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GIUSEPPE DE LUCIA LUMENO

Segretario Generale dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari,

Consigliere e membro del Comitato Esecutivo dell’Associazione Europea Banche Cooperative (EACB) e della Confederazione Internazionale Banche Popolari (CIBP)

“Riforma tributaria generale e locale, sulla base dell’imposta progressiva globale con l’esenzione delle quote minime”

1_Questo punto in tutta la sua complessità e articolazione viene a declinarsi in un ambito completa- mente diverso, in particolare, un punto di vista demografico. Papa Francesco parlando a Firenze al Convegno ecclesiale nazionale, ha detto che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca». Questo è uno snodo decisivo: il punto di partenza per la riflessione e l’im- pegno. Il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei, nella sua prima prolusione del settembre 2017 così descrive lo scenario attuale: “Questa umanità ferita, inoltre, abita un mondo dove è ormai emersa una nuova questione sociale che investe la sfera economica e quella antropologica, la di- mensione culturale e quella politica, i cui riflessi si fanno sentire profondamente anche in ambito re- ligioso. Basti pensare all’introduzione della robotica nell’industria, alle applicazioni biomediche sul corpo umano, all’impatto ambientale delle grandi città, alle nuove forme di comunicazione e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale. Questa nuova questione sociale è caratterizzata da almeno tre fat- tori: lo sviluppo pervasivo di un nuovo potere tecnico, come aveva intuito profeticamente Romano Guardini; la crisi dell’umano e dell’umanesimo che è il fondamento della nostra civiltà; una mani- polazione sempre più profonda dell’oikos, della nostra casa comune, della Terra”.

Il punto principale di similitudine tra l’attuale cambiamento d’epoca e il momento storico in cui fu elaborato il punto tematico è rappresentato dall’incertezza sul futuro. In questo scenario, il Card. Bassetti sollecita l’urgenza, non più rinviabile: “di elaborare politiche innovative e concrete, che ri- conoscano, soprattutto, il «fattore famiglia» nel sistema fiscale italiano. Una misura giusta e urgente, non più rinviabile, per tutte le famiglie, in particolare quelle numerose. Una misura di cui avver- tiamo l’assoluta importanza non solo perché avrebbe dei benefici sui redditi familiari ma perché po- trebbe avere degli effetti positivi su un tema cruciale per il futuro della nazione: quello della natalità”. Un sistema fiscale a misura di famiglia è dunque oggi il punto ineludibile da cui partire. È l’urgenza che accompagna, da almeno trent’anni, l’associazionismo familiare. Un impegno lungo e complesso che finora ha avuto risultati trascurabili in termini di efficacia e incidenza sulle questioni fondanti. Diverse analisi specialistiche provenienti da diverse aree culturali internazionali dimostrano che un mix equilibrato di misure per un fisco family friendly è configurabile e applicabile ovunque e che, dopo un iniziale calo delle entrate per lo Stato, il gettito riprende a salire con effetti che si ripercuo- tono positivamente su consumi, lavoro e crescita economica. Per questo sono necessarie due condi- zioni essenziali che finora hanno fatto fatica ad affermarsi nel nostro Paese: la stabilità e la volontà politica. Due premesse indispensabili e strettamente connesse fra loro.

E’ necessaria, tuttavia, una più profonda e chiara consapevolezza in chi si occupa di fisco dal punto di vista delle regole di diritto che disciplinano la tassazione nel senso che la valutazione delle scelte del legislatore deve avvenire non sul piano della loro opportunità ed efficienza economica, ma su quello della liceità: ossia sul piano del rispetto effettivo dei limiti che la Costituzione pone al legisla- tore. Naturale è, quindi, il riferimento, all’articolo 29 che consacra la famiglia, quale forma di unione, su tutte le altre forme di unione. La Costituzione ‘riconosce’ la famiglia fondata sul matrimonio come società naturale portatrice di diritti, il che significa che la famiglia é valore in sé, nel tessuto storico e sociale che costituisce carne ed ossa di un popolo eretto a nazione.

La famiglia, prima ancora che giustificare sostegno e agevolazioni fiscali, impone che la tassazione non ne pregiudichi la formazione e l’esistenza, attraverso forme di prelievo incapaci di proiettare la valutazione della capacità contributiva dei suoi membri sulla struttura della famiglia stessa. Si pensi al tema delle famiglie monoreddito per comprendere che non si tratta di agevolare, ma piuttosto di non creare ostacoli alla famiglia con configurazioni della fiscalità non compatibili con la sua presenza e funzione sociale. La stabilità di unione e la massima condivisione di intenti che il matrimonio tende a consolidare sono alla base delle scelte dei coniugi sul lavoro e sulla produzione del reddito che una progressività dell’imposta non sufficientemente calibrata, nel caso di famiglia monoreddito, frustra, violando il principio costituzionale.

