Presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo
1_L’Appello ai Liberi e Forti rappresenta una riaffermazione ragionevole e vitale della fede e del- l’identità cristiana: proprio l’VIII punto ne è la più compiuta esplicitazione. Non c’è dubbio, lo affer- miamo in premessa, che forse nessun altro punto dell’Appello più di questo risulti ancora oggi non solo “attuale” ma “attuabile”, poiché immutabile rimane il “Magistero spirituale” della Chiesa ispi- rato al Vangelo, nonostante tutte le riduzioni di senso e di testimonianza che in ogni epoca storica (non difetta certo la nostra) si sono registrate. É in atto un “cambiamento d’epoca” (Papa Francesco), ma ri- mane ancora attuale e decisiva la riproposizione del Magistero spirituale dei laici cristiani nell’esplicita- zione dei loro doveri di cittadini, chiamati ad assicurare il progresso della Nazione a partire – non a prescindere – dal contenuto “morale”, dunque spirituale, della fede professata. Un assunto che anche la Costituzione Italiana non esclude quando parla del «dovere di ogni cittadino di svolgere un’attività o fun- zione che concorra al progresso spirituale della società» (Art. 4.2). Per il servo di Dio don Luigi Sturzo ieri, come per Papa Francesco oggi (leggi il suo “Discorso in occasione del V Convegno Ecclesiale Na- zionale di Firenze 2015”), non bisogna cessare di costruire la società civile con fiducia nell’idealismo cri- stiano e, dunque, nel portato grande (buone prassi) della tradizione culturale e religiosa propria dell’umanesimo cristiano. Scriveva don Sturzo, dalla terra di esilio, indicando nella dimensione “spiri- tuale” la madre di tutte le crisi in atto: «L’errore moderno è consistito nel separare e contrapporre Uma- nesimo e Cristianesimo: dell’Umanesimo si è fatto un’entità divina; della religione cristiana un affare privato, un affare di coscienza o anche una setta, una chiesuola di cui si occupano solo i preti e i bigotti. Bisogna ristabilire l’unione e la sintesi dell’umano e del cristiano; il cristiano è nel mondo secondo i va- lori religiosi; l’umano deve essere penetrato di Cristianesimo (in “Miscellanea londinese”, vol. III). E an- cora – giudizio di grande attualità, se si guarda alle agitazioni popolari a noi contemporanee (Sturzo aveva dinanzi a sé le rivoluzioni socialista, nazi-fascista, messicana) – :«Per noi, la prima, vera, unica ri- voluzione fu quella del cristianesimo. Cristo portò in terra un Vangelo che ripudia qualsiasi perverti- mento e oppressione umana, qualsiasi predomino del mondo sullo spirito. La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. In pratica ciò procede len- tamente, ma è una costruzione sicura, un edificio con profonde fondamenta e perciò stabile» (in “The pre- servation of the Faith”). Rifare il tessuto spirituale della società umana rimane ancora oggi la nostra missione, in un momento storico in cui sembra sempre più evidente lo smarrimento o l’adulteramento dell’originalità cristiana, dell’identità cristiana, dell’inculturazione della fede in ordine sociale. Sturzo pone con insistenza la parola libertà al cuore di questo punto dell’Appello: libertà come “santuario” nella formazione di una coscienza popolare cristianamente ispirata. «La libertà dell’uomo è la condi- zione necessaria alla sua perfettibilità. La libertà è facoltà interiore dell’uomo prima che sociale; ma è anche sociale e senza di essa è impossibile qualsiasi sviluppo e progresso. L’educazione e la conquista della libertà si fa con l’uso stesso della libertà. [ ... ]. Nessuno saprà mai nuotare se non scende nell’ac- qua e vi si esercita; così è tutta la vita» (in “Problemi spirituali del nostro tempo”).
