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Altri meccanismi di rideterminazione automatica del prezzo “

3. Le tecniche convenzionali di gestione del rischio “

3.1. Meccanismi convenzionali finalizzati all‟adeguamento o ridetermina-

3.1.2. Altri meccanismi di rideterminazione automatica del prezzo “

Nei contratti di durata sono molto frequenti alcune clausole che sono in grado di contenere il prezzo dei beni in corrispondenza di quantità minime. Si indicano di seguito alcuni meccanismi di gestione del contratto escogitati dall‟autonomia privata105.

Sono diffuse nella pratica le clausole con cui le parti pattuiscono un quantitativo minimo che deve essere acquistato nel periodo di riferimento, secondo il modello di cui all‟art. 1560 c.c. relativo al normale fabbisogno del somministrato106

. Si tratta della clausola del c.d. obbligo di acquisto minimo.

Un altro esempio è costituito dalla c.d. clausola “Take or pay provision”, in base alla quale , l‟avente diritto si obbliga a prelevare il quantitativo minimo o a pagare l‟equivalente rispetto al quantitativo minimo di acquisto fissato nel contratto nei periodi di riferimento. Il meccanismo introduce un‟obbligazione alternativa con cui il somministrato adempie la propria obbligazione acquistando in base a quanto

103

F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., pp. 177 ss.

104

F. MACARIO, Sopravvenienze e gestione del rischio nell‟esecuzione del terzo contratto, cit., pp. 181 ss.

105 Per un‟ampia e più approfondita disamina delle clausole indicate cfr.: F. M

ACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., pp. 245 ss, cui si farà costante riferimento in queste pagine.

106 Ai sensi dell‟art. 1560 c.c. se “l‟entità della prestazione deve determinarsi in relazione al

fabbisogno ed è stabilito un quantitativo minimo, l‟avente diritto alla somministrazione è tenuto per la quantità corrispondente al fabbisogno se questo supera il limite minimo”.

127 pattuito, ma può liberarsi effettuando la prestazione pecuniaria. In tal modo si protegge l‟affidamento della controparte, la quale è incentivata ad effettuare gli investimenti necessari per continuare la prestazione.

Nel caso in cui il fabbisogno non possa essere soddisfatto attraverso il contratto di fornitura principale, è possibile ricorrere ad accordi di riserva ( cfr. le c.d. clausole

Stand by charges).

Un‟altra clausola è la c.d. Walk-away provisions che consente al fornitore di rifiutare l‟ordine e recedere dal contratto, se colui che ha diritto alla somministrazione non ha raggiunto il quantitativo minimo fissato per i periodi di riferimento.

Vi sono clausole che vengono utilizzate per stabilire se il recesso esercitato da una parte sia giustificabile avuto riguardo alla clausola generale della buona fede. Si tratta della c.d. Meeting competition clause,ovvero della clausola con cui le parti subordinano la continuazione del rapporto e degli acquisti alla condizione che il prezzo del fornitore rimanga a livelli competitivi rispetto a quello praticato in media dei fornitori concorrenti. Del tutto simile a quest‟ultima, ma con maggiori garanzie contro la possibilità che si verifichino comportamenti opportunisitici è la Most

favored nation clause. Questa clausola impone ad una delle parti di aumentare o

adattare il prezzo di acquisto sino al livello pagato dalla parte ad altri contraenti in una determinata area geografica. In tal modo si consentono tempestivi adeguamenti del prezzo rispetto ai mutamenti nelle condizioni di mercato che si verificano lungo la vita del contratto.

La c.d. Two part pricing clause è una clausola con cui si stabilisce che una parte del prezzo salga in corrispondenza di quantitativi maggiori, in presenza di un prezzo unitario del bene oggetto di fornitura, alto. Il meccanismo di funzionamento della clausola consente di proteggere gli investimenti della controparte.

Per aumentare la sicurezza della fornitura a garanzia dell‟avente diritto alla somministrazione, le parti possono inserire nel contratto delle clausole c.d. fixed

quantity/fixed price clause. Si ritiene, infatti, che se le parti stabiliscono un prezzo

fisso (salva la possibilità di porre in essere rinegoziazioni dovute alla verifica della desiderabilità dell‟affare) e si accordano per comminare con il risarcimento per

128 equivalente o in forma specifica l‟inadempimento di una parte, si attribuiscono ad una parte adeguati incentivi all‟investimento.

