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altre forme di protezione contemplate dal diritto internazionale

Commissione africana sui Diritti Umani e dei Popoli

Capitolo 1: Ingresso, soggiorno e condizione giuridica dello straniero

II. Categorie e status dei migranti

2. altre forme di protezione contemplate dal diritto internazionale

A seguito dell’adozione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, molti Stati o Organizzazioni regionali inter-governative hanno stabilito una serie di altre forme di protezione per tutti i soggetti che non soddisfano gli standard minimi per la qualifica dello status di “rifugiato” secondo la Convenzione, o per le persone che deside-rano e sono potenzialmente in grado di essere qualificati per l’asilo ma alle quali, a causa delle circostanze di ingresso nello Stato di rifugio, non viene loro concesso di accedere immediatamente alla procedura ordinaria per il riconoscimento dello status di rifugiato, come nel caso di afflusso massiccio di richiedenti asilo. In situa-zioni di afflusso in massa, la protezione sussidiaria è necessaria, non a causa di

134. Conclusione n. 87 (L) Generale, CE-ACNUR, 50a Sessione, 1999, par. (j). 135. Un’obbligazione equivalente è contenuta nell’art. 23 CADBB.

136. Commentario Generale n. 6: Trattamento dei bambini non accompagnati o separati fuori dal loro Paese d’origine, CDF, UN Doc. CRC/GC/2005/6, 1 settembre 2005, par. 66.

137. Ibid., par. 69. 138. Vedi, ibid., parr. 68-73. 139. Vedi, ibid.

una “carenza” di protezione dei rifugiati, ma a causa di circostanze di fatto che impediscono alla Stato di fornire un accesso immediato alla procedura ordinaria di asilo. In queste situazioni il principio di non refoulement previsto sia dal diritto internazionale dei diritti umani sia dal diritto dei rifugiati (cfr. il capitolo secondo) obbliga lo Stato a concedere una qualche forma di protezione temporanea, fino a quando l’interessato possa accedere alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.

A causa di un’interpretazione restrittiva della Convenzione di Ginevra sui rifugiati fornita dalla legislazione o dalla prassi del Paese di accoglienza, in alcune situazioni, le persone possono venire escluse dalla protezione come rifugiati.140 In questi casi, il Comitato Esecutivo dell’ACNUR ha stabilito che venga riconosciuto lo status di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e che le forme di protezione complementare non possano essere usate per indebolire la protezione riconosciuta dalla Convenzione.141

Comunque, ci sono altre circostanze in cui persone bisognose di protezione non rientrano nella definizione di rifugiato prevista della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.142 Queste situazioni riguardano le persone che sono vittime degli effetti indiscriminati di violenze in situazioni di conflitto,143 o le persone che non possono essere espulse dal Paese di destinazione alla luce del principio di diritto interna-zionale dei diritti umani di non-refoulement (cfr. il secondo capitolo). In queste situazioni, la protezione offerta dal Comitato Esecutivo dell’ACNUR viene definita come “forme di protezione complementari”.144

Ci sono situazioni in cui non può essere invocata una protezione ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati o del diritto internazionale dei diritti umani, ma in cui lo Stato ha messo a punto un sistema di protezione per ragioni “umanitarie” o “compassionevoli”, come in casi riguardanti rischi gravi per la salute o indigenza per estrema povertà nel caso di rientro. Sebbene vengano usate varie terminologie nella legislazione nazionale, queste forme di protezione saranno denominate “forme discrezionali di protezione”, perché, pur essendo talvolta ispirate dal diritto inter-nazionale dei diritti umani, rimangono nella discrezionalità dallo Stato. Tuttavia, l’esistenza di crisi come carestie e disastri naturali, che hanno un impatto sul godi-mento dei diritti economici, sociali e culturali, potrebbe innescare degli obblighi

140. Vedi, Forme complementari di protezione: La loro natura e relazione con il regime di protezione internazionale del rifugiato, ACNUR, Doc. EC/50/SC/CRPAG.18, 9 giugno 2000, parr. 7-9. Si veda anche, Ruma Mandal, “Protection Mechanisms Outside of the 1951 Convention (“Complementary Protection”)”, in ACNUR Legal and Protection Policy Research Series, Department of International Protection, UNCHR, UN Doc. PPLA/2005/02, giugno 2005, parr. 19-20, pagg. 8-9.

