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GIAN CANDIDO DE MARTIN

Docente Emerito di Diritto pubblico della Luiss

e Presidente del Centro di Ricerca sulle AA.PP. “Vittorio Bacehelet”

1_ Una qualche somiglianza – anche se non un parallelismo – si può certo delineare tra il contesto del- l’appello del 1919 e quello attuale, ambedue caratterizzati da processi di transizione politico-cultu- rale, sia sul piano nazionale che internazionale: allora confusioni e contrapposizioni di visioni nell’organizzazione del potere dopo gli sconvolgimenti del primo conflitto mondiale, oggi disorien- tamenti crescenti delle democrazie di fronte agli effetti in chiaroscuro della globalizzazione e delle nuove tecnologie. In particolare, dal punto di vista delle autonomie locali: allora - pur a fronte di esperienze positive e innovative di autonomia di molti comuni, in una prospettiva in sintonia anche col municipalismo e il popolarismo sturziano (già a Caltanissetta 1902 e poi nella nascente ANCI) - una forte tendenza statocentrica e gerarchica nell’assetto del potere e nell’organizzare i nuovi com- piti pubblici connessi ad istruzione, lavoro e welfare (tendenza che sarebbe sfociata ben presto nello Stato-regime fascista onnipotente); oggi – specie dopo la crisi economica dell’ultimo decennio e ta- luni effetti fuorvianti della globalizzazione - una analoga propensione al ruolo assorbente e comun- que preminente del potere centrale facente capo all’esecutivo, con un sostanziale abbandono della prospettiva di valorizzazione delle autonomie che era stata aperta dalla riforma del titolo V della Co- stituzione nel 2001, restata purtroppo sulla carta, anzi in vario modo contraddetta e svuotata da vari interventi legislativi (e da tentativi di riforma costituzionale, come quello bocciato dal referendum del dicembre 2016), che hanno fortemente ridimensionato l’autonomia dei comuni e mirato a soppri- mere le province, riducendo le regioni a enti burocratico-amministrativi (non di legislazione e pro- grammazione e supporto del sistema locale). D’altra parte, il neocentralismo si accoppia ad una evidente trasformazione (o involuzione) populistica – non popolaristica - della democrazia, con cre- scente verticalizzazione del potere e ruolo dei leader, favorita dai media e dai social, con emargina- zione dei corpi intermedi, in una prospettiva che diventa sempre più sovranista nei rapporti europei e internazionali. In ogni caso non si sta ponendo mano agli interventi indispensabili per dare una cornice unitaria al sistema, aprendo nel contempo il più possibile ad autonomie responsabili, come previsto in Costituzione: in primo luogo, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni con- cernenti diritti civile e sociali e dei costi e fabbisogni standard ai fini di un riparto oggettivo delle ri- sorse pubbliche, a parte le misure di solidarietà nazionale, in modo da fronteggiare il nodo delle diseguaglianze tra cittadini o parti del Paese.

2_ La prospettiva basata su autonomie locali responsabili dovrebbe essere il perno istituzionale es- senziale del sistema istituzionale, in virtù del principio autonomistico (art. 5 Cost.) che mira a po- tenziare il più possibile il vario ruolo delle istituzioni comunitarie territoriali più vicine ai cittadini (comuni, province o città metropolitane e regioni), tutte costitutive della Repubblica insieme allo Stato (art. 114), senza gerarchie, applicando dunque concretamente il principio di sussidiarietà ver-

