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Presidente Nazionale dell’Associazione Religiosa degli Istituti Socio-Sanitari (ARIS)

1_In ordine al tema della salute – oggi da intendere non solo come difesa,bensì anche quale promo- zione attiva della condizione di benessere – siamo effettivamente ad un punto di svolta epocale. Purtroppo, in termini preoccupanti e negativi, nella misura in cui viene oggi messa in discussione – o addirittura, di fatto, per più aspetti, tacitamente già superata – la dimensione “universalistica” del nostro sistema sanitario, così come è stata configurata dalla legge di riforma generale della sanità, la 833 che risale al 1978.

Rischiamo di scivolare ineluttabilmente verso forme di tutela sanitaria ed assistenziale che rispon- dono a livelli di garanzia differenziata e, quindi, scanditi al ribasso in funzione della condizione di censo e di cultura – o più semplicemente di collocazione geografica tra Nord e Sud della nostra pe- nisola – di importanti fasce di popolazione.

E’ paradossale che ciò avvenga – ma non è il caso di approfondire qui cause e motivazioni di un tale processo – proprio in una fase storica connotata da uno straordinario ed incalzante progresso della bio-medicina. E, per certi aspetti, anche a motivo di tale progresso.

Il cosidetto “secolo breve” che, a grandi linee, si fa datare, appunto, dagli anni in cui Sturzo lanciò l’“Appello agli uomini liberi e forti”, fino alla caduta del Muro di Berlino, ha sì visto l’Europa dila- niata da due guerre mondiali che, aspramente combattute sul suo territorio, hanno di fatto assunto il carattere di “guerre civili” del vecchio continente, ma è stato, ciò non di meno, il secolo di straor- dinarie e storiche conquiste sociali che non possono e non devono andare smarrite.

Anche oggi abbiamo bisogno di “riorganizzazione” degli apparati pubblici di tutela della persona. Anche oggi va riscoperto – dal momento che, giorno per giorno, impallidisce a favore di una conce- zione “statalista” del welfare, nelle sue varie articolazioni sanitarie e socio-assistenziali – il “rispetto della libertà delle iniziative private”.

Anche in questa fase storica che ci è dato vivere vanno studiate e proposte aggiornate“forme di pre- videnza”, intese quali modalità di “garanzia sociale” fortemente innovative e, cioè, anzitutto, non più passivamente adagiate in una dimensione meramente assistenzialistica, bensì fondate su una lo- gica “generativa”, cioè sulla capacità del cittadino di concorrere al risultato atteso.

2_L’impegno della solidarietà è, a maggior ragione, rilevante se la intendiamo non solo come dispo- sizione soggettiva – e, in definitiva, discrezionale – ad una relazione di aiuto, bensì come espressione necessaria e concreta del valore “oggettivo”, moralmente vincolante della “giustizia”, a sua volta fondata sulla inalienabile verità “ontologica” della persona.

La democrazia non è una procedura. E’ molto di più. E’ davvero forte se è anzitutto radicata nella con- sapevolezza di ogni cittadino, di appartenere, nel senso pieno del termine, alla nostra comune uma- nità e, quindi, nella sua attitudine a riconoscere l’“altro” come fratello o, almeno, laicamente, come interlocutore accreditato di pari dignità, qualunque sia la condizione sociale, l’ appartenenza etnica, culturale o religiosa in cui si inscrive.

In questa nostra stagione slabbrata e scomposta, dobbiamo ripensare a fondo la relazione necessaria tra giustizia sociale e libertà. Nel senso che, in fondo, quest’ultima, per certi aspetti, non appartiene del tutto ad ognuno di noi – o almeno soffre di una non piena legittimazione – se non è, ad un tempo, la libertà di tutti e di ciascuno, se convive – o addirittura, in qualche modo, si nutre - con una con- dizione di ingiustizia sociale che mutila e limita la libertà di altri.

In fondo, dovremmo avere il coraggio di affermare che una democrazia autentica è strutturalmente, necessariamente connessa ad una concezione dell’uomo, della vita e della storia che sia cristiana- mente ispirata.

