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Presidente nazionale del Congresso Nazionale delle Acli

La cornice di riferimento dell’azione civile e politica di don Sturzo è il nuovo orizzonte del pensiero sociale della Chiesa inaugurato dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, pubblicata 28 anni prima dell’Appello ai liberi e forti (il 15 maggio del 1891). Con questa enciclica la Chiesa cerca di dare una risposta alla condizione di crisi e di disagio morale dell’uomo contemporaneo, travolto dal repentino sviluppo industriale, indicando due principi guida per un percorso di cambiamento: la so- lidarietà e la giustizia sociale. Proprio il lavoro, sulle spinte della questione operaia, rappresenta uno dei fenomeni complessi dei nuovi tempi, una “questione difficile e pericolosa. Difficile perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Perico- losa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli” (Rerum Novarum, 1). Nelle parole del Papa traspare la preoccu- pazione che le dinamiche conflittuali ed ideologiche possano intrappolare la storia in una sorta di de- terminismo economicistico di stampo liberale o marxista.

Sturzo coglie la novità del messaggio leoniano, la forza e lungimiranza. Intuisce la complessità dei fatti e i rischi connessi ai cambiamenti in atto, guardando però alla condizione sociale dei lavoratori non solo con gli occhi di chi comprende, ma anche con l’intelligenza e il cuore di chi vuole mettersi alla testa del cambiamento; è la prospettiva del leader che vuole educare il popolo, i lavoratori, i gio- vani; di chi vuole proporre parole e idee nuove.

Suggestionato dai contenuti sociali della Rerum Novarum, Sturzo ha una visione critica dello Stato liberale: le questioni che più lo preoccupano sono il centralismo, il trasformismo elettorale e l’assenza di una politica per il Mezzogiorno. Proprio un’attenta riflessione sulla questione meridionale, in par- ticolare sulla condizione contadina negli anni della crisi agraria, gli suggerisce la necessità di pro- muovere tra il 1895 e il 1900 le prime forme di resistenza e di sostegno economico, ovvero casse rurali e cooperative, che consentissero ai ceti più deboli di auto-organizzarsi e di sollevarsi dalla povertà. L’associazionismo contadino e la cooperazione di credito, rappresentano, una forza riformatrice, una delle maniere per sopperire ai limiti dei vari tipi di contratto agrario e per giungere ad una riforma dei patti colonici. Nella visione sturziana del lavoro la cooperazione è, dunque, una dimensione e un’esperienza qualificante del lavoro umano: il lavoro è l’esperienza più sociale dell’uomo e l’og- getto dell’economia non è mai individuale ma sociale, poiché è una grande rete di rapporti di coo- perazione prima che di competizione.

Gli ideali di giustizia e di libertà e il miglioramento delle condizioni generali del lavoro che animano l’impegno politico di Sturzo sin dalle origini, rimangono gli obbiettivi dichiarati dell’Appello ai liberi e forti, con cui chiama a raccolta chi sente “il dovere di cooperare” per il raggiungimento di questi valori di riferimento per l’azione politica.

La difesa e la promozione dei diritti del lavoro e dei lavoratori sono temi centrali anche nel confronto di lunga durata tra Sturzo e Achille Grandi, colui che nel 1944 fondò le Acli. Sturzo coinvolge Grandi

nel progetto del Partito Popolare fin dall’inizio, a cominciare dalla stesura dei dodici punti dell’Ap- pello. Proprio a Grandi, profondo conoscitore del mondo industriale e agricolo lombardo, sono ri- conducibili alcuni dei riferimenti al tema del lavoro presenti nell’Appello come la questione della “colonizzazione del latifondo” e della “libertà delle organizzazioni di classe”, senza tralasciare quella della riforma della previdenziale, della legislazione del lavoro e l’attenzione alla tutela della piccola proprietà.

Gli stessi concetti, sono affrontati da Grandi in occasione del primo congresso del Partito Popolare (Bologna, 1919): Sturzo gli affida, infatti, la relazione introduttiva sui temi economico-sociali, che ca- talizza la seconda e la terza giornata di discussione. Nel testo finale licenziato dal Congresso, si pro- pone “il graduale trapasso dall’odierna economia liberale capitalista a salariato, ad una economia più umana e cristiana, in cui il capitale, subordinato al lavoro, sia ricondotto alla sua naturale fun- zione di mero agente materiale della produzione compensato in limiti ben definiti, e al lavoro, invece, sia intellettuale che materiale, venga assicurato il massimo frutto dello sforzo produttivo”. Non man- cano riferimenti al diritto per i lavoratori di partecipare agli utili aziendali, all’esproprio e alla ripar- tizione tra le famiglie dei contadini delle terre prive di razionale coltivazione. Anche in questa occasione Grandi ha un ruolo di rilievo e si deve a lui il riferimento al tema del probivirato, dell’ar- bitrato, delle assicurazioni per malattia, vecchiaia, invalidità e disoccupazione.

L’analisi del rapporto tra lavoro e capitale rimane una costante nel pensiero politico di Sturzo, anche se in alternativa alla lotta di classe sollecita una collaborazione tra capitale e lavoro. Nell’articolo “Ca- pitalismo e corporativismo” del 1938 parla di “unità morale dell’impresa” fra padroni e operai, po- nendo, però, una chiara distinzione tra capitalismo e capitale: “Ci sono persone che uniscono nella stessa condanna il capitalismo e il capitale e ciò è un errore”. La critica al capitalismo non significa quindi condanna del capitale, poiché il capitale per Sturzo è necessario per ogni impresa economica dei singoli, dei gruppi e dello Stato. Anche in questo caso, è chiara la sua adesione alla prospettiva indicata dalla Rerum Novarum, che sostiene proprio la necessità di una collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro in opposizione al paradigma marxista.

La cooperazione è il modello che consente di superare gli egoismi del capitalismo.

È significativo quanto Luigi Sturzo, di ritorno dall’esilio americano (1947), scrive in una lettera Agli amici Siciliani, impegnati a riorganizzare il movimento cooperativo cattolico nell’isola. L’esortazione è fare della cooperazione la struttura basilare di ogni attività e di ogni organizzazione sociale inte- gra, superando gli egoismi e le detestabili forme di appropriazione che finirebbero solo nel dividere ulteriormente i poveri: “La cooperazione, in tutte le sue forme, deve essere alla base di ogni riforma sociale; e noi dobbiamo preferirla perché tende, per il suo carattere specifico a superare gli egoismi tanto del capitalismo reazionario e sfruttatore che del sindacalismo politicante e a base di lotta di classe […]”.

Vorrei ricordare anche un altro scritto che mostra come per don Luigi la cooperazione fosse una scelta cruciale, sul piano economico, capace di orientare il Paese. Il 27 marzo 1946 Sturzo firma l’editoriale del primo numero de “l’Italia cooperativa”, l’organo di Confcooperative che sarebbe uscito quasi un mese dopo. Si tratta di un testo che segna un cambio di paradigma in un momento storico unico: “Il mio augurio - questo l’incipit dell’editoriale – è che l’Italia cooperativa sia non solo il titolo del setti- manale che riafferma l’idea e la pratica della cooperazione fra gli italiani, ma l’insegna per il futuro del nostro paese”. Una prospettiva riformistica ancora oggi estremamente attuale e che richiama le istanze che hanno portato il Parlamento a formulare una nuova veste per l’impresa sociale. Per Sturzo “lo spirito della cooperazione abbraccia ogni ramo di attività perché fa appello alla fratellanza umana

e alla collaborazione reciproca…Ormai i fatti ci provano che si può trasformare intere regioni in una rete di cooperative così fitta da non esserci più luogo per le imprese a scopo di lucri capitalistico; e che anche si possono avere, in forma cooperativa, grandi imprese industriali, dove il profitto va a vantaggio dei produttori e consumatori insieme uniti. Queste larghe e promettenti esperienze si sono ormai inserite con la economia capitalistica al punto di formarvi delle zone veramente libere e fran- che”.

Questo nuovo modello ha il compito di “rifare il nostro Paese sano e prospero sulla base della sua in- tima potenzialità che è principalmente la potenzialità del lavoro in cooperazione e in convergenza di interessi”, quindi “riprendere l’attività cooperativa, con adeguata preparazione tecnica, con larghe ve- dute economiche e appoggi politici è il dovere dell’oggi per il domani. Il domani sarà nostro quando l’Italia, risanata e rifatta, potrà riprendere le tradizioni gloriose delle sue maestranze, dei suoi artigiani e dei suoi primi cooperatori e dare al lavoro d’insieme, un impulso così largo da potere veramente realizzare il sogno di un ‘Italia cooperativa’ ”.

Nella visione di Sturzo la cooperazione è, dunque, il cuore di una concezione dell’economia e dei rapporti di lavoro che punta sulla collaborazione: solidarietà, cooperazione e collaborazione devono essere tenute insieme in un disegno che definisce i rapporti sociali ed economici in modo nuovo. La visione del lavoro e dei rapporti all’interno dell’impresa che emerge dall’Appello ai liberi e forti e dall’elaborazione successiva realizzata anche dal Ppi, che troverà un’importante esplicitazione anche sul piano giuridico, qualche anno dopo, nell’art. 46/Cost., dove si dichiara che “La Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”.

Il programma del Partito Popolare, in antitesi al liberismo laico, al materialismo socialista e al cen- tralismo statalista, è ancora molto attuale: “Il lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, in cui l’uomo esprime e accresce la proprietà della propria vita” dell’Evangelii Gaudium, così come l’at- tenzione al Meridione, sono ancora oggi le vere sfide della politica. Ma la sfida ancora più grande per i cattolici è l’incubazione di una classe dirigente preparata, sensibile, motivata, in grado di rispondere ai mutamenti in atto nella società contemporanea. Non è più il tempo di limitarsi a resistere a certe forme di indebolimento della democrazia. È necessario elaborare un pensiero lungo, una visione so- stenibile di futuro, investendo sui giovani e sulla loro formazione al concetto di bene comune, così centrale nel pensiero politico di Sturzo e così essenziale oggi per ridefinire la missione dei cattolici in ambito politico.

In definitiva, l’eredità di Sturzo sul piano sociale, politico e culturale, la spinta che viene dal suo pen- siero ai cattolici impegnati in politica, ma anche nella società e nell’economia, è quella di non essere portatori di interessi di parte ma di essere soggetti consapevoli della crisi in corso, per essere capaci di lavorare nel tessuto della società orientando le scelte politiche in vista del bene comune.

PUNTO 4 - LAVORO E COOPERAZIONE

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