussidiarietà verticale, per come recepito nella Costituzione italiana, a partire dalla previsione dell’art. 5, assume questo carattere aperto ma sufficientemente determinato, che permette di ricondurlo non solo nella sua parte “di freno” (il limite della indivisibilità della Repubblica) ma anche in quella “propulsiva” (la promozione delle autonomie) al nocciolo duro dell’essenza dei prin- cipi supremi dell’ordinamento costituzionale positivo.

In questa prospettiva, non è l’assenza di prescrittività del principio ma l’insufficienza degli interpreti storici di esso (politici ed anche giuridici) ad avere determinato un’esperienza attuativa non sempre all’altezza delle aspettative, nelle diverse fasi della storia repubblicana italiana.

Non vi è dubbio, comunque, che le trasformazioni intervenute nel corso dell’esperienza costituzio- nale repubblicana sono state enormi, rispetto all’ordinamento precedente, anche prima della sua in- voluzione autoritaria-totalitaria. In questo l’intuizione dei Costituenti e di coloro che, come Luigi Sturzo, hanno alimentato il loro pensiero e la loro opera resta fondamentale.

Come viene sottolineato in uno dei documenti preparatori, è a partire dalla costruzione sussidiaria dell’ordinamento repubblicano che una tradizione nazionale di “disunione e frattura” si è potuta, almeno in parte, superare.

4_ La fedeltà al “metodo” della valorizzazione del principio di sussidiarietà verticale impone di con- frontarsi costantemente con i problemi della sua concreta attuazione e della adeguata modulazione di tale implementazione rispetto alle mutevoli esigenze dell’esperienza reale.

L’apertura “strutturale” del principio di sussidiarietà verticale, sottolineata nel paragrafo precedente, permette di soddisfare tale esigenza. I documenti preparatori evidenziano, a questo proposito, una serie di nodi problematici rispetto ai quali il principio di sussidiarietà verticale è ancora oggi chiamato a dare prova di sé, secondo una molteplicità di possibili declinazioni.

Il primo livello è rappresentato dal “nucleo fondamentale” della Repubblica delle Autonomie, ovvero la dimensione comunale, valorizzata dalla formulazione dell’art. 114 Cost. introdotta con la riforma costi- tuzionale del 2001, ma ancora non pienamente in grado di sviluppare le proprie potenzialità di ente ter- ritoriale sussidiario per eccellenza. Come emerge dai documenti preparatori, sia il problema del rapporto tra Comuni e territorio di riferimento, sia quello di una valorizzazione effettiva dell’autonomia norma- tiva (statutaria, in primis, nonché regolamentare) si impongono all’attenzione ed impongono la consi- derazione delle soluzioni più consone alla valorizzazione del principio di sussidiarietà.

Tra l’altro, in quanto ente di prossimità massima con i cittadini, il livello comunale è quello nel quale si può realizzare più facilmente e nel modo più efficace e visibile l’integrazione tra l’azione pubblica e quella di autorganizzazione della società (volontariato; associazioni privato-sociali del III settore) e, quindi, l’integrazione tra dimensione verticale e dimensione orizzontale della sussidiarietà: due co- ordinate dello stesso principio che non possono essere artificiosamente scisse.

Più che sul piano di ulteriori riforme costituzionali è sul piano legislativo (statale e regionale, specie per le Regioni a statuto speciale che sono dotate di potestà ordinamentale nei confronti degli Enti lo- cali...) che occorre porre l’attenzione, tanto più in un momento in cui sembra avviarsi un processo di riforma del d. lgs. n. 267 del 2000 (tuel). Allo stesso modo, l’attenzione va costantemente mantenuta sulle soluzioni contenute nelle stesse fonti di autonomia comunale (statuti e regolamenti) per moni- torare l’interpretazione che gli stessi danno degli istituti della sussidiarietà verticale ed orizzontale, così come degli istituti di partecipazione: una sorta di auto-interpretazione del principio di sussi- diarietà, ad opera degli stessi protagonisti.

Il livello provinciale è, come è noto, quello più travagliato nell’esperienza italiana recente. Utilizzando uno dei documenti preparatori, esso appare vivere in “in un limbo per le scelte politico-istituzionali

stravaganti, ovvero la mancata sincronizzazione tra l’azione di riforme costituzionale e quella di ri- forma per la legge ordinaria”. E’ un campo nel quale molteplici opzioni vengono in gioco, all’inter- sezione tra principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. La dimensione dell’“area vasta” - nell’oggettività delle sue esigenze di soddisfazione di interessi concreti, ma pro- babilmente anche di rappresentanza politica – può rappresentare il punto di partenza per una ri- flessione non velleitaria sul tema dell’ente intermedio e sulle sue prospettive future.

Il livello regionale è sicuramente quello più affascinante e problematico. Ci troviamo di fronte alla di- mensione più innovativa del disegno costituzionale repubblicano del 1948, fortemente auspicata da Luigi Sturzo ma esposta nel corso dell’esperienza costituzionale della Repubblica ad una vita quanto mai tormentata: attuata restrittivamente dall’inizio solo con riferimento ad alcune autonomie (le Re- gioni speciali) che hanno scontato tutti i limiti di questo carattere “pioneristico”; estesa all’intero ter- ritorio nazionale tardivamente e con non pochi limiti; “rilanciata” nel 1999-2001 con finalità in buona parte contingenti se non strumentali e limiti strutturali dal punto di vista tecnico; esposta sino ai giorni nostri ad una “parabola” che si manifesta oggi, al suo epilogo, in un sentimento di diffusa di- saffezione nei confronti dell’istituzione regionale.

Ciononostante, l’idea regionale resta fondamentale per la valorizzazione del principio di sussidiarietà verticale, sottraendo allo Stato il monopolio di una funzione tradizionalmente associata all’idea di so- vranità, come la funzione legislativa e rendendo tale funzione, secondo diverse tecniche di combi- nazione, condivisa con enti territoriali decentrati. E’, in altri termini, la titolarità di una funzione legislativa costituzionalmente prevista e garantita la migliore garanzia di un’autonomia politica reale, che sostanzia e qualifica la dimensione verticale del principio di sussidiarietà.

Se si parte da queste premesse, insite nella riflessione sturziana sull’autonomia regionale e fatte pro- prie, al di là dei compromessi contingenti e dei limiti di formulazione tecnica, nel processo costi- tuente, è possibile affrontare le sfide che l’autonomia regionale oggi pone, richiedendo interventi anche di rango costituzionale.

Tralasciando di soffermarsi, in questa sede, sui problemi di riparto competenziale e sulle tecniche più opportune da utilizzare al riguardo, ivi compresa la possibilità del “regionalismo differenziato” ex art. 116, terzo comma, Cost., è piuttosto il caso di richiamare il tema della partecipazione delle Re- gioni alla vita costituzionale dello Stato; problema che richiede una presenza regionale nelle sedi di elaborazione della decisione politica statale, destinata a tradursi spesso in parametro giuridico per l’azione degli stessi enti regionali. E’evidente il riferimento al sempre nevralgico e fino ancora irri- solto tema della presenza, in seno al Parlamento della Repubblica, di una Camera che sia espressione di una qualità di rappresentanza politica diversa da quella che si realizza nella Camera di rappre- sentanza politica generale: una Camera-Senato delle Regioni che chiuda il cerchio della sussidiarietà portando in seno allo Stato le esigenze e l’apporto degli enti territoriali.

PUNTO 7 - SALUTE E SOLIDARIETÀ

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