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Il rito monitorio come “espediente per evitare il processo”.

DIALOGO CON LA DOTTRINA PROCESSUALISTICA ITALIANA

A. De La Oliva Santos, Conceptos fundamentales de la ejecución forzosa civil, in La Ley,

1.1. Il rito monitorio come “espediente per evitare il processo”.

Passando all’analisi delle teorie ricostruttive, alcuni hanno affermato che il monitorio non sia un procedimento contenzioso ma di volontaria giurisdizione facendo leva soprattutto sull’assenza di contraddittorio tra le parti e/o di una qualsivoglia cognizione del merito della pretesa azionata, per cui l’ingiunzione viene emessa sol che si rispettino le condizioni stabilite dalla legge. In questo senso la tesi più estrema è stata espressa da Serra Domínguez, autore ostile alla nuova LEC, secondo il quale il rito monitorio non è tanto un vero e proprio procedimento quanto uno “strumento processuale per formare un titolo esecutivo senza la necessità di contraddittorio, in quei casi nei quali il debitore difetti di motivi per opporsi al compimento dell’obbligazione che gli sia richiesto”. Lo stesso autore ha affermato che “il monitorio non è in realtà un processo giurisdizionale, bensì tende ad eliminare il processo. Ciò spiega perché lo scritto iniziale del monitorio debba essere estremamente semplice, senza richiedere l’intervento di Avvocato e Procuratore, giacché si vuole unicamente ingiungere al debitore di effettuare il pagamento di un debito”143. Nello stesso senso si è espresso anche Garberi Llobregat, affermando che il monitorio “[non] può essere concepito come un autentico processo bensì come un’attività o espediente o procedimento preliminare di natura puramente esecutiva, come una forma di ordine di pagamento di origine

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Supra Cap. 1, par. 2. 143

M. Serra Domínguez, La ley 1/2000 sobre Enjuiciamiento Civil, Barcellona, 2001, p. 58.

giudiziale”. Tuttavia, a distanza di pochi anni, e sia pur con un atteggiamento fortemente critico verso la soluzione adottata, lo stesso autore ha riconosciuto espressamente l’efficacia di giudicato dell’ingiunzione non opposta, equiparandola a quella della sentenza definitiva144.

La tesi della natura di volontaria giurisdizione del procedimento monitorio ha radici antiche. In passato era sostenuta soprattutto da autori austriaci come Menger o Pollak, che si confrontavano però con la concezione assai ampia dei limiti della giurisdizione volontaria, propria del diritto austriaco e con altri dati normativi riferiti ad un modello “puro” di rito monitorio, ossia il Mahnverfahren, in base ai quali l’opposizione faceva cadere nel nulla l’ingiunzione e l’efficacia di questa era, altresì, limitata nel tempo. Inoltre, elemento decisivo per fondare questa ricostruzione era l’idea che non vi fosse lite (ossia contestazione) tra le parti del procedimento monitorio ma, da parte dell’intimato, il tacito riconoscimento del diritto di controparte. La mancata opposizione veniva cioè ricostruita come una finzione di riconoscimento da parte del debitore del fondamento dell’altrui pretesa e, pertanto, non si sarebbe avuta controversia laddove l’ingiunto non si fosse opposto, non avesse contestato, appunto, la giustizia dell’ingiunzione notificatagli, ma giurisdizione inter volentes. A questa impostazione ha già avuto modo di replicare con grande lucidità Cristofolini, definendola un “artificio costruttivo del quale è evidente la inaccettabilità”, dato che si tratta “di un caso di decadenza che opera obiettivamente salva la restitutio in integrum) al di fuori della volontà dell’intimato”145.

L’opinione che ascrive il procedimento monitorio alla volontaria giurisdizione era invece confutata dalla dottrina tedesca che, pur inquadrando il procedimento monitorio, nella veste del Mahnverfahren, nella tutela esecutiva, era concorde nell’affermare la natura giurisdizionale dell’istituto. Ciò sia sulla base del rilievo che la distinzione tra volontaria giurisdizione e giurisdizione contenziosa consiste nel fatto che la prima mira a prevenire un torto mentre la seconda a reprimerlo ed è chiaro che, nel rito monitorio, il torto (inadempimento) si è già verificato; sia sulla base della ricostruzione per cui la volontaria giurisdizione mira a costituire stati giuridici nuovi mentre la giurisdizione contenziosa mira a far attuare rapporti già esistenti ed è chiaro che il monitorio mira, come l’ordinario processo di condanna, ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione. In Italia, d’altronde già Calamandrei ebbe a sottolineare come un conflitto di interessi tra creditore e debitore, attuale e non solo potenziale (stante

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Cfr. J. Garberi Llobregat, Los procesos cambiario y monitorio en el Anteproyecto de la nueva Ley de Enjuiciamiento Civil, in Tribunales de Justicia, n. 7/1998, p. 692 dal quale è tratta la citazione e, circa il riconoscimento all’ingiunzione non opposta di un efficacia simile a quella di una sentenza definitiva, Id., El cobro ejecutivo de las deudas en la Ley de Enjuiciamiento Civil, Barcellona, 2006, II, p. 1479 ss.