2_Nella definizione del rapporto tra “democrazia popolare” e “idealismo cristiano”, Sturzo dichiara l’aconfessionalità del PPI, da non confondersi – come purtroppo teorizzato e praticato – con “l’atei- smo dei laici cristiani” chiamati a responsabilità politiche e sociali. Sturzo è dichiaratamente per l’au- tonomia della cultura, per la valenza pubblica della libertà religiosa, specie nell’educazione cristiana, così come per la laicità della politica e dello Stato. È ben lontano da ogni forma d’integralismo fon- damentalista, anche se pensa che tutto, alla fine, attraverso le misteriose vie della Provvidenza, sia sempre riconducibile a Dio. È tollerante nei riguardi di ogni tipo di cultura, purché questa sia ri- spettosa dei diritti naturali dell’uomo e sia strumento di civiltà, di progresso, di giustizia comunita- ria. In tale direzione chiama proprio la “cultura cristiana”, come esplicita il punto dell’Appello oggetto della nostra riflessione, a farsi «presidio della vita della Nazione», dunque dei principi di so- lidarietà e di sussidiarietà che la devono costantemente animare, perché si realizzi il “bene comune”. Occorre ricordare che don Luigi Sturzo aggettivava “cristiana” la democrazia nel senso che la deli- neava in nome di principi saldi, eticamente validi, per contenere il dilagare dell’immoralità pubblica, dell’individualismo, dell’elitarismo, della dimenticanza dei poveri, in definitiva di tutto ciò che po- teva discendere dall’esercizio del “potere” in luogo del “servizio”. Affermava don Luigi: «L’aggettivo “cristiano” non indica l’idea di uno stato confessionale, né di un regime teocratico. Indica invero un principio di moralità, la morale cristiana applicata alla vita pubblica di un Paese» (“L’Italia”, 3 no- vembre 1951). Senza una morale religiosa, senza un rimando ai valori spirituali, la morale razionale rimarrà solo nell’ordine materiale, umano e presto scadrà nel calcolo, nel vantaggio immediato, nel- l’egoismo, nella sopraffazione. La presenza e l’azione dei cristiani nella società e nella politica erano per Sturzo e per quella prima generazione di laici, figli della prima Enciclica sociale «Rerum Nova- rum», l’esplicitazione “laica” del contenuto morale della fede, dunque dell’amore per il prossimo. La storia non può darsi diversamente: solo “amando Dio e il prossimo come se stesso” il cristiano entra e si muove nella storia; solo così rimane al servizio degli altri, al servizio con gli altri incarnando la “legge dell’amore”; solo così si registra il passaggio dall’amore del potere al potere dell’amore. «Si può essere di diverso partito, di diverso sentire, anche sostenere le proprie tesi sul terreno politico ed economico, e pure amarsi cristianamente. Perché l’amore è anzitutto giustizia ed equità, è anche egua- glianza, è anche libertà, è rispetto degli altrui diritti, è esercizio del proprio dovere, è tolleranza, è sa- crificio. Tutto ciò è la sintesi della vita sociale, è la forza morale della propria abnegazione, è l’affermazione dell’interesse generale sugli interessi particolari» (“Crociata d’amore” in “Il Cittadino di Brescia”, 30 agosto 1925). Come non risentire l’eco consonante del Discorso di Papa Francesco a Fi- renze, sopra richiamato. Rivivono “merito” e “metodo” sturziano: «Non esiste umanesimo auten- tico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile... La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media». 3_Don Luigi Sturzo rivendica per la Chiesa una missione universale, di ordine soprannaturale, che includa anche la missione civile di farsi portatrice di un messaggio di riconciliazione, nella giustizia e nell’amore. L’intento è quello di liberare gli uomini dall’idolo dell’egoismo e dal mito della vio- lenza, siano essi gli oppressi o gli oppressori, così da ristabilire i valori fondamentali della giustizia e dell’amore. La missione dei laici cristiani non è cambiata, suffragata oggi dal bisogno di traspa- renza, di partecipazione, di corresponsabilità, istanze che emergono impetuose dalla gente; voci che invocano aiuto e che anche nella protesta, nell’antipolitica, nella scelta di seguire la logica del “male
minore”, in fondo, ribadiscono l’urgenza di una democrazia che torni ad essere popolare, soprat- tutto nel rapporto tra i “decisori” e i “destinatari” delle decisioni politiche. Scrive Sturzo: «La Chiesa non fa da carabiniere o da custode ai ricchi, perché potenti; né promuove le sommosse delle classi la- voratrici, perché oppresse; essa predica la giustizia e l’amore, perché queste due virtù sono il fonda- mento dell’ordine soprannaturale e naturale» (in “Il Crociato”, Religione e movimento operaio). Spetta ai laici il compito di “informare” e di “formare” cristianamente la vita sociale e politica attra- verso l’impegno ad attuare gli insegnamenti spirituali e sociali della Chiesa, elaborando una sintesi creativa fra fede e storia, tra fede e cultura, tra fede e carità, tra fede e servizio; una sintesi che trovi il suo fulcro nell’amore naturale vivificato dalla grazia divina. In un articolo pubblicato nel 1925 Sturzo, in polemica con coloro che sostenevano un dualismo fra etica e politica, tra Vangelo e società umana, in definitiva tra “fede e vita”, limitando la “legge dell’amore” alla vita privata e così privan- dola del suo contenuto pubblico e di servizio al bene comune, affermava: «La politica è per sé un bene: il far politica è, in genere, un atto di amore per la collettività; tante volte può essere anche un dovere per il cittadino. Il fare una buona o cattiva politica, dal punto di vista soggettivo di colui che la fa, dipende dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere e dai mezzi one- sti che si impiegano all’uopo. Il successo e il vantaggio reale possono anche mancare, ma la sostanza etica della bontà di una tale politica rimane. Così ragionano i cristiani di ogni tempo e di ogni paese. E con questo spirito, l’amore del prossimo in politica deve stare di casa, e non deve essere escluso come un estraneo: né mandato via facendolo saltare dalla finestra, come un intruso. E l’amore del prossimo non consiste né nelle parole, né nelle moine: ma nelle opere e nella verità» (in “Crociata d’amore”, op.cit.). Per riaffermare la nozione di “bene comune” occorre un sentimento più alto, per- ché i motivi d’interesse, di orgoglio e di dominio che disintegrano la vita sociale siano repressi e con- tenuti. Amicizia, dialogo, aiuto reciproco erano per don Luigi la “cifra” della nostra laicità cristiana, l’espressione della nostra fraternità umana, applicabili in ogni tempo e in ogni situazione.
