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L’allegazione, in sede di giudizio di opposizione, di motivi diversi da quelli indicati nell’atto di opposizione.

caratteristiche dell’obbligazione e la “prova scritta” quali presupposti speciali della tutela monitoria.

M. Rodríguez Tirado, Las funciones procesales del Secretario Judicial, Barcellona, 2000.

8. I possibili esiti della fase senza contraddittorio.

8.3. L’opposizione dell’ingiunto: i problemi di coordinamento con la fase senza contraddittorio.

8.3.4. L’allegazione, in sede di giudizio di opposizione, di motivi diversi da quelli indicati nell’atto di opposizione.

Anche questo problema “affonda le proprie radici in quella più generale relativa a se opposta l’ingiunzione di pagamento nel procedimento monitorio questo muore o si trasforma e, in questo secondo caso, qual’è la ampiezza ed il limite di detta trasformazione”563. La soluzione che si offre a tale questione discende infatti dalla concezione che si sostenga del giudizio di opposizione. Le tesi che ammettono la possibilità di allegare, nel giudizio di cognizione, motivazioni diverse da quelle indicate nello scritto di opposizione, si basano sull’idea della totale autonomia di esso rispetto al procedimento monitorio che lo abbia preceduto, per cui l’atto di opposizione ha soltanto il compito di privare di efficacia l’ingiunzione impedendole di acquisire l’efficacia esecutiva e di accertamento che altrimenti verrebbe a possedere. Non si tratta dunque di una comparsa di risposta rispetto ad un processo non ancora in essere ma di un atto che ha soltanto lo scopo di manifestare che non si è d’accordo con il contenuto dell’ingiunzione e dunque non pregiudica la libertà delle parti di allegare tutto ciò che desiderino nel successivo giudizio di cognizione564.

Si tratta di tesi piuttosto diffuse in giurisprudenza, in virtù delle quali si è anche ritenuto ammissibile che il ricorrente in via monitoria, il quale vanti un credito maggiore di quello stabilito come limite per l’accesso al rito

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Cfr. l’interessante analisi, con riferimenti giurisprudenziali, di Gallego Sánchez, Excepciones, cit., pp. 9-11. V. anche l’affermazione del CJM di Barcellona riportata da

Picó I Junoy, La interpretación, cit., secondo la quale “se, per via dell’opposizione, dal

procedimento monitorio deriva un juicio verbal, all’udienza si deve consentire al creditore di completare la prova documentale dimostrativa della sua pretesa”.

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Cfr. A. A. Pérez Ureña, ¿En el juicio declarativo posterior al monitorio, cabe alegar razones o motivos distintos a los expuestos en el escrito de oposición? Praxis judicial, in www.laleydigital.es, 12505/2009, p. 2.

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monitorio e dunque lo abbia frazionato o ne abbia richiesta soltanto una parte565, possa poi pretendere il pagamento dell’intero ammontare nel successivo giudizio di opposizione ovvero cumulare altre azioni a quella inizialmente esercitata nei limiti previsti dagli artt. 71 e ss. LEC (connessione in ragione della causa petendi)566.

Vi è poi una tesi eclettica, maggioritaria nella giurisprudenza di merito, secondo la quale la modifica o introduzione di nuovi motivi sarebbe possibile nel caso l’opposizione segua le forme del juicio ordenario mentre sarebbe esclusa nel caso di rito verbal. Questa ricostruzione si fonda sulla diversità di disciplina che la legge ha stabilito per il prosieguo dell’attività giurisdizionale dopo la presentazione dello scritto di opposizione. Nel caso si ricada nell’ambito del juicio verbal, infatti, le parti sono direttamente convocate per l’udienza, per cui l’atto introduttivo del giudizio è costituito dalla petición del ricorrente in via monitoria che diviene attore nel giudizio di merito e dallo scritto di opposizione dell’ingiunto che costituirà la sua comparsa e, sulla base della quale, l’attore articolerà la propria pretesa e l’eventuale richiesta o produzione di mezzi istruttori resi necessari dalle difese della controparte, direttamente nell’udienza di trattazione. Viceversa, nel caso si debba passare al rito ordenario, la necessità che l’attore riproponga la domanda, con conseguente applicazione delle regole ordinarie sul giudizio, fa sì che questi possa allegare nuovi fatti ed elementi di prova del tutto liberamente. Nessuna limitazione appare infatti imposta dalle norme speciali in tema di procedimento monitorio che anzi richiamano le norme sul juicio ordenario, facendo riferimento agli artt. 404 ss., né vi è il rischio di una violazione del diritto di difesa del convenuto che potrà sempre difendersi liberamente, nelle forme e termini stabiliti dalla legge per rispondere alla domanda ordinaria.