ticale (integrato con quello orizzontale), peraltro coniugato con il riequilibrio della solidarietà na- zionale. Questa prospettiva, se realizzata organicamente, si tradurrebbe, in altre parole, in un percorso di riforma complessiva dell’assetto dei poteri statuali e della amministrazione pubblica, partendo an- zitutto dal riconoscimento e dalla riallocazione ad autonomie locali responsabili delle funzioni e dei servizi di base e di area vasta. E non occorre aggiungere altro per sottolineare come questa visione costituzionale abbia in certo modo fatto proprio l’orizzonte del popolarismo sturziano, riconoscendo – e non creando – le autonomie locali, in quanto esponenziali di comunità naturali, con compiti pro- pri, peraltro da integrare e coordinare nell’ambito di un sistema unitario, così rafforzando la coesione nazionale e lo stesso possibile ruolo sovranazionale dei soggetti autonomi infrastatuali. Si può piut- tosto osservare come che questa prospettiva policentrica della Repubblica, volta al riconoscimento e alla valorizzazione delle autonomie comunitarie territoriali di vario livello, appaia in piena sintonia anche col magistero sociale cristiano, in cui i principi di sussidiarietà e solidarietà vengono declinati e coniugati in una visione analoga, partendo dalla centralità della persona umana e delle sue relazioni sociali. La questione di fondo resta quella della effettività di questo assetto istituzionale, certamente avanzato negli enunciati costituzionali, ma in larga misura inattuato sia sul piano della legislazione che nell’assetto dell’amministrazione pubblica, per lo più ancorati ad una visione statalistica, frutto di una evidente carenza di cultura autonomistica sia dei partiti politici che di molti degli “addetti ai lavori”.

3_ Le autonomie locali dovrebbero (poter) realizzare e garantire – come emerge chiaramente anche dagli enunciati della Carta europea dell’autonomia locale (approvata dal Consiglio d’Europa nel 1985 e poi recepita nell’ordinamento italiano) – un effettivo autogoverno democratico delle comunità ter- ritoriali, che non sono mere periferie, ma elementi costitutivi e vitali del sistema, che debbono poter gestire le funzioni proprie senza dipendenze dal centro, con possibilità di scelte sia organizzative che operative fondate sui bisogni specifici e la fisionomia di una data comunità territoriale, distin- guendo ovviamente il ruolo dei comuni per i servizi di base e delle province per quelli di area vasta (sovraccomunali). Scelte e variabili quindi non meramente esecutive di volontà del centro o di para- metri astratti e vincolanti, ma di valutazioni il più possibile commisurate alla realtà concreta di una data comunità e alle risorse tecniche e finanziarie disponibili, interagendo con le componenti attive della collettività interessata, magari in prospettive innovative (come d’altronde già è avvenuto in ta- luni comuni fin dai primi anni del Novecento, quando nacquero ad esempio in realtà di avanguar- dia servizi locali di illuminazione e trasporto, in seguito generalizzati) . In tal senso dovrebbe essere determinante anche l’autonomia statutaria e regolamentare da riconoscere a comuni, province e città metropolitane per definire interventi, procedimenti e rapporti, con garanzie di trasparenza e obiet- tivi di semplificazione. Il legislatore dovrebbe quindi limitarsi a stabilire il quadro generale degli obiettivi e delle garanzie per i cittadini, dando spazio reale a questa dimensione fondativa dell’auto- nomia, che deve mirare a rendere responsabili anzitutto i rappresentanti della comunità locale, assi- curando voce anche a realtà sociali presenti nel territorio. Di qui il valore persistente dell’istanza sturziana per sistemi di rappresentanza proporzionale nella democrazia locale, per dar spazio ad un confronto dei vari punti di vista nel perseguimento del bene comune, a fronte di un trend attuale che, a partire dalla scelta dell’elezione diretta di sindaci e presidenti di province (nel 1993, per pur comprensibili ragioni di governabilità e efficienza gestionale), ha finito invece per sacrificare molto sul piano del ruolo e delle modalità di elezione degli organi collegiali degli enti locali: un riequilibrio che valorizzi i consigli ed eviti derive meramente decisioniste appare sempre più necessario. 4_ Quanto appena rilevato sull’esigenza di autonomia organizzativa di ciascun ente territoriale si