3_A proposito di “salute” – ed analogamente in ambito di “assistenza”; in ogni professione di pros- simità – possiamo individuare un contesto in cui, emblematicamente, il “potere” si declina, deve ne- cessariamente declinarsi in termini di “servizio”.

Accade così nella relazione “medico-paziente” o meglio nella loro “alleanza”, nella dimensione di un rapporto interpersonale del tutto specifico che, in alcune particolari situazioni, può spingersi fino a configurare una sorta di “comunità di destino”.

Si tratta di uno spazio in cui la capacità di ascoltarsi l’un l’altro è decisiva, dirimente; la parola deve essere misurata, ad un tempo penetrante e prudente, tanto più ricca di empatia quanto più chiamata ad essere sincera. Esattamente il contrario dello scialo di parole, dell’enfasi, del fraseggio perenne- mente sopra le righe, dello stordimento mediatico che ogni giorno ci sovrasta.

Il “bene comune” è il bene della collettività, il bene ugualmente offerto a ciascuno ed a tutti. Ma non possiamo intenderlo anche come il “bene fatto insieme”?

Così come deve avvenire nella relazione clinica, presa ad esempio di una reciprocità umanamente ef- ficace, fondata non su un rapporto mercantile, di mera convenienza, bensì di fiducia, di reciproca credibilità; in definitiva, di condivisione e di amicizia, pur nella distinzione dei ruoli e della respon- sabilità di ognuno.

Che cosa, da questo ed altri esempi, se ne possa derivare – oggi – in quanto ad uno stile di “parteci- pazione, semplicità e coerenza” che sia applicabile alla conduzione della “cosa pubblica” è davvero arduo o proibitivo dirlo.

4_La risposta a questa domanda è, in fondo, una declinazione più puntuale di quanto già asserito a proposito della domanda precedente. Al punto in cui siamo oggi nel nostro Paese, le “buone prassi” possono essere immediatamente intese come procedure formalmente ineccepibili e corrette, per quanto asettiche da insediare - sic et simpliciter - nel più vasto contesto civile attraverso appropriate riforme?

Cosicchè bastino da sole, per una sorta di necessità intrinseca a migliorare il costume morale e civile della collettività, orientandola ad una più alta considerazione della dignità della persona, di ogni persona?

C’è in questo momento un “humus”, un abito mentale già adatto ad accogliere un tale “slancio”, una tale svolta?

O non è piuttosto indispensabile operare perchè le “buone prassi” maturino prima nell’interiorità delle persone, nella mente e, nel contempo, nel cuore di cittadini che siano in grado di assumere, di far propria l’intensità provocatoria, a tratti drammatica, ma fors’anche profetica del tempo difficile che ci è toccato in sorte?

E non dobbiamo, dunque, pensare a come si possano e si debbano rafforzare le strategie e gli stru- menti di un’azione formativa, anzi educativa nel senso forte del termine, rivolta soprattutto alle gio- vani generazioni?

5_I legami di comune appartenenza, di coesione sociale, di reciproca affidabilità, di solidarietà, di af- fermazione di una propria identità intesa come occasione non di arroccamento solipsistico, bensì di confronto e di crescita sintonica, oggi, nel tempo della società globale, sicuramente devono valere – ben al di là della ristretta comunità locale, oltre la stessa dimensione nazionale – come fonte di ispi- razione per un’Europa che sappia riprendere coraggiosamente il cammino della propria unità “po- litica”, superando i limiti soffocanti di una mera comunità di interessi economico-finanziari.

Peraltro, l’Europa – almeno così come l’hanno concepita i padri fondatori radicati nel solco della loro profonda ispirazione cristiana – può esistere solo se sa guardare oltre se stessa, se, nata nel segno di un progetto di pace al suo interno, è in grado di ampliare questo disegno ad una dimensione inter- nazionale più vasta, se è in grado di porsi come protagonista della difficile costruzione di un equili- brio mondiale di cui abbiamo urgente bisogno.

PUNTO 7 - SALUTE E SOLIDARIETÀ

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