Infine, si riscontrano tesi radicalmente contrarie all’ammissibilità di indicare nuovi motivi di opposizione nel giudizio di opposizione, tanto se questo segua il rito ordenario che quello verbal. Queste ricostruzioni si basano su due argomenti chiave. Un primo filone si fonda essenzialmente sulla cosiddetta “teoria degli atti propri”, applicazione del principio generale secondo cui nemo potest contra proprium actum venire. Questo principio, quale limitazione all’esercizio di un diritto soggettivo o di una facoltà, trova il proprio fondamento normativo nell’art. 7, co. 1° del Código Civil, che ha accolto nell’ordinamento spagnolo il concetto di buona fede nel comportamento giuridico; principio altresì fatto proprio, in campo processuale, dalla LEC del 2000, che impone alle parti un comportamento coerente che non violi il legittimo affidamento altrui. La buona fede processuale impone dunque di non nascondere alle altre parti il fondamento

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Si ricordi però la problematicità di questa ipotesi che può generare un fraude de ley. Cfr. supra, par. 7.4.

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della propria pretesa ma di esplicitarlo, sebbene talvolta il legislatore si accontenti di un’esposizione succinta.

Una simile ricostruzione si basa anche su una consolidata giurisprudenza del Tribunal Supremo in materia di applicazione della “teoria degli atti propri”, per cui: l’atto che si contesta deve essere stato adottato liberamente; deve sussistere un nesso causale tra l’atto compiuto e la successiva incompatibilità che si contesti; l’atto dev’essere certo e concludente, costituendo manifestazione di volontà volta a creare, modificare o estinguere un diritto, creando una situazione discorde dalla successiva condotta del soggetto. Riferito alla questione che ci interessa, è chiaro che l’atto di opposizione è una libera manifestazione di volontà, certa e concludente, dell’ingiunto, destinata a produrre effetti giuridici e che necessita di una motivazione, quantomeno succinta. Pertanto, cambiare successivamente la posizione assunta con esso è contrario alla buona fede. Le sentenze che accolgono questa impostazione considerano dunque inammissibili le motivazioni poste a fondamento della comparsa di risposta che siano contraddittorie rispetto a quelle proposte nello scritto di opposizione. Tuttavia, a questa tesi si possono opporre due rilievi critici: innanzitutto essa vale per escludere motivazioni contrastanti ma non che si possano allegare motivi ulteriori o diversi che, di per sé, non confliggano con le precedenti affermazioni. Inoltre, autorevole dottrina ha sottolineato come, a stretto rigore, la “teoria degli atti propri” valga per il diritto sostanziale ma non sia trasferibile de plano in ambito processuale e che, se l’applicazione di questa tesi si dovesse fondare su un’esigenza di economia dei giudizi di natura costituzionale o di ordine pubblico, l’obiettivo non verrebbe raggiunto, dato che il giudizio dovrebbe comunque svolgersi per giungere ad una sentenza che affermi il diritto del ricorrente-attore e neghi la validità degli argomenti contraddittoriamente allegati dal convenuto. Questa critica, rileva come, de lege lata, non si possa configurare, in ambito processuale, una preclusione basata esclusivamente sulla contraddittorietà logica, posto che nessuna norma la prevede e che la certezza del diritto impone che un soggetto possa rinvenire nell’ordinamento elementi sufficienti per conoscere in anticipo le conseguenze della propria condotta e dei propri atti rispetto ai propri diritti e facoltà567.

Un secondo filone fa invece leva soprattutto sul dato normativo costituito dall’Esposizione dei motivi e dalla lettera degli artt. 815 e 818 LEC. La prima offre argomenti per ritenere il giudizio di opposizione come limitato alla pretesa azionata dal ricorrente ed ai motivi di opposizione allegati dall’ingiunto. In essa si legge che “se il debitore si oppone, il suo disaccordo rispetto al creditore verrà trattato nelle forme processuali del giudizio che gli corrisponda, sulla base del valore del credito azionato”568.

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Cfr. Vallines García, La preclusión, cit., in particolare, p. 258 ss. 568

Quanto all’art. 815 LEC, se si ammettesse la libera modificabilità dei motivi di opposizione, se ne vanificherebbe il contenuto nella parte in cui richiede che, nello scritto di opposizione, l’ingiunto indichi succintamente le ragioni per le quali non considera dovuta la somma richiesta, peraltro imponendogli l’obbligo di assistenza tecnica secondo le regole ordinarie. Infine, l’art. 818 LEC stabilisce che, presentata l’opposizione nel termine “la questione verrà risolta definitivamente nel corrispondente giudizio”, dunque oggetto di questo sarà quella stessa pretesa azionata dal ricorrente e contestata dall’ingiunto569.

8.3.5. A modo di conclusione: un (problematico) tentativo di

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