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l’inadempimento di quest’ultimo), sia chiaramente alla base dell’istituto e che l’efficacia dell’ingiunzione non deriva da un tacito accordo tra le parti, ma dall’accertamento per preclusione, di talché non manca del tutto lo stadio della cognizione che si verifica però con forme diverse da quelle del rito ordinario146.

La proposta ricostruttiva di questo filone dottrinale spagnolo ci pare richiamare molto da vicino il percorso argomentativo che, nel panorama italiano, è stato portato avanti da Carnelutti e, per altri versi, da Chiovenda, ma con importanti differenze che avremo cura di mettere in luce. Per Carnelutti, il tratto distintivo tra processo volontario e contenzioso sta infatti nell’essere il conflitto di interessi da regolare ancora potenziale o già in atto. Il processo contenzioso tende cioé alla giusta composizione di una lite già in atto, ha una funzione repressiva di un conflitto in essere tra due (o più) soggetti di una contesa definita “lite”. Viceversa, il processo volontario tende a prevenire che il conflitto potenziale si trasformi in attuale, conciliando le parti. Si tratta di una funzione svolta, per lo più, a livello legislativo o amministrativo anziché giudiziario ma quando il suo esercizio è demandato al giudice si parla di giurisdizione volontaria.

Nelle parole dell’autore, oggetto della “lite” è un bene della vita in contestazione tra le parti. L’una afferma una “pretesa” (compie cioé una dichiarazione di volontà con la quale richiede un qualcosa al giudice), fondata su certe “ragioni” o fondamenti giuridici, alla quale l’altra resiste. Questa resistenza può atteggiarsi in tre modi distinti: in primo luogo l’avversario, senza ledere l’interesse altrui, può contestare la pretesa; in secondo luogo, egli può non contestare la pretesa, ledendo però l’altrui interesse; infine le due cose possono darsi cumulativamente. La contestazione, al pari della pretesa, è una dichiarazione di volontà del soggetto. La lesione dell’altrui interesse è invece un’operazione giuridica che comporta di valutare l’altrui operato alla luce di norme giuridiche. A questa distinzione corrisponde quella dei diversi tipi di lite. Tra liti da pretesa contestata, che danno luogo ad una “controversia” e liti da pretesa insoddisfatta, per la cui risoluzione è particolarmente necessaria l’attività esecutiva: il soggetto non contesta la pretesa ma si limita a non attuare il comando della legge, ledendo così l’interesse altrui. In ogni caso, il fine ultimo del processo è sempre la giusta composizione della lite. Dunque, per lungo tempo, Carnelutti considerava che processo (e funzione propriamente

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Calamandrei, Il procedimento, cit., p. 26 ss. Più di recente, per una lucida esposizione sulla problematica distinzione tra volontaria giurisdizione e giurisdizione contenziosa e sul criterio atto a distinguere l’una dall’altra, v. G. Verde, La tutela sommaria in generale: i procedimenti sommari non cautelari, in Quaderni del CSM, Roma, 1997, vol. II, p. 9 ss., secondo il quale il tratto distintivo sta nel fatto che “la giurisdizione contenziosa tende a comporre un contrasto anche potenziale, ma giuridico e intersoggettivo là dove la giurisdizione volontaria non presuppone, ma non esclude il contrasto, il quale si presenta come contrasto dialettico e interno alla gestione di un unico interesse”.

giurisdizionale) vi fosse solo se ed in quanto vi fosse una lite. Le altre ipotesi, classificate come “processi impropri” (nel senso che in essi veniva esercitata, con forme processuali, una funzione che non è sostanzialmente giurisdizionale), erano definiti anche processi “senza lite” anche se, nelle Istituzioni, ebbe modo di modificare questa impostazione ammettendo che, accanto al processo contenzioso, quale ipotesi principale di processo teso alla giusta composizione della lite, vi fosse anche la species, storicamente di minor valore, del processo volontario147.