Infine si ricorda il frequente utilizzo delle clausole di esclusiva, ovvero delle clausole con cui le parti si mettono al sicuro dal rischio che si verifichino possibili abusi di hold-up nella misura in cui una o entrambe non possano rivolgersi ad un terzo.

3.1.3. Meccanismi convenzionali che rimettono la determinazione delle prestazioni ad un terzo: l‟arbitraggio

Oltre alle cause di determinazione automatica del prezzo occorre considerare i meccanismi convenzionali con cui si domanda la determinazione della prestazione ad una delle due parti o ad un terzo. In quest‟ultimo caso saremo in presenza di un arbitraggio. L‟ambito interessato è quello della determinazione dell‟oggetto del contratto.

Si ha arbitraggio allorché «il contratto per relationem indica nella valutazione di un terzo, appositamente incaricato, l‟elemento che renderà determinabile l‟oggetto attualmente solo determinabile»107.

Occorre cioè che le parti abbiano affidato al terzo l‟incarico e che egli svolga il proprio compito proprio in relazione a questo.

Le parti possono affidare all‟arbitratore l‟incarico di svolgere la sua valutazione in base all‟equo apprezzamento o al mero arbitrio.

In mancanza di espressa pattuizione tra le parti, il terzo deve procedere con equo apprezzamento, cioè in base a criteri obiettivi, controllabili in base alla motivazione che l‟arbitratore deve esplicitare.

Le parti possono anche stabilire che il terzo proceda secondo mero arbitrio. Questa scelta autorizza l‟arbitratore a decidere anche con valutazioni che non seguono un percorso logico e razionale.

Se la determinazione deve essere fatta con equo apprezzamento, può essere impugnata qualora sia manifestamente iniqua o erronea.

107 V.R

129 Se la determinazione deve essere fatta con mero arbitrio può essere impugnata provando la mala fede.

Il riferimento all‟ equità contenuto nel codice deve essere interpretato, considerando che la determinazione equitativa dell‟arbitratore si caratterizza per la sua natura di relatio e per la necessità di una rispondenza della scelta operata dal terzo ai criteri di valutazione fissati dalle parti che hanno conferito preventivamente l‟incarico.

In questa prospettiva la decisione dell‟arbitratore sarà tanto più vicina all‟equo apprezzamento quanto più rispondente all‟aspettativa dei soggetti che gli hanno conferito l‟incarico108

.

L‟ultimo comma dell‟art. 1349 c.c., inoltre, prevede che nel determinare la prestazione “il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia fatto riferimento”. Ciò implica che il terzo arbitratore debba riferirsi a criteri di “normalità economica” e non di “eccezionalità equitativa”109

.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione,110 l‟equo apprezzamento con cui l‟arbitratore procede nell‟espletare il proprio incarico si traduce nella integrazione di un rapporto giuridico patrimoniale incompleto mediante la determinazione della prestazione. Tale determinazione deve essere effettuata “secondo un criterio di equità contrattuale, ispirato alla ricerca di un equilibrio economico, di un rapporto di corrispettività e proporzionalità mercantile. Come, in situazioni già affette da squilibrio, l'equità contrattuale è chiamata a svolgere una funzione riequilibratrice (mediante la riconduzione ad equità del contratto: ad es. artt. 1450, 1467 c.c.), così, in via preventiva, la determinazione della prestazione con equo apprezzamento da parte dell‟arbitratore è volta ad assicurare, nel momento del completamento del contenuto del contratto, l'equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte, la perequazione degli interessi economici in gioco”.

In base a questa configurazione l‟equo apprezzamento, e in ciò si distaccherebbe dal mero arbitrio, “non si risolve in valutazioni latamente discrezionali, in quanto tali

108

CRISCUOLO, in Enc. del diritto, Aggiorn., 2000, p. 60.

109 Cfr. ancora C

RISCUOLO, op. ult. cit., che richiama S. RODOTÀ, Quale equità, in L‟equità, Milano, 1975, p. 52.

130 insindacabili, bensì in valutazioni che sia pur scontando un certo margine di soggettività, sono ancorate a criteri obbiettivi, desumibili dal settore economico nel quale il contratto incompleto si iscrive (come è dato desumere dal riferimento alle condizioni generali della produzione di cui al comma 3), in quanto tali suscettivi di dare luogo ad un controllo in sede giudiziale circa la loro applicazione”111

.