141. Vedi, Conclusione n. 103 (LVI) Norme sulla protezione internazionale incluso attraverso forme complementari di protezione, CE-ACNUR, 56a Sessione, 2005, parr. (b) e (k).

142. Ibid., par. 2.

143. Vedi, Forme complementari di protezione: La loro natura e relazione con il regime di protezione internazionale del rifugiato, ACNUR, op. cit., nota n. 140, parr. 10-11.

per tutti gli Stati di fornire cooperazione internazionale allo sviluppo, e, quindi, per la realizzazione dei diritti economici, diritti sociali e culturali,145 che comprende la prestazione di assistenza ai rifugiati e sfollati.146 Queste situazioni potrebbero, in determinate circostanze, obbligare lo Stato a concedere una qualche forma di protezione temporanea alle persone colpite.

a) La protezione temporanea

La protezione temporanea viene definita dall’ACNUR “una specifica risposta di protezione provvisoria a situazioni di afflusso di massa che fornisce protezione di emergenza immediata dal refoulement”,147 senza il riconoscimento formale dello status di rifugiato. Il termine “protezione temporanea” è usato in alcuni Stati per descrivere regimi giuridici che includono altre forme di protezione, come nei casi di persone in fuga da guerre e altre crisi. In questa Guida, la definizione fornita dall’ACNUR sarà adottata, ma i principi qui descritti potranno anche applicarsi a diversi regimi nazionali.

La necessità per gli Stati di applicare questa protezione proviene dall’obbligo di non-refoulement previsto sia dal diritto internazionale dei rifugiati sia dal diritto internazionale dei diritti umani (si veda nel capitolo successivo). Essa non è una forma di protezione complementare alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, essendo una sorta di tutela provvisoria per le persone che possono prima facie essere qualificate come rifugiati, ma che, a causa delle condizioni di arrivo, non possono immediatamente essere inseriti in una procedura ordinaria di riconosci-mento dello status di rifugiato.

In queste situazioni, il Comitato Esecutivo ha stabilito che “le persone richiedenti asilo debbano sempre ricevere almeno una protezione temporanea”,148 e che “dovrebbero essere ammesse senza alcuna discriminazione di razza, religione, opinione politica, nazionalità, Paese di origine o incapacità fisica.”149 In particolare, “non devono essere penalizzate o esposte a un trattamento sfavorevole unicamente per il motivo che la loro presenza nel Paese sia considerata illecita; non debbono essere soggette a restrizioni nei loro spostamenti che non siano ritenute necessarie nell’interesse della salute pubblica e dell’ordine pubblico”.150

145. Vedi, Commentario Generale n. 3, La natura delle obbligazioni degli Stati Parte, CDESC, UN Doc. HRI/GEN/1/ Rev.9 (Vol.I), 14 dicembre 1990, par. 14.

146. Vedi, inter alia, Commentario Generale n. 12, Il diritto ad un’alimentazione adeguata, CDESC, UN Doc. E/C.12/1999/5, 12 maggio 1999, par. 38; Commentario Generale n. 15, Il diritto all’acqua, CDESC, UN Doc. E/C.12/2002/11, 20 gennaio 2003, par. 34; CDESC, Commentario Generale n. 14, op. cit., nota n. 37, par. 40.

147. Conclusione n. 103, ACNUR, op. cit., nota n. 141, par. l (traduzione ufficiosa). 148. Conclusione n. 15, ACNUR, op. cit., nota n. 118, par. (f) (traduzione ufficiosa).

149. Conclusione n. 22 (XXXII) Protezione dei richiedenti asilo in situazioni di influssi di larga scala, CE-ACNUR, 32a Sessione, 1981, par. (II-A-1) (traduzione ufficiosa).

riquadro n. 5. La protezione temporanea nell’Unione Europea

La Direttiva del Consiglio 2001/55/CE del 20 luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (la Direttiva sulla Protezione Temporanea) stabilisce delle procedure per fornire una protezione immediata e temporanea, in caso di afflusso massiccio o di imminente afflusso di massa di sfollati provenienti da Paesi terzi che non possono ritornare nel loro Paese di origine. In particolare, la procedura verrà attivata quando si presenti il rischio che il sistema di asilo non possa far fronte a tale afflusso senza effetti negativi sul suo funzio-namento efficiente, nell’interesse dell’istante e di altre persone richiedenti protezione.151