Orbene, nella classificazione dell’autore, all’interno del processo contenzioso stavano sia l’attività di cognizione che quella esecutiva: l’una poteva servire a comporre sia liti da pretesa contestata che da pretesa insoddisfatta, l’altra, veniva in rilievo solo per questa seconda categoria, nella quale la lesione della pretesa doveva essere rimossa senza o anche contro la volontà del resistente148.

Nel quadro concettuale tracciato da Carnelutti, il “processo d’ingiunzione” si collocava un po’ a metà strada tra cognizione ed esecuzione. Secondo le categorie proposte, quando la lite era da pretesa insoddisfatta, era necessario il processo esecutivo e non tanto la cognizione149, ma come sapere se la controparte si limitava a non attuare la pretesa o intendeva contestarla? Per questo normalmente la cognizione precede l’esecuzione salvo che la pretesa sia formalizzata in un titolo esecutivo stragiudiziale che la rende possibile senza previa cognizione, la quale potrà essere richiesta dal soggetto che subisca l’esecuzione sulla base di quel titolo.

L’autore rilevava come in tutti quei casi di lite da pretesa insoddisfatta nei quali manchi la contestazione della controparte, vi è il rischio di fare processi di cognizione a vuoto, non sussistendo quella lite che, precipuamente, essi debbono risolvere. Ciò danneggia i creditori, costretti a percorrere la lunga strada del processo di cognizione per avere un titolo giudiziale da impiegare contro i debitori. Questo rischio e spreco di attività è proprio ciò che il procedimento monitorio tenta di evitare: salvo che colui contro il quale la pretesa è proposta decida di opporsi (contestandola), “il giudice non procede alla cognizione se non in modo sommario e, in base a questa, forma un provvedimento che serve da titolo esecutivo alla pretesa e così consente a tutela di essa l’esecuzione forzata”150.

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F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, V ed., Roma, 1956, I, pp. 5 ss., 17. 148

Id., Istituzioni, cit., p. 38. 149

Si tratta, evidentemente, di un concetto importante e tenuto in grande considerazione da numerosi ed importanti autori. In particolare, si tratta dell’elemento che portò Chiovenda ad immaginare la categoria degli “accertamenti con prevalente funzione esecutiva”. Cfr. G.

Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, IV ed., Napoli, 1928, 196 ss.

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A questa ricostruzione si è obiettato che la lite effettiva all’interno del processo può esservi come non esservi anche nel processo ordinario, poiché il convenuto può restare contumace mentre l’intimato può opporsi e poi desistere o decadere dall’opposizione involontariamente. Il rito monitorio, in tutti questi casi, servirebbe dunque proprio “a comporre una lite”151.

Il riferimento alle teorie carneluttiane ci è parso importante per evidenziare l’equivoco in cui sembrano cadere le correnti dottrinali spagnole sopra ricordate. Carnelutti faceva rientrare il monitorio nel genus dei processi e, nell’opera più matura, all’interno della funzione giurisdizionale contenziosa (e non dunque nella giurisdizione inter volentes, attesa la sussistenza di un conflitto attuale tra le parti) ma, non trovando ad esso adeguata collocazione né nella cognizione né nell’esecuzione, aveva coniato una terza ed intermedia categoria, alla quale faceva poi corrispondere quella del “titolo ingiuntivo”, inteso come supporto “ultraprobatorio”, in grado di consentire di ottenere dal giudice un’ingiunzione152.

Anche nell’opera di Chiovenda si possono cogliere elementi utili per evidenziare il sostanziale equivoco della tesi che riconduce il monitorio nell’ambito della giurisdizione volontaria. Com’è noto, Chiovenda afferma che la giurisdizione volontaria ha sempre uno scopo costitutivo: attraverso di essa si costituiscono stati giuridici nuovi o si coopera allo svolgimento di rapporti esistenti. La giurisdizione vera e propria mira invece ad attuare rapporti esistenti. Quest’ultima suppone, dunque, per una parte, l’aspettativa di un bene contro un’altra, sia esso bene una prestazione o un effetto giuridico. Ciò manca nella giurisdizione volontaria: non vi sono due parti né un bene garantito contro gli altri ma uno stato giuridico che, senza l’intervento dello Stato, non potrebbe nascere o svilupparsi o si svolgerebbe in modo imperfetto153. Per questo Chiovenda, anche sulla base della nota teoria dell’azione come diritto soggettivo autonomo rispetto alla pretesa154, aveva creato la categoria degli “accertamenti con prevalente funzione esecutiva”, tra i quali, un ruolo preminente si doveva attribuire al procedimento monitorio. Si tratta – secondo l’autore – di processi rientranti nell’alveo della giurisdizione contenziosa, nei quali la cognizione e dunque l’accertamento del diritto, gioca un ruolo secondario rispetto all’eseguibilità del comando. Per questo l’ordinamento, tenendo presente l’interesse al pronto adempimento delle obbligazioni e l’id quod plerumque accidit, anziché subordinare il comando all’accertamento di quanto avvenuto nel caso concreto, consente di comandare prima di aver accertato, sulla base della considerazione di ciò che normalmente avviene in generale, quando si

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Cristofolini, Procedimento, cit., pp. 88-89. 152

F. Carnelutti, In difesa del titolo ingiuntivo, in Riv. dir. proc., 1956, I, p. 189 ss. 153

Chiovenda, Principii, pp. 316 ss. 154

deduca in giudizio certe pretese, riservando la possibilità di ottenere la cognizione piena sulla pretesa ad un momento successivo, nel caso l’ingiunto proponga opposizione155.

Alla luce di quanto si è visto, la posizione ricostruttiva che esclude il monitorio dal novero dei processi giurisdizionali in senso proprio appare dunque fortemente criticabile sulla base dei criteri individuati dalla migliore dottrina processualistica. Rimangono da aggiungere altri due argomenti per escludere la natura di volontaria giurisdizione dell’istituto; si tratta, da un lato dell’efficacia di giudicato pacificamente riconosciuta in Spagna all’ingiunzione non opposta, efficacia che è tipica di un atto giurisdizionale e non mai di atti della volontaria giurisdizione156, nonché del dato sistematico proprio della nuova LEC che, a differenza di quanto avviene con il Libro IV del nostro Codice di rito157, espressamente, non si occupa di volontaria giurisdizione158.

Dunque l’idea espressa da questi autori spagnoli, secondo i quali il monitorio serve ad evitare il processo159 è accettabile nella misura in cui la si intenda riferita alle attività proprie del processo ordinario, ossia alla piena cognizione sulla pretesa dedotta in giudizio, per cui il legislatore, basandosi sull’interesse generale al puntuale adempimento delle obbligazioni (ed in Spagna, si è visto che il legislatore aveva ben presente che la morosità può avere effetti devastanti, specie per piccole e medie imprese e, di fatto, nuocere gravemente al mercato ed all’economia nel suo complesso) e sul fatto che normalmente il tipo di pretese tutelate (in Spagna, i soli crediti pecuniari) esistono (idea rafforzata attraverso la richiesta di un supporto documentale a sostegno della domanda), permette al giudice di emanare un provvedimento che, se la controparte non ha serio motivo di contestare, permetterà di risparmiare il tempo ed i costi di un processo ordinario, addirittura aprendo direttamente le porte dell’esecuzione.

155

cfr. Id., Ibid., p. 196 ss., 210 ss. 156

Lo stesso Chiovenda, Principii, cit., pp. 318-319, ebbe cura di sottolineare come la distinzione tra giurisdizione contenziosa e volontaria ha una grande importanza pratica, atteso che il provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto atto di amministrazione, non produce mai di per sé la cosa giudicata che è invece propria dell’atto giurisdizionale per eccellenza: la sentenza. La cosa giudicata si ricollega ai provvedimenti decisori contenenti l’accertamento di un rapporto giuridico mentre, per loro stessa natura, è esclusa rispetto ai provvedimenti di volontaria giurisdizione. Cfr. inoltre E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, pp. 19-21.

Sull’efficacia dell’ingiunzione non opposta v. infra nelle pagine seguenti. 157

Nel quale si trovano riuniti procedimenti assai diversi, alcuni dei quali propriamente appartenenti alla volontaria giurisdizione, come il procedimento per la separazione consensuale dei coniugi.

158

Cfr. I. Díez-Picazo Giménez, Procedural Reform in Spain, in AAVV, The Reforms of Civil Procedure in Comparative Perspective, (N. Trocker – V. Varano Ed.), Torino, 2003, p. 38.

159

Lo stesso dicasi dell’affermazone per cui il provvedimento del giudice si risolve in un ordine, in un comando giudiziale160 che si può ritenere condivisibile laddove si richiami alle concezioni sopra esposte, ovvero che, nel monitorio, eccezionalmente (e per le ragioni viste) il giudice comandi prima di accertare ma all’accertamento del diritto consacrato nel comando (nell’ingiunzione) si giunga ugualmente in assenza di opposizione dell’intimato, attraverso la preclusione dell’esame delle sue eccezioni161.

1.2. La collocazione del rito monitorio all’interno della

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