4_L’Italia può ancora contare, più di molti altri Paesi al mondo, su una società civile ricca di fermenti ideali, culturali, economici: reti sociali, movimenti, associazioni, comunità. Sono una straordinaria forza “prepolitica”, capace di riaffermare ideali e valori in modo vitale e di ritradurli in buone prassi. L’umanesimo cristiano è umanesimo “a misura d’uomo”. È l’espressione più compiuta della difesa e della promozione dell’uomo, della sua dignità integrale e trascendente, dei suoi diritti nativi e na- turali. «La principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso» (in “Centesimus annus”, 32) scriveva e te- stimoniava con la sua vita san Giovanni Paolo II. Non l’uomo alienato, astratto, manipolato, de-spiritualizzato, de-moralizzato, de-culturalizzato, ma l’uomo concreto, nella verità del suo agire e nella trasparenza dei suoi veri affetti e dei suoi bisogni, a partire da quelli religiosi e spirituali. Non ci sarà «civiltà dell’amore», invocata da san Paolo VI, se le regole del gioco democratico si baseranno su una somma di “Io” autonomi, supremi, retti sempre più palesemente da interessi di lobby economico- finanziarie. Il punto è questo: quando si tratta dei diritti fondamentali delle persone, quando si parla della dignità inalienabile dell’uomo, del suo destino di libertà, non si possono scambiare le verità fon- damentali con rivendicazioni, strumentalizzazioni, relativizzazioni di ogni specie. Questo è e rimarrà il principale campo d’azione dei laici cristiani di ogni generazione. Noi siamo testimoni, talvolta muti e inerti, del dolore della nostra gente in tanti Paesi del mondo; testimoni dell’angoscia di un mondo che esclude Dio dalla storia umana o che pone Dio in conflitto con la sua stessa esistenza o in conflitto con gli uomini. L’Art. 1 della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (ricorreva nel 2018 il 70° anniversario) postula: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono do- tati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
Questo articolo trova poi nell’Art.18 la sua più chiara applicazione: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include... la libertà di manifestare, isolata- mente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’inse- gnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti». La libertà religiosa è principio essenziale di convivenza umana e un aspetto fondamentale delle relazioni fra cittadini e fra Stati. La sua nega- zione mette in pericolo i diritti più elementari di ogni persona; se l’aggressione è perpetrata contro intere comunità, s’innesca una spirale perversa che mette in pericolo la sicurezza e la pace tra Stati. Difendere la libertà religiosa, a partire dal non confinare le religioni nella sfera privata, privandole di rilevanza pubblica, significa salvaguardare l’essenza del diritto, fondato su quelle libertà che ci garantiscono pace, sicurezza e prosperità. Se le libertà religiose sono protette nell’ordinamento giu- ridico, come nella vita quotidiana, si potrà affermare lo stato di diritto e garantire la sicurezza; se tale protezione è disattesa, la conseguenza è il moltiplicarsi di conflitti e il perpetrarsi dell’instabilità so- ciale e politica. Non solo i luoghi di preghiera e di culto, ma i luoghi educativi come le scuole e le uni- versità, il mondo dei media e i social media, devono divenire i luoghi dove prevenire e promuovere i valori del dialogo e della tolleranza, la cultura dell’incontro e lo spirito di fratellanza umana. 5_Per don Sturzo, nel fondo della coscienza civile c’è sempre il senso del diritto, che non può essere impunemente violato. E c’è una civiltà, quella cristiana, che non tramonta, nonostante tutti i tentativi di oscurarla o menomarla, una “cultura umana” eticamente e religiosamente ispirata che si fonda sul rispetto della personalità umana e della giustizia sociale come piattaforma di ogni sistema giuri- dico e politico. Oggi constatiamo che c’è una reciproca sfida tra culture, religioni e diritti umani, sia a carattere planetario che a livello locale, sia nei contesti concreti degli Stati che delle comunità in- termedie, a partire dalle famiglie, nucleo centrale delle società. Siamo consapevoli di vivere in un processo storico di globalizzazione irreversibile, con la coscienza di essere partecipi di un comune de- stino d’interdipendenza mondiale. Ci chiediamo, pertanto, se una nuova promozione della libertà re- ligiosa possa rappresentare l’occasione per affrancarsi da ogni forma di politicizzazione delle religioni stesse e, al contempo, l’opportunità per promuovere con serietà e credibilità una “cultura dei diritti umani”. Molti politologi hanno previsto per il XXI secolo uno “scontro tra le civiltà”. A ciò noi con- trapponiamo una realistica visione di speranza. Le Religioni possono contribuire a evitare un simile scontro, se mossi da quattro convinzioni:
• non c’è pace fra le nazioni senza una pace fra le religioni; • non c’è pace fra le religioni senza dialogo tra le religioni; • non c’è dialogo fra le religioni senza un modello etico globale;
• non c’è sopravvivenza del nostro pianeta nella pace e nella giustizia senza un nuovo paradigma di relazioni internazionali fondato su modelli etici globali che pongano al centro l’uomo e i suoi diritti nativi, l’uomo e la sua dignità.