Uno Stato che non prevede un sistema fiscale giusto contraddice, quindi, se stesso minando alla base la stabilità familiare. La previsione di una duratura convivenza legata al matrimonio incoraggia scelte di investimento per lo sviluppo della famiglia, dalla casa alla istruzione dei figli, che il regime di tas- sazione penalizza non apprestando proporzionate misure di valutazione del loro impatto economico sulla residua forza finanziaria disponibile per la contribuzione. Dunque, il legislatore odierno non è solo censurabile politicamente per la mancanza di adeguate misure di sostegno alla famiglia. È cen- surabile per la violazione di un principio costituzionale.

In passato, infatti, la Corte costituzionale spesso si è limitata a “disfarsi” del cumulo dei redditi fa- miliari, retaggio di concezioni arcaiche di famiglie sottomesse al potere di un solo coniuge, ferman- dosi a generici auspici di riforma che in ragione delle esigenze di gettito, ancora oggi, lasciano la cellula fondamentale della nostra società soggetta a un prelievo indiscriminato e non proporzionato. 2_L’altro aspetto non trascurabile di tutta la problematica della fiscalità è contenuto nel tema del rap- porto fra spesa pubblica e sussidiarietà.

Oggi, nel nostro Paese, la spesa pubblica appare per composizione, livello ed efficienza un problema irrisolvibile, con un vincolo in più rispetto al passato: quello sul pareggio di bilancio incorporato nella nostra Costituzione e nelle regole europee che impongono livelli di tassazione che sono ritenuti, nell’opinione comune, incompatibili con quei livelli di attività economica che consentirebbero al no- stro Paese di tornare a tassi di disoccupazione meno drammatici per la collettività rispetto a quelli che stiamo sperimentando in questi ultimi anni. Premesso che il principio di sussidiarietà esprime il va- lore della libera iniziativa delle persone nelle attività dirette al soddisfacimento dei bisogni relativi ai beni collettivi, configurando un assetto sociale in cui lo Stato e i cittadini, insieme, concorrono alla produzione di beni e servizi a favore della popolazione, in tempi recenti, l’idea di sussidiarietà è stata ridotta a categoria limitativa del ruolo dello Stato in due aspetti. Il primo riguarda la preminenza dell’individuo e delle forme spontanee di organizzazione sociale rispetto allo Stato. Lo Stato non si occupi di cose che trovano o possono trovare soluzioni fuori della sua struttura, valorizzando il con- tributo dei singoli cittadini, delle associazioni, dei corpi intermedi nella produzione di beni e servizi pubblici. Il secondo, interno questa volta all’organizzazione dello Stato, che suggerisce o richiede il

decentramento dei processi decisionali in materia di spesa e intervento pubblico a strutture periferi- che dell’organizzazione statale e a organismi dotati di potere di rappresentanza politica del cittadino quali Comuni, Province, dipartimenti o Regioni. L’ordine di svolgimento di questo processo non fa differenza in termini valoriali. In uno Stato federale sono i singoli Stati che trasferiscono al governo federale parte dei loro poteri originari; in uno Stato unitario è il governo centrale che decentra poteri, responsabilità e risorse ai governi degli enti territoriali. La storia della spesa pubblica, dei confini tra pubblico e privato, della organizzazione interna del settore pubblico, trasmettono scenari molto ar- ticolati e diversi.

In questa storia, ci sono stati cicli caratterizzati dal presupposto che il settore pubblico avrebbe po- tuto avere successo laddove il settore privato stava fallendo; oppure che lo Stato avrebbe potuto fare meglio ciò che altri, per esempio i Comuni, stavano facendo male. Un presupposto con poco fonda- mento. Oggi prevale il pregiudizio opposto: che la privatizzazione può fare meglio del controllo o del governo pubblico di qualche attività.