111

Cass. 30 giugno 2005 n. 13954, cit.

Di particolare rilievo si presenta anche l‟approfondimento della Corte in ordine alla distinzione dell‟arbitraggio rispetto alla figura giurisprudenziale della perizia contrattuale. Si riportano di seguito, i passaggi più significativi.

“[…] Presenta taluni aspetti che la rendono assimilabile all'arbitraggio la perizia contrattuale. […] Ciò che distingue l'arbitraggio dalla perizia contrattuale è il criterio di valutazione al quale debbono rispettivamente attenersi l‟arbitratore nell'arbitraggio, e l'arbitro-perito nella perizia contrattuale.

Come già rilevato, l‟arbitratore è chiamato ad esprimere una valutazione ispirata al criterio dell'equità mercantile e volta a perseguire la perequazione degli interessi in gioco ricercando la giustizia immanente del contratto.

L‟arbitro-perito non è in alcun modo chiamato a compiere valutazioni ispirate alla ricerca dell'equilibrio economico tra prestazioni contrapposte, secondo un criterio di equità mercantile, ma deve attenersi a norme tecniche, ai criteri tecnico-scientifici propri della scienza, arte, tecnica o disciplina nel cui ambito si iscrive la constatazione, l'accertamento, la valutazione che è stato incaricato di compiere”.

La Cassazione esclude “nel caso di perizia contrattuale, l‟esperibilità della tutela tipica prevista dall‟art. 1349.

L‟impugnazione della determinazione dell‟arbitratore per manifesta iniquità presuppone una determinazione compiuta con equo apprezzamento, in vista del perseguimento dell'equilibrio economico tra le prestazioni: solo una valutazione condotta secondo criteri equitativi può sconfinare nella iniquità, qualora realizzi una rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte. Ed una valutazione siffatta è propria dell'attività dell‟arbitratore, in sede di arbitraggio, mentre è del tutto assente nell'attività dell'arbitratore-perito, in sede di perizia contrattuale.

L‟arbitratore-perito non compie valutazioni discrezionali ispirate a criteri equitativi, ma si limita ad applicare norme tecniche, ad utilizzare criteri tecnico-scientifici obbiettivi. La determinazione dell‟arbitratore-perito non può, per sua intrinseca natura, essere equa o iniqua, ma soltanto esatta o inesatta secondo i parametri tecnici applicati.

Alla perizia contrattuale non può pertanto applicarsi l'impugnazione, prevista dall'art. 1349, per manifesta erroneità o iniquità della determinazione del terzo, trattandosi di rimedio circoscritto all'arbitraggio, che presuppone l'esercizio di una valutazione discrezionale, di un equo apprezzamento secondo criteri di equità mercantile. ed è quindi inconciliabile con l'attività strettamente tecnica dell‟arbitratore-perito.

Il sistema delle impugnazioni esperibili nei confronti della determinazione dell‟arbitratore-perito va quindi desunto esclusivamente dalle regole generali del codice civile che determinano le cause di invalidità dei negozi giuridici. La perizia contrattuale potrà quindi essere impugnata soltanto nel caso di errore, dolo o violenza”.

Significative le considerazioni di un‟illustre dottrina che sul punto ha osservato quanto segue. «La giurisprudenza distingue l‟arbitraggio rispetto alla perizia contrattuale quale accertamento tecnico che le parti deferiscono ad un terzo per determinare un elemento della prestazione dedotta in contratto. In realtà non sembra che la perizia contrattuale costituisca un‟autonoma figura, in quanto il carattere tecnico dell‟operazione deferita al terzo non toglie che l‟atto sia comunque diretto a determinare il rapporto contrattuale altrui o a comporre la controversia. Nel primo caso si tratterà di un arbitraggio, nel secondo di un arbitrato irrituale.