Nessun diritto umano è al sicuro se non ci s’impegna a tutelarli tutti! Quando si accetta senza reagire la violazione di uno qualsiasi dei diritti umani fondamentali, si pongono a rischio tutti gli altri. É in- dispensabile, pertanto, un approccio globale al tema dei diritti umani e un serio impegno a loro di- fesa. Solo quando una cultura dei diritti umani, rispettosa delle diverse tradizioni, diventa parte integrante del patrimonio morale dell’umanità, si può guardare con serena fiducia al futuro. Come potrebbe esservi guerra, se ogni diritto umano fosse rispettato? L’osservanza integrale dei diritti umani è la strada più sicura per stringere relazioni solide tra le religioni, tra i popoli e tra gli Stati. È necessario che la libertà religiosa sia sempre più riflessa nelle relazioni interne ed esterne dell’Unione Europea, a partire da un’adeguata tutela formale sul piano giuridico. I Paesi europei e occidentali
hanno certamente due grandi sfide dinanzi a loro, sfide che riguarderanno sempre più, e insieme, i nostri sistemi educativi, giuridici e legislativi; possiamo definirle della “riduzione” e della “misura- zione” della libertà religiosa.
Riduzione: se si riduce il concetto di libertà di religione si finisce con il rendere le Religioni visibili solo dove la libertà di religione è minacciata, mascherandola così come una variabile operante al- l’interno delle democrazie consolidate e aumentando il rischio di opporre un mondo occidentale se- colare e pacificato a un mondo in via di sviluppo, dominato da passioni religiose e violazioni dei diritti fondamentali.
Misurazione: se si misura la libertà religiosa si finisce con l’enfatizzare le pratiche individuali, basate su una concezione della religione fortemente influenzata da modelli dominanti che non necessaria- mente tengono conto della realtà di altre tradizioni, con la loro distinzione meno marcata tra sacro e profano e tra individuale e collettivo. Quando questo accade si finisce con il discriminare le mino- ranze religiose o con il forzare la loro collocazione dentro paradigmi giuridici inadeguati, che pro- ducono tensioni e conflitti sino talvolta alla privazione della libertà per via giudiziaria.
La cultura dei diritti umani non può essere che cultura di pace. Per promuovere una cultura dei di- ritti umani, che investa le coscienze, è necessaria la collaborazione di ogni forza sociale, di tutti i corpi intermedi, degli ambiti accademici, dei movimenti religiosi. Perché tutto questo accada, serve una “di- scontinuità generazionale”, la necessità di coinvolgere in prima istanza i giovani, una nuova gene- razione di leaders, perché siano sempre più capaci di interpretare questa stagione di cambiamenti e di trasformazioni che sta profondamente segnando la nostra epoca. I giovani possono, devono essere i nuovi interpreti di una stagione d’incontro, dialogo e convivenza pacifica tra i popoli, i nuovi pro- tagonisti della tutela delle nostre comunità religiose. I giovani devono essere gli interlocutori privi- legiati della nostra azione politica e culturale a tutela delle comunità religiose e della libertà di professare la fede. Un’azione verso la quale l’Europa è naturalmente portata, nonostante tutti i tra- dimenti di memoria e d’identità cristiana, alla luce della nobile tradizione di promozione e di difesa della dignità dell’uomo che ancora contraddistingue la nostra cultura umanista e di quell’umane- simo spirituale generato dal Cristianesimo.
PUNTO 8 - CHIESA E LIBERTA’ RELIGIOSA
Contributo di