Recenti studi hanno dimostrato che il nostro Paese, pur presentando uno dei maggiori livelli di spesa pubblica tra i partner europei, ha un grado di sussidiarietà verticale inferiore a quello di molti dei par- tner europei. L’indice di sussidiarietà verticale (definito come spesa pubblica operata dalle Regioni e dagli enti locali sul totale della spesa pubblica) è, infatti, il più basso tra i principali Paesi europei (a eccezione della Francia, che utilizza un modello fortemente centralizzato, e del Regno Unito). Tale indice in Italia è pari, nel 2013, al 30%, mentre in Germania è del 46%, in Spagna è del 48%, la media dei 28 paesi dell’Unione è 33% (la Svizzera presenta un indice di sussidiarietà verticale pari al 74%). Questo ha anche un impatto sulla crescita dell’economia reale: il nesso quantitativo stimato tra il tasso di crescita del PIL reale pro-capite di una nazione europea e il grado di sussidiarietà verticale è, infatti, pari allo 0,064%. Questo implica, secondo gli studiosi, che un aumento del 10% nel grado di sussidiarietà verticale porterebbe a un aumento nel tasso annuale di crescita del PIL pro-capite reale pari a +0,64%.

Un altro aspetto rilevante di queste analisi è quello relativo a una prima quantificazione della spesa pubblica per sussidiarietà orizzontale, suddivisa in due categorie: (1) a sostegno della domanda di beni collettivi (ossia gli strumenti di politica fiscale quali, ad esempio, il tax-credit, che liberano risorse altrimenti soggette a tassazione per finanziare le decisioni individuali) e (2) a sostegno dell’offerta (ini- ziative a diretto sostegno della produzione di beni collettivi, come ad esempio il 5 per mille). La spesa pubblica sussidiaria orizzontale in Italia a sostegno della domanda risulta essere pari, nel 2012, a circa 69 miliardi di euro, quindi una spesa pro-capite di circa 1.155 euro. La spesa sussidiaria oriz- zontale a sostegno dell’offerta è pari a circa 1,5 miliardi di euro (di cui 1,1 miliardi di 8 per mille e circa 386 milioni di 5 per mille). La spesa a sostegno dell’offerta pro-capite è, quindi, a circa 25 euro. In to- tale la spesa pubblica sussidiaria orizzontale pro-capite, nel 2012, è, quindi, pari a 1.180 euro, a con- fronto di una spesa pubblica per sussidiarietà verticale di circa 3.900 euro pro-capite. Queste analisi dimostrano, quindi, come la sussidiarietà orizzontale abbia, in Italia, un peso minore rispetto a quella verticale.

È quanto mai utile sottolineare che la sussidiarietà cosiddetta orizzontale costituisce il tema chiave del rapporto pubblico-privato. Essa ha a che fare: con la dimensione del settore pubblico in relazione all’importo e all’origine del reddito nel settore privato, così come questa è misurata nell’allocazione dei beni prodotti e da produrre; con il peso dell’attivitàredistributiva operata dal settore pubblico a favore dei soggetti più deboli della collettività; con le modalità con cui i beni alimentati dalla do- manda pubblica sono trasferiti ai cittadini.

Resta comunque tutt’ora irrisolto il problema della sussidiarietà cosiddetta verticale. Un settore pub- blico fortemente decentrato può attenuare o rendere meno complessi i processi di allocazione dei beni prodotti tra i cittadini e anche i processi di redistribuzione del potere d’acquisto tra chi ha e chi non ha? Una questione intrattabile. Nella teoria economica si suggerisce che il decentramento avvi- cina il processo decisionale al contribuente e beneficiario ultimo dell’attività pubblica; maggiore ca- pacità di valutazione di costi e benefici e, di conseguenza, una probabile minore espansione dell’intervento pubblico. Un teorema che si applica, però, a ordinamenti costituzionali che preve- dono il formarsi di differenze anche rilevanti nei modelli di spesa delle diverse comunità locali. Non è questo il caso dell’Italia, la cui costituzione richiede uniformità delle prestazioni nei diversi punti del territorio e, di conseguenza, ingenti trasferimenti a carico del bilancio statale per rimediare alle differenze nelle basi imponibili dei tributi locali nei diversi punti del territorio nazionale. Èquesto, nei nostri giorni, l’altro nodo da affrontare contenuto nel punto nove dell’Appello sturziano. Infatti, il problema se un sistema decentrato sia in grado di produrre i risultati positivi che gli sono propri quando l’attività degli enti che lo compongono è condizionata da vincoli formali di uniformità delle prestazioni, è questione cruciale per il nostro Paese che non ha ancora, però, nel nostro ordinamento, una risposta adeguata.

In conclusione possiamo dunque affermare che l’obiettivo non è semplice specie in un sistema aperto e globale come quello attuale. Diventa essenziale, pertanto, partire dal recupero di spazi vitali di sus- sidiarietà per permettere di riprogettare una “riforma tributaria generale e locale” più equa, aderente ai tempi e più a misura delle famiglie.

PUNTO 9 - ECONOMIA E FISCALITÀ

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