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Il diritto al rispetto della vita privata e familiare

Commissione africana sui Diritti Umani e dei Popoli

Capitolo 2: L’espulsione e il rispetto dei diritti umani Questo capitolo esamina i limiti fissati dal diritto internazionale dei diritti umani e

II. L’allontanamento in violazione dei diritti riconosciuti dallo Stato di espulsione

1. Il diritto al rispetto della vita privata e familiare

Il diritto al rispetto della vita privata e familiare è sancito in una serie di trattati sui diritti umani.428 Questo diritto, a differenza del divieto di tortura e dei trattamenti crudeli, inumani o degradanti, può essere soggetto a deroga in casi di emergenza e permette restrizioni al suo godimento purché siano previste dalla legge e attuate in modo proporzionato allo scopo legittimo perseguito, oltre ad essere misure neces-sarie e non discriminatorie in una società democratica.

In funzione del diritto al rispetto della vita familiare, il significato del termine “famiglia” è stato interpretato in senso ampio e sempre più estensivamente dalla giurisprudenza delle corti internazionali e dai tribunali, rispecchiando i cambiamenti

426. Z e T c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 313.

427. Slivenko c. Lettonia, C.edu, GC, Ricorso n. 48321/99, Sentenza del 9 ottobre 2003, par. 95; Üner c. Paesi Bassi, C.edu, GC, Ricorso n. 46410/99, Sentenza del 18 ottobre 2006, par. 59; Onur c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 195, par. 46; A.W. Khan c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 197, par. 31.

dei valori sociali in continuo sviluppo anche nella prospettiva futura. La definizione è stata illustrata in dettaglio nella sezione terza del primo capitolo. Il diritto al rispetto della vita privata volto a impedire la rimozione di un migrante dalla giurisdizione può comprendere una relazione non limitata al nucleo familiare, estendendo la prote-zione ai rapporti personali e sociali. La Corte Europea ha notato che viene protetto “il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani e il mondo esterno […] e talvolta può comprendere gli aspetti dell’identità sociale di un individuo [e che] si deve ammettere che la totalità dei rapporti sociali tra i migranti stabilmente residenti e la comunità in cui vivono rappresentano una parte del concetto di “vita privata” secondo il significato dell’art. 8.”429 Quindi, l’allontanamento di un migrante stabilmente inserito nella società, anche quando non ha sviluppato una vita fami-liare nell’ambito giurisdizionale in cui vive, può costituire un’interferenza nella sua vita privata in quel determinato Paese.

Come è stato richiamato sopra, il provvedimento di espulsione, quando comporta una restrizione nel diritto alla vita privata e familiare, deve essere eseguito in confor-mità alla legge. È richiesto che sia:

ƒ previsto dalla legge nazionale; ƒ accessibile alle persone interessate;

ƒ sufficientemente preciso per consentire agli interessati di prevedere – ad un livello ragionevole ed, eventualmente, con adeguata consulenza – le conse-guenze delle proprie azioni.430

Il provvedimento di espulsione deve anche perseguire uno scopo legittimo. Il mantenimento e l’applicazione del controllo dell’immigrazione costituiscono di per sé uno scopo legittimo per restringere il diritto alla vita privata e familiare,431 come lo sono i motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. Tuttavia, la semplice affermazione che questi obiettivi vengano perseguiti non è sufficiente, ma deve essere indicata l’azione necessaria per raggiungere realmente l’obiettivo.432

La decisione di espulsione deve essere anche necessaria in una società democra-tica, cioè giustificata da una prevalente necessità sociale, e proporzionata allo scopo perseguito. Il requisito della proporzionalità richiede l’esistenza di ragioni rilevanti e sufficienti per adottare quel provvedimento, e la mancata possibilità di adottare una misura meno restrittiva; che misure adeguate siano predisposte contro abusi; e infine, il provvedimento deve essere imposto a seguito di una procedura equa.

429. Üner c. Paesi Bassi, C.edu, op. cit., nota n. 427, par. 59 (traduzione ufficiosa); Onur c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 195, par. 46; A.W. Khan c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 197, par. 31.

430. Onur c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 195, par. 48. 431. Nnyanzi c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 308, par. 76.

Il Comitato sui Diritti Umani ha rilevato che, “nei casi in cui una parte della famiglia deve allontanarsi dal territorio dello Stato Parte mentre l’altra parte avrebbe diritto a rimanere, deve essere valutato se l’interferenza specifica con la vita familiare possa essere oggettivamente giustificata, secondo i seguenti criteri: da un lato, l’impor-tanza dei motivi dello Stato Parte per l’allontanamento della persona interessata; dall’altro lato, il livello di difficoltà che la famiglia e i suoi membri incontra a seguito di tale allontanamento.”433

Nei casi di espulsioni giudiziarie conseguenti a sentenze di condanna per reati di droga o per reati puniti severamente, per esempio, il Comitato è più propenso a ritenere ragionevole il provvedimento di espulsione, anche se ciò potrebbe causare dei disagi notevoli per la famiglia dell’espulso, in particolare, quando il resto della famiglia non si è costituito nel procedimento davanti al Comitato.434 L’espulsione giudiziaria conseguente a condanna penale non costituisce una doppia sanzione, in quanto è da considerarsi un provvedimento di carattere preventivo piuttosto che punitivo.435 Ciononostante, tale decisione sarebbe sproporzionata se fosse “impos-sibile de facto […] continuare la vita familiare” al di fuori del Paese di espulsione.436

Nei casi di espulsioni giudiziarie conseguenti a procedimenti penali, la Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito dei criteri guida da prendere in considerazione nel valutare se un provvedimento di espulsione interferisca con la vita privata e fami-liare, se sia necessario in una società democratica e adeguatamente commisurato allo scopo legittimamente perseguito:437

1. il tipo e la gravità del reato commesso dal ricorrente;

2. la durata del soggiorno del ricorrente nel Paese da cui deve essere espulso; 3. il tempo trascorso dal compimento del reato e il comportamento del

ricor-rente durante tale periodo;

4. la cittadinanza delle persone interessate;

5. la situazione familiare del ricorrente, come, ad esempio, la durata del matri-monio e altri fattori riguardanti l’effettività della vita familiare di una coppia; 6. la conoscenza del reato da parte del coniuge nel momento in cui si è stabilito

il rapporto familiare;

433. Rubin Byahuranga c. Danimarca, CDU, op. cit., nota n. 331, par. 11.7 (traduzione ufficiosa); Madafferi e Madafferi c. Australia, CDU, Comunicazione n. 1011/2001, Decisione del 26 agosto 2004, par. 9.8; Omojudi c. Regno Unito, C.edu, Ricorso n.1820/08, Sentenza del 24 novembre 2009.

434. Ibid., par. 11.8.

435. Üner c. Paesi Bassi, C.edu, op. cit., nota n. 427, parr. 54 – 58.

436. Amrollahi c. Danimarca, C.edu, Ricorso n. 56811/00, Sentenza dell’11 luglio 2002, parr. 36-44 (traduzione ufficiosa); Sezen c. Paesi Bassi, C.edu, Ricorso n. 50252/99, Sentenza del 31 gennaio 2006.

7. l’esistenza di bambini derivanti dal matrimonio, e la loro età;

8. la gravità delle difficoltà che il coniuge si troverà probabilmente ad affrontare nel Paese in cui il ricorrente deve essere espulso;

9. il benessere e l’interesse superiore del fanciullo, e, in particolare, la gravità delle difficoltà che i figli del ricorrente potrebbero incontrare nel Paese di espulsione; e

10. la stabilità dei legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospitante e con il Paese di destinazione.438

In relazione alla durata del soggiorno, la Corte ritiene che “più a lungo una persona è stata residente in un Paese particolare, maggiori sono i legami con quel Paese e rispettivamente più deboli i legami con il Paese di cittadinanza.”439 Un’attenzione particolare dovrebbe essere data alle situazioni in cui gli stranieri hanno trascorso la maggior parte, se non tutta, la loro infanzia nel Paese ospitante, dove sono stati cresciuti ed hanno ricevuto un’educazione.440 La Corte ha inoltre rilevato una violazione dell’art. 8 quando l’effetto combinato e la mancata coordinazione dell’e-spulsione con la restrizione della libertà personale e le procedure di ingresso hanno impedito di sviluppare i legami familiari.441

Inoltre, la Commissione Africana sui Diritti Umani e dei Popoli ha dichiarato che la persona soggetta a un provvedimento di espulsione, a causa del quale viene sepa-rata dai suoi familiari, deve ricevere un ragionevole lasso di tempo per i preparativi della partenza e per mantenere i contatti con gli altri membri della famiglia. Nel caso Kenneth Good c. Repubblica di Botswana, la Commissione ha costatato che il tempo di cinquantasei ore concesso al padre, che ha dovuto lasciare la figlia, era “chiaramente inadeguato per prendere accordi familiari sufficienti” e, pertanto, in contrasto con i diritti familiari previsti dall’art. 18 della Carta africana sui diritti umani e dei popoli.442

438. I numeri sono aggiunti. Non è implicita alcuna gerarchia. Sulle prime applicazioni di questo principio, vedi Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, C.edu, op. cit., nota n. 43.

439. Üner c. Paesi Bassi, C.edu, op. cit., nota n. 427, par. 58 (traduzione ufficiosa); Konstatinov c. Paesi Bassi, C.edu, op. cit., nota n. 195, par. 49.

440. Nel caso di un cittadino algerino condannato per un reato penale che doveva essere espulso dalla Francia verso il suo Paese natale, la Corte ha ritenuto la decisione non proporzionata, perché il ricorrente era sordomuto ed capace di raggiungere un seppur minimo equilibrio psicologico solo con la sua famiglia i cui membri erano cittadini francesi con nessun legame con l’Algeria: Nasri c. Francia, C.edu, Ricorso n. 19465/92, Sentenza del 13 luglio 1995, parr. 41 e 46.

441. Ciliz c. Paesi Bassi, C.edu, op. cit., nota n. 196. La Commissione Africana sui Diritti Umani e dei Popoli ha anch’essa ritenuto che una deportazione illegale violava il dovere dello Stato di proteggere ed assistere la famiglia: vedi, Amnesty International c. Zambia, Comm.ADUP, Comunicazione n. 212/98, 25a Sessione Ordinaria, maggio 1999, par. 51; Modise c. Botswana, Comm.ADUP, Comunicazione n. 97/93, 28a Sessione Ordinaria, 23 ottobre – 6 novembre 2000, par. 92.

2. Le espulsioni e i diritti alla libertà di religione, di credo e di