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Dirigente Scolastico I.C. “Leonardo Sciascia” di Racalmuto (Ag)

e Vice Presidente Regionale vicaria dell’UCIIM SICILIA

Le analogie tra il periodo immediatamente successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, ed il no- stro tempo sono sicuramente riconducibili alle gravi difficoltà economiche che allora come adesso af- fliggono il Paese. La disoccupazione dei primi anni Venti del Novecento era principalmente ascrivibile alle difficoltà connesse alla riconversione industriale post-bellica, da militare a civile ed al ritorno dei reduci dal fronte. L’eziologia della disoccupazione attuale è sicuramente diversa, poiché deriva dalla difficile soluzione di concomitanti fenomeni un tempo contrapposti, nel senso che richiedono inter- venti correttivi di segno diverso, quali l’inflazione, perlopiù strisciante, e la stagnazione economica, quando non diventa vera e propria recessione. Il comune denominatore è, quindi, da una parte la crisi economica che colpisce particolarmente i ceti medi e le classi a reddito fisso, e che inibisce meccani- smi virtuosi di crescita e di sviluppo, con il conseguente aumento del numero complessivo dei “po- veri”. Dall’altra, un elemento di analogia è la crisi sociale che si manifesta nella “violentizzazione” delle relazioni sociali, con l’esplosione di fenomeni di intolleranza, di illiceità, di ricerca di nuovi mo- vimenti che interpretino i confusi sentimenti di insoddisfazione e di rabbia sociale delle masse. Pro- babilmente un fenomeno che lo stesso don Sturzo aveva individuato come un male del suo tempo, la “scristianizzazione” del popolo, oggi ha assunto una portata preoccupante ed imprevedibile. Se, infatti, nei primi decenni del ‘900 l’etica, cattolica, o meglio evangelica, permeava diffusamente l’edu- cazione morale delle giovani generazioni, pur in un momento storico di laicizzazione, oggi la morale evangelica è ignota alla maggioranza dei giovani, nonostante la percentuale ancora piuttosto alta di bimbi battezzati, e spesso è esplicitamente rifiutata e contestata, senza l’elaborazione di una altret- tanto forte e convincente etica laica.

Viene da chiedersi se questo tempo sia propizio al sorgere di personalità di spicco quale quella di Sturzo e se la passione politica possa nuovamente coinvolgere la nostra società, caratterizzata da un generalizzato riflusso nel privato, con il rifiuto della “cosa pubblica” identificata con fenomeni cor- ruttivi ed in generale illeciti.

Le tensioni sociali esplodono in tutta Europa ed anche nel nostro Paese in modo preoccupante, ali- mentate dall’incapacità delle masse di dialogare e di argomentare. In un quadro siffatto l’istituzione “scuola” potrebbe avere un ruolo importante, anzi fondamentale, nell’educazione al dialogo e alla dialettica, alla capacità di argomentare, alla tolleranza e al rispetto.

Se certamente la scuola non può sostituirsi alla famiglia nell’educazione morale delle giovani gene- razioni, può tuttavia trasmettere i valori positivi sui quali costruire il futuro del Paese, la solidarietà (che è Jus positum sin dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, art. 2), il rispetto della dignità umana, l’uguaglianza e la libertà di manifestazione del pensiero.

La crisi morale e sociale investe, tuttavia, (è inutile nasconderlo) anche la stessa istituzione “scuola”, le cui donne e i cui uomini sono proprio quel ceto medio frustrato e deluso dalle difficoltà economi- che e confusamente alla ricerca di nuovi equilibri sociali. Tra questi uomini e donne di scuola c’è una

componente di “liberi e forti” (l’UCIIM ne è testimonianza viva e diretta) ai quali appellarsi per un impegno che, partendo dalla coerenza di fede e di condotte, dia avvio ad una crescita morale quanto mai auspicabile come argine alla “violentizzazione” anzidetta. Pertanto, parafrasando don Sturzo, po- tremmo dire, anche riferendoci alla scuola e all’educazione, che è giunta l’ora, ed invero è già tardi, che i cattolici, staccandosi da una concezione puramente clericale (che talvolta si scorge anche ai giorni d’oggi tra i credenti), scendano in campo animati da quei principi morali che derivano dalla civiltà cristiana come informatrice perenne e dinamica della morale privata e pubblica.

La scuola, oltre al fine istituzionale dell’istruire, non può non avere anche quello dell’educare, della formazione globale dell’uomo e del cittadino. In particolare l’educazione alla cittadinanza, obiettivo specifico di tutti gli ordini di scuola, può trasmettere ai giovani una nuova passione per la democra- zia. Se certamente è disdicevole che i ragazzi arrivino al diploma senza conoscere le istituzioni de- mocratiche e la Costituzione repubblicana, tanto che le recenti riforme reintroducono uno spazio temporale ben definito (un’ora settimanale, ovvero 33 annue) da destinare allo studio dell’educa- zione civica, d’altra parte è ancora più preoccupante che manchi la capacità di fruire adeguatamente degli istituti giuridici della democrazia. Appare un obiettivo educativo trasmettere il piacere del con- fronto democratico attraverso, ad esempio, la rivitalizzazione degli spazi della rappresentanza stu- dentesca nella scuola secondaria di secondo grado. L’elezione dei rappresentanti, la partecipazione agli organi collegiali e lo svolgimento delle assemblee sono divenuti ormai fatti banalmente routinari e adempitivi, mentre potrebbero ritornare ad essere palestra di confronto, di dialogo e di democra- zia. Non è una sfida semplice, poiché i nostri ragazzi, nativi digitali, hanno perso l’attitudine e l’abi- tudine, nonché il piacere dell’interazione faccia a faccia, dell’accettazione dell’altrui punto di vista, dell’affermazione appassionata del proprio. La scuola dovrebbe destinare risorse economiche ed umane alla formazione della rappresentanza studentesca della quale si sono appropriate derive al- tamente autoritarie, nel senso che la maggioranza dei ragazzi percepisce il rappresentante come colui che decide ed impone una linea, generalmente soltanto riguardo ad astensioni di massa e a varie oc- casioni di elusione dell’impegno scolastico, piuttosto che come colui che coordina un dibattito dal quale democraticamente possa scaturire una linea comportamentale, una decisione condivisa. Un’educazione al valore evangelico della fratellanza universale dovrebbe essere il sostrato e l’ali- mento di questa educazione alla democrazia, a partire dalla rappresentanza scolastica.

Preliminarmente va detto che “Scuola/Educazione” e “potere” sono termini che mal si conciliano, nel senso che la scuola ha come peculiare destinazione di scopo il successo formativo che si identi- fica nello sviluppo del massimo potenziale di ciascuno. In questo senso la scuola è in radice “servi- zio” alla persona, per fornirle, a livello individuale, opportunità di realizzazione umana, economica e sociale (empowerment) e, a livello collettivo, progresso civile ed economico. Il lavoro, spesso so- cialmente misconosciuto, di tanti operatori della scuola che agiscono con professionalità e dedizione è proprio servizio alla realizzazione del bene comune, attraverso “la rimozione degli ostacoli” che im- pediscono il pieno sviluppo della persona e l’uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.). Occorre, tutta- via, garantire, in una costante tensione al miglioramento, un servizio scolastico di qualità, che risponda alle istanze dei cittadini, anche in termini di trasparenza (si pensi ai momenti valutativi) e di soddisfa- zione del bisogno sociale di formazione. In questo senso l’impegno del sistema scuola dev’essere ancora più forte ed incisivo, atteso che nel passaggio, ormai consolidato, da una scuola elitaria (riforma Gentile) ad una scuola di massa (scuola media unica), di tutti e di ciascuno, non sempre si sono raggiunti soddi- sfacenti livelli di qualità, pertanto occorre un ripensamento delle pratiche didattiche ed anche, even- tualmente, dei curricoli e degli ordinamenti, affinché si persegua l’obiettivo di una “qualità di massa”.

Attraverso la scuola i giovani possono e devono conseguire conoscenze, ma soprattutto competenze che consentiranno loro di aspirare ai livelli economici e sociali più soddisfacenti in rapporto al loro potenziale umano. Inoltre la scuola deve dare risposta alla domanda di senso e di valori dei giovani, ponendo al centro un vero e autentico umanesimo. La scuola deve educare più con le pratiche che con le prediche al riconoscimento del valore prezioso ed insostituibile di ogni persona e della sua vita. Il contributo che la scuola può dare in tal senso deve partire da un’etica della professione docente che si nutra il più possibile “ai valori cristiani della morale pubblica” (Sturzo), in uno sforzo di coerenza che porti ogni insegnante a riconoscere in ciascun alunno il proprio prossimo e lo stesso volto santo di Dio (a Sua immagine lo creò). Il richiamo sturziano ai liberi e forti, trasportato in ambito scolastico, può tradursi nell’appello a quella percentuale di docenti, forse minoritaria, ma resa forte dall’essersi nu- trita alla mensa della Parola e della Grazia, che si ispira ai valori cristiani a farsene coraggiosi testimoni, pur in uno Stato laico, pur in una scuola laica, mediante l’impegno a “vivere l’Eucaristia” nella quoti- dianità dell’aula, nell’accoglienza degli alunni più fragili, nella serietà dell’approccio al lavoro, nella cura educativa per essere fonte di insegnamento con la propria professione e con la propria vita.

È necessario, dinanzi a tanti fenomeni di disadattamento giovanile, di bullismo, di disagio psichico e sociale e, nei casi estremi, di suicidi curare il benessere a scuola e l’autostima dello studente. Ciò con- sentirà anche di ridurre gli abbandoni e la dispersione scolastica, nonché l’insuccesso formativo. Già da alcuni anni la scuola italiana ha posto in essere, attraverso l’inclusione dei diversamente abili e la personalizzazione dei percorsi come risposta ai vari bisogni educativi speciali, metodiche capaci di elevare la dignità della persona in quanto tale, a prescindere dalle eventuali situazioni patologiche o di disagio, nelle varie sfaccettature semantiche che questo termine può assumere. Le pratiche inclu- sive contribuiscono a sviluppare il senso dell’accettazione della diversità e della tolleranza, contro ogni deriva razzista e persecutoria, per un’autentica educazione alla pace ed al buon volere. La scuola, non essendo centro di potere, non può direttamente incidere sulle riforme pubbliche o private, ma può formare cittadini maggiormente sensibili e solidali, capaci di uscire dalla brutale logica hobbesiana del- l’homo homini lupus per sposare l’idea di una politica al servizio dell’uomo e delle sue difficoltà. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, nella sua opera di indirizzo alle istituzioni scola- stiche ha diramato le “Linee guida per l’educazione alla pace e alla cittadinanza glocale” che mira ad orientare il lavoro dei docenti nel senso di valorizzare il rapporto con il territorio, con la comunità lo- cale, le istituzioni, le famiglie e le tradizioni, ma che, nel contempo, valorizzi l’educazione al rispetto delle differenze, al dialogo tra le culture, alla pace intesa non solo come auspicabile assenza di guerra, ma come positivo complesso di beni materiali e immateriali, o, in una dimensione cristologica, come complesso di beni messianici. Il mondo è sempre più interconnesso e interdipendente, ciò genera complessità, ma anche ricchezza! Occorre insegnare ad attuare pratiche di benvolere e di pace (“ar- tigiani della pace”, come afferma papa Francesco) e a declinare la cittadinanza al plurale: locale, re- gionale, nazionale, europea, globale. La scuola può essere, altresì, il luogo in cui si costruisce la cittadinanza, considerato che essa non coincide più con un’identità etnica, come educazione a quello “zoccolo comune” di valori che può costituire la base per una cittadinanza intesa come “idem sen- tire de re publica”, come comunanza di valori, tra i quali fondanti sono quelli cristiani, largamente assunti in sede costituente al rango di principi giuridici del nostro Stato.

PUNTO 2 - SCUOLA ED EDUCAZIONE

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