I beneficiari di questa protezione sono “sfollati” (“displaced persons”), cioè “cittadini di Paesi terzi o apolidi che hanno dovuto abbandonare il loro Paese o regione d’origine o che sono stati evacuati, in particolare in risposta all’appello di organizzazioni internazionali, ed il cui rimpatrio in condizioni sicure e stabili risulta impossibile a causa della situazione nel Paese stesso, anche rientranti nell’ambito d’applicazione dell’articolo 1A della convenzione di Ginevra o di altre normative nazionali o internazionali che conferiscono una protezione internazionale”.152 Questa definizione comprende, tra l’altro, le persone fuggite da zone di conflitto armato o di violenza endemica e le persone a grave rischio o vittime di violazioni sistematiche o generalizzate dei loro diritti umani.153

Il Consiglio dell’Unione Europea, tra le istituzioni UE, decide se esista una situazione di afflusso massiccio di sfollati e, conseguentemente, obbliga gli Stati Membri a garantire una protezione temporanea.154 Quando la deci-sione viene emessa, gli Stati Membri possono concedere tale protezione ad ulteriori categorie di ”sfollati” che sono stati evacuati per le stesse ragioni e dallo stesso Paese o regione di origine.155

151. Vedi, art. 2(a), Direttiva del Consiglio 2001/55/CE del 20 luglio 2001 sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi, UE, Gazzetta Ufficiale L 212, 07/08/2001 pag. 0012 - 0023 (“Direttiva sulla Protezione Temporanea”). 152. Art. 2(c), ibid. (traduzione ufficiale).

153. Art. 2(c), ibid.

154. In base alla Direttiva, la protezione temporanea deve applicarsi ad una situazione specifica in seguita ad una decisione del Consiglio, quando quest’ultimo determina a maggioranza qualificata e su proposta della Commissione, l’esistenza di una situazione di afflusso massivo: art. 5, ibid.

La protezione temporanea dura un anno e potrà essere prorogata automa-ticamente per periodi di sei mesi fino a un anno a meno che non venga terminata prima.156 Il Consiglio può estendere il periodo per un altro anno.157

Questa protezione prevede le stesse clausole di esclusione stabilite per lo status di rifugiato.158

b) Forme complementari di protezione

Diversi strumenti di carattere regionale forniscono una definizione di “rifugiato” più ampia rispetto a quella prevista nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati e, quindi, offrono una protezione complementare alla Convenzione.

L’art. 1(2) della Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana relativa ad aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa (Convenzione sui rifugiati OUA), estendendo la protezione, stabilisce che debba definirsi rifugiato “ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell’ordine pubblico, in tutto o in parte, del Paese di origine o di cittadinanza, è costretta ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo fuori dal Paese di origine o di cittadinanza”.

Nelle sistema inter-americano, la Dichiarazione di Cartagena include nella defi-nizione di rifugiato “le persone fuggite dal loro Paese perché la loro vita, la loro sicurezza, o la loro libertà sono state minacciate da una violenza generalizzata, un’aggressione straniera, conflitti interni, una violazione massiccia dei diritti umani o altre circostanze che abbiano gravemente turbato l’ordine pubblico.”159

La Dichiarazione, benché non produca obblighi convenzionali, è stata approvata e recepita nella legislazione nazionale di molti Paesi latinoamericani; inoltre, è stata sottoscritta dall’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), dal Comitato Esecutivo ACNUR e dalla Conferenza degli Stati Parte della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.160 Alcuni Paesi asiatici e africani, che fanno parte della Organizzazione Consultiva Giuridica Asia-Africa, possono derivare alcuni elementi della loro legi-slazione dalla Dichiarazione rivista di Bangkok, che include nella sua definizione di rifugiato “ogni persona che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell’ordine pubblico in tutto o in parte del Paese di

156. Art. 4.1, ibid. 157. Art. 4.2, ibid. 158. Vedi, Art. 28, ibid.

159. Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati, adottata dal Colloquio sulla Protezione Internazionale dei Rifugiati in America Centrale, Messico e Panama, tenutosi a Cartagena, Colombia, dal 19 al 22 novembre 1984, par. III.3 (traduzione ufficiosa).

160. Vedi, risoluzione 1273 (XXIV–0/94) dell’Assemblea Generale OAS del 10 giugno 1994; Conclusione n. 77, ACNUR, op. cit., nota n. 80; Dichiarazione Ministeriale degli Stati Parte alla Convenzione del 1951 e/o al sui Protocollo del 1967 del 2001.

origine o di cittadinanza, è costretta ad abbandonare la propria residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo fuori dal Paese di origine o di cittadinanza.”161

Nel diritto dell’Unione Europea, la Direttiva UE sulle Qualificazioni (si veda il riquadro n. 6) garantisce una protezione complementare (conosciuta nella Direttiva come “protezione sussidiaria”) a coloro che siano a rischio di una “minaccia grave e indi-viduale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.162

Infine, alcune persone, che non possono rientrare nel loro Paese per motivi di non-refoulement in materia di diritti dell’uomo, sono lasciate senza protezione dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dagli strumenti regionali di cui sopra. In queste situazioni, alcune organizzazioni regionali, come l’Unione Europea, nonché alcuni ordinamenti nazionali hanno predisposto altre forme complementari di protezione.

riquadro n. 6. L’approccio dell’UE: “protezione sussidiaria”

Nell’ambito dell’Unione Europea, la Direttiva del Consiglio 2004/83/CE del 29 Aprile 2004 recante norme minime sull’attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (“la Direttiva UE sulle Qualificazioni”) stabilisce che la protezione internazionale venga concessa non solamente ai rifugiati ma anche a persone che possiedono i requisiti necessari per godere della “protezione sussidiaria”. La “protezione sussidiaria” è concessa a cittadini di Paesi terzi o apolidi non idonei a essere riconosciuti come rifugiati “ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno […], o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese”.163

In base alla Direttiva, sono considerati danni gravi: primo, l’esecuzione o la condanna alla pena di morte; secondo, la tortura o altra forma di pena o trat-tamento inumano o degradante nel suo Paese di origine; terzo, “la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.164

161. Principi di Bangkok sullo status ed il trattamento dei rifugiati del 1966, adottata il 24 giugno 2001 alla 40a sessione dell’Aalco, Nuova Delhi, art. I.2 (Dichiarazione di Bangkok rivista) (traduzione ufficiosa). 162. Art. 15, Direttiva UE sulle Qualificazioni, op. cit., nota n. 96 (traduzione ufficiale).

163. Art. 2(e), ibid. (traduzione ufficiale). 164. Art. 15, ibid. (traduzione ufficiale).

I primi due motivi di protezione sussidiaria corrispondono ai motivi tradi-zionali relativi al non-refoulement come previsto dal diritto internazionale dei diritti umani, anche se la limitazione prevista al refoulement nel Paese di origine, e non anche a Paesi terzi dove l’individuo può essere a rischio, significa che la tutela di protezione sussidiaria per la tortura e i trattamenti inumani o degradanti è inferiore rispetto alla protezione offerta dal diritto internazionale (cfr. il capitolo terzo). Il terzo motivo corrisponde agli argo-menti previsti dalla Convenzione sui rifugiati OUA e dalla Dichiarazione di Cartagena per la protezione dei rifugiati (vedi sopra). È stato interpre-tato dalla Grande Camera della Corte Europea di Giustizia nel senso che “l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”.165 Inoltre, la Corte ha precisato che “l’esistenza di una siffatta minaccia può essere consi-derata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato Membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.”166

È importante sottolineare che ci sono molte situazioni, riguardanti persone a cui sono state riconosciute forme complementari di protezione dalle autorità nazio-nali, che rientrerebbero nella definizione di rifugiato della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, come correttamente intesa. L’ACNUR ha fornito almeno tre esempi, riguardanti le persone:

ƒ che temono di subire delle persecuzioni da parte di privati e che sono richie-denti asilo in Paesi dove non viene riconosciuto lo status di rifugiato per questo tipo di persecuzione;

ƒ che sfuggono dalle oppressioni provenienti dalle zone di conflitto e che vengono riconosciute vittime di violenza indiscriminata, quando, in realtà, il conflitto o la violenza è radicata in uno dei motivi previsti dalla Convenzione;

165. Meki e Noor Elgafaji c. Staatssecretaris van Justitie, CEG, CG, Caso C-465/07, Sentenza del 17 Febbraio 2009 (traduzione ufficiale).

ƒ che soffrono persecuzione fondata sul genere o sull’orientamento sessuale e dove lo Stato non li riconosce come validi motivi in base alla Convenzione.167

L’elenco non è completo, tuttavia dimostra che, in molte situazioni, la protezione complementare può essere usata o abusata per eludere gli obblighi dello Stato ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. In questi casi, il Comitato Esecutivo dell’ACNUR ha stabilito che le persone dovrebbero essere riconosciute come rifu-giati secondo la Convenzione di Ginevra sui rifurifu-giati e che le forme complementari di protezione non dovrebbero essere usate in modo pregiudizievole alla protezione convenzionale.168

L’Unione Europea, per esempio, ha scelto di garantire un trattamento meno favore-vole alle persone che hanno ricevuto una “protezione sussidiaria”, come l’UE chiama la protezione complementare, rispetto ai rifugiati (vedi, riquadro n. 6). Ciò non impedisce di argomentare presso un tribunale nazionale che le persone soggette a protezione complementare abbiano diritto alle stesse garanzie dei rifugiati.169

In effetti, se uno Stato non riconosce come rifugiato una persona che soddisferebbe i requisiti per lo status di rifugiato previsti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalle linee guida dell’ACNUR, accordandogli, invece, una forma complementare di protezione, lo priverebbe di quei diritti e di quelle garanzie fornite ai rifugiati in evidente violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Inoltre, nelle situazioni in cui la mancata applicazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati riguarda casi di specifiche forme di persecuzione basate sul genere o il sesso od altre forme di persecuzione che hanno un impatto predominante sulle donne (come, ad esempio, la persecuzione proveniente da privati), il riconoscimento della più debole forma complementare di protezione può violare il principio del divieto di discriminazione nel godimento del diritto di asilo170 e nel diritto alla pari tutela legale,171 secondo il diritto internazionale dei diritti umani.

Le persone titolari della protezione complementare devono beneficiare delle garanzie per gli stranieri previste dal diritto internazionale dei diritti umani.172 In tale proposito, il Comitato Esecutivo dell’ACNUR ha incoraggiato gli Stati “a

conce-167. Vedi, Forme complementari di protezione: La loro natura e relazione con il regime di protezione internazionale del rifugiato, ACNUR, op. cit., nota n. 140, par. 8.

168. Vedi, Conclusione n. 103, ACNUR, op. cit., nota n. 141, parr. (b) e (k).

169. Per quanto riguarda giù Stati Membri dell’UE, ciò si evince anche da un’interpretazione della Direttiva UE sulle Qualificazioni che dispone solo di standard minimi e non previene gli Stati dal garantirne di superiori (cfr. artt. 3 e 4 della Direttiva).

170. Art. II in combinato disposto con l’art. XXVII DADDU; art. 1.1 in combinato disposto con l’art. 22.7 CADU; art. 2 in combinato disposto con l’art. 12.3 CADUP; art. 4.2(g), Protocollo alla CADUP sui Diritti delle Donne in Africa.

171. Art. 26 PIDCP; art. 15.1 CEDCD; art. 24 CADU; art. 3 CADUP; art. 8, Protocollo alla CADUP sui Diritti delle Donne in Africa; art. 1 del Protocollo 12 CEDU (ratificato da solo 18 Stati al 9 febbraio 2011)

172. Vedi, Conclusione n. 103, ACNUR, op. cit., nota n. 141, par. n. Vedi anche, Ruma Mandal, op. cit., nota n. 140, pag. xiii.

dere forme complementari di protezione alle persone che ne abbiano bisogno, e a prevedere il massimo grado di stabilità e certezza nel garantire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tali persone senza discriminazione, consi-derando i rilevanti strumenti internazionali e prestando la dovuta considerazione all’interesse superiore del bambino e ai principi di unità familiare”.173

Con riguardo alle procedure per determinare se una persona abbia diritto alla prote-zione complementare, il Comitato Esecutivo dell’ACNUR ha indicato l’istituprote-zione di una procedura completa per valutare sia lo status di rifugiato sia i bisogni di altre forme di protezione, evitando in tal modo che la protezione per i rifugiati venga compromessa dalla concessione della protezione complementare.174 Il Comitato Esecutivo dell’ACNUR ha inoltre raccomandato agli Stati di adottare le stesse