La figura della perizia contrattuale è richiamata spesso nelle ipotesi in cui le parti stabiliscono preventivamente che l‟importo di un indennizzo sarà determinato da un esperto o collegio di esperti. Qui si avverte come l‟atto del perito incida direttamente – per la preventiva accettazione delle parti – sul rapporto contrattuale e abbia quindi il significato e la natura del l‟arbitraggio ».Così. M.BIANCA,

131 Si consideri che anche con l‟arbitrato le parti si affidano all‟intervento di un terzo. In questa ipotesi, però, l‟attività svolta dal terzo sarà di tipo processuale e non negoziale, in quanto all‟arbitro è demandato il compito di risolvere i conflitti insorti in ordine all‟adeguamento del contratto112

.

La giurisprudenza113, sottolineando la distinzione rispetto alla perizia contrattuale, ha precisato che con l‟arbitrato “rituale o irrituale le parti tendono (in diversi modi) alla definizione di una controversia giuridica”, mentre l‟arbitraggio ha “ad oggetto l‟incarico di determinare uno degli elementi del negozio in via sostitutiva della volontà delle parti”.

3.1.4. Meccanismi convenzionali che rimettono la determinazione delle prestazioni ad una parte: ius variandi

Le parti possono inserire nel regolamento contrattuale clausole che conferiscono ad una parte il potere di modificare unilateralmente l‟efficacia di un contratto. Si tratta del c.d. ius variandi che consente ad un contraente di incidere in modo significativo sull‟accordo contrattuale114

.

La clausola attribuisce alle parti la possibilità di configurare un equilibrato meccanismo che contempera in modo ragionevole gli interessi delle parti e «segnatamente l‟interesse della parte che in apparenza lo subisce». Al contempo,

112 Cass., sez. II, 26 aprile 2002, n. 6087 ha tracciato una distinzione tra arbitrato e perizia

contrattuale rilevando quanto segue: “È configurabile un arbitrato irrituale quando la volontà delle parti è diretta a conferire all‟arbitro il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici mediante una composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o mediante un negozio di mero accertamento, riconducibili alla volontà delle parti, mentre è configurabile una perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, non già la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva”.

113

Cassazione sez. I, 29 ottobre 1999, n. 12155. La Suprema Corte ha ritenuto nullo il compromesso “con il quale si demandi agli arbitri la decisione in ordine ad una questione tecnica anziché ad un rapporto giuridico (nella specie, la Cassazione , decidendo nel merito, ha dichiarato la nullità del lodo per nullità della clausola arbitrale che aveva demandato ad un collegio arbitrale la rinnovazione della verifica, già demandata in prima istanza ad una commissione prevista dal contratto, dell‟esito della sperimentazione realizzata da uno dei contraenti e dell‟idoneità dei suoi risultati a giustificare la realizzazione di un impianto industriale e l‟avviamento della produzione)”.

114 Proprio questa è la ragione per cui nessuna clausola legittima in via generale lo ius variandi a

132 però, l‟inserimento nel testo contrattuale di tale clausola crea un rischio elevato di esporre un contraente al mero arbitrio di controparte115.

In base a questo aspetto una parte della dottrina ha dedotto la illiceità della clausola per contrarietà all‟ordine pubblico. Si sono posti a fondamento di questa tesi alcuni indici normativi che di seguito si enunciano.

Le clausole che introducono nel contratto uno ius variandi, nonostante presentino indubbi aspetti di onerosità, non sono inserite all‟interno dell‟elenco di cui all‟art. 1341 c.c., ovvero di quelle clausole considerate dal legislatore particolarmente onerose per una parte e che pertanto necessitano di specifica approvazione per iscritto per produrre effetti. Se ne potrebbe dedurre la nullità, secondo un orientamento avallato anche dalla Cassazione. E, d‟altra parte, la espressa previsione nel nostro ordinamento giuridico del rimedio della nullità nei confronti di clausole volute dalle parti, esprime la volontà di difendere l‟autonomia privata e la libertà contrattuale anche contro se stessa116.

La liceità in linea generale delle clausole di ius variandi potrebbe invece dedursi in base ad un ragionamento a contrario, che prende le mosse da alcune previsioni normative contenute nelle discipline speciali117.

In tal senso l‟art. 33 comma 2 let. m) del Codice del consumo costituisce un indice significativo della legittimità dello ius variandi convenzionale. Dalla norma in commento, infatti, si deduce che non si presume vessatoria, e dunque è astrattamente valida118, la clausola che consenta al professionista di mutare il contenuto del contratto in presenza di un “giustificato motivo” che sia stato “indicato nel contratto stesso”.