collega strettamente anche alla possibilità di dar vita a buone prassi nella sperimentazione e valo- rizzazione di soluzioni che stimolino la cittadinanza attiva e un rapporto collaborativo con il volon- tariato e le forme associative privato-sociali del III settore presenti nel territorio. In effetti, nonostante l’invadenza della normazione spesso minuta, uniformizzante e burocratica del TUEL (il testo unico tuttora vigente sull’ordinamento degli enti locali), si sono sperimentate e spesso stabilizzate, anche per autoiniziativa di gruppi e movimenti civici, forme significative di partecipazione e di corre- sponsabilità, specie in realtà comunali di piccola o media dimensione (ma anche di recente in varie città metropolitane), sia nel campo dei servizi sociali che nella gestione dei beni comuni. In questa di- rezione si possono immaginare ulteriori forme di sostegno e di incentivo (materiale o morale) in grado di stimolare iniziative utili per il miglioramento dei servizi sul territorio da parte di gruppi, as- sociazioni e privati, sviluppando percorsi di partecipazione e di verifica democratica, incrociando quindi in modo virtuoso sussidiarietà verticale e orizzontale.

5_ Le autonomie territoriali – se benintese, ossia matrici di autogoverno responsabile e partecipato delle esigenze proprie delle rispettive comunità – vanno configurate sostanzialmente come partner di un sistema istituzionale policentrico (la Repubblica), che dovrebbe garantirle e promuoverle, con- formando di conseguenza il ruolo dello Stato nel rispetto del volto autonomistico della Repubblica, quindi con funzioni unitarie e integrative, non suscettibili di gestione decentrata, nonché con essen- ziali funzioni di coordinamento e di supporto, ivi comprese quelle concernenti il riequilibrio soli- dale. In tal senso vi è una forte consonanza anche col popolarismo sturziano, volto a configurare il potere statuale non come fonte delle autonomie, ma come sintesi di un complesso di mondi/comu- nità intermedie e istituzioni territoriali dotate di vitalità intrinseca e di ruoli naturaliter propri, da ri- comprendere e valorizzare ad opera degli organi nazionali. Di qui i necessari limiti del potere statuale, che non dovrebbe standardizzare e burocratizzare le autonomie, ma dedicarsi soltanto a disciplinare alcuni indispensabili tratti unitari di ciascuna categoria di istituzioni territoriali locali. Si è a tal fine ipotizzato di sostituite il TUEL con la “Carta delle autonomie” , finalizzata essenzialmente a regolare gli organi di governo democratico e a chiarificare le attribuzioni fondamentali proprie di comuni e province: chi fa ordinariamente che cosa e con quali risorse, assicurando un regime pariordinato e og- gettivo di accesso alle fonti finanziarie, evitando privilegi che alterino la ratio dell’eguaglianza nel go- dimento dei diritti civili e sociali (come purtroppo oggi avviene in vario modo nelle regioni speciali, i cui cittadini possono talora beneficiare di un welfare e di sostegni alle imprese altrove impensabili, e come potrebbe avvenire a breve con un’attuazione fuorviante del regionalismo differenziato per al- cune regioni ordinarie).Si deve, inoltre, aggiungere che deve di massima essere compito della legi- slazione nazionale assicurare a tutte le autonomie di pari livello un ruolo di partecipazione attiva a dinamiche internazionali di interesse (anche) locale: così, ad esempio, per la fase ascendente e quella discendente dei progetti europei di sviluppo di rilievo per un dato territorio, così per le iniziative di cooperazione transnazionale che possono riguardare specialmente regioni ed enti locali confinanti con Paesi esteri. Per il resto le autonomie dovrebbero essere libere di dar vita anche ad assetti ge- stionali ritenuti più appropriati alla rispettiva realtà, dando vita – ad esempio - in situazioni deter- minate a forme di stabile collaborazione intercomunale (v. unioni dei piccoli comuni e varie altre forme associative gestionali) o dando spazio alla provincia come sede di possibile supporto e assi- stenza tecnica dei comuni (per contratti, appalti ecc.), oltre che come gestore di funzioni proprie di area vasta: problemi e prospettive significativamente presenti già nei discorsi sturziani sulle auto- nomie locali di inizio Novecento.

PUNTO 6 - STATO ED AUTONOMIE LOCALI

(SUSSIDIARIETA’ VERTICALE)

Contributo di