Nei rapporti di subfornitura l‟art. 6 L. 192/‟98 prevede la nullità del patto tra subfornitore e committente che “riservi ad uno di essi la facoltà di modificare

115 V.R

OPPO,Il contratto, cit., p. 557.

116

V.ROPPO, Il contratto, cit., p. 557.

117

Per quanto concerne l‟esercizio dello jus variandi da parte della pubblica amministrazione si veda Coll. Arb., 23 dicembre 1986 in Arch. Giur. oo. pp., 1987, p. 1281 secondo cui “Lo jus variandi può essere validamente esplicato dall‟amministrazione soltanto attraverso gli organi cui è dalla legge devoluta l‟espressione del potere contrattuale; pertanto, resta esclusa da tal ambito la direzione dei lavori i cui compiti risultano circoscritti alla rappresentanza tecnica dell‟amministrazione ed al controllo della regolare esecuzione dei lavori e della loro rispondenza ai progetti originari ed ai preventivi di spesa”.

118 A. G

133 unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura”119

. La norma dunque pone un divieto non generale, ma specifico, da cui si può dedurre la liceità in via di principio delle suddette clausole.

Argomenti si traggono anche dall‟art. 2:102 dei Principi di diritto europeo dei

contratti che, «sulla scia del § 315 BGB», consente ad una parte di attribuire

all‟altra il potere di determinare l‟oggetto della prestazione. La disposizione, sebbene concerna la fase formativa del contratto e dunque non pone in rilievo lo ius variandi, si rivela comunque significativa perché indice «di una più generale tendenza a superare il dogma della equiordinazione delle parti nella determinazione del contenuto del contratto»120.

Occorre in ogni caso porre dei limiti all‟esercizio dello ius variandi.

In primo luogo la possibilità rimessa ad una parte di modificare unilateralmente il contratto non può incidere su elementi essenziali del negozio. Altrimenti si dovrebbe ritenere che l‟oggetto del contratto è indeterminato. Sul punto è significativo che in tema di determinazione dell‟oggetto del contratto da parte del terzo, si preveda che le parti non possano attribuire ad un terzo il potere di determinare integralmente la prestazione senza indicare almeno qualche elemento utile alla sua identificazione121.

Si è individuato un limite all‟esercizio dello ius variandi nella clausola generale di buona fede nell‟esecuzione del contratto, e più in generale nella figura dell‟abuso del diritto, da intendere come divieto di esercitare un diritto derivante dal contratto stesso (lo ius variandi) per uno scopo diverso da quello per cui tale diritto è preordinato122. E‟ facile comprendere come il diritto di modificare il contratto rimesso unilateralmente ad una parte possa essere esercitato per fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli cui il diritto era preordinato.

119

Si precisa, inoltre: “Sono tuttavia validi gli accordi contrattuali che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura”.

120

L.NIVARRA, Jus variandi del finanziatore e strumenti civilistici di controllo, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 466 nota 3.

121 Cfr. A. G

ORGONI, sub art. 33 comma 2, lettera m), cit., che richiamaV.ROPPO,Il contratto, cit., p. 351 e C. M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2000, p. 330 ed ivi quanto di seguito sostenuto dall‟Autore in relazione alla determinazione del terzo: “è, comunque, una determinazione parziale” altrimenti si avrebbe “un ingiustificato assoggettamento del contraente al potere altrui in violazione del principio della parità reciproca”. Le parti devono determinare direttamente “la causa del contratto e la natura delle principali prestazioni”.

134 Sulla base delle considerazioni svolte, occorre distinguere, si osserva, in base a rapporti e interessi diversi.

Si è rilevato come lo ius variandi si giustifichi proprio e soprattutto quando «la materia del contratto è fluida, soggetta ad evoluzioni e sopravvenienze che possono richiedere aggiustamenti successivi nell‟interesse comune dei contraenti».

E d‟altra parte la liceità dello ius variandi si modella sulla base dell‟interesse coinvolto.

Si consideri in tal senso che se il potere di modificare unilateralmente il contratto è attribuito nell‟interesse di controparte, la clausola dovrà considerarsi senz‟altro lecita. Se, invece, il potere è attribuito nell‟interesse della stessa parte che è autorizzata ad esercitarlo, la valutazione in ordine alla liceità del medesimo comporta la necessità di verificare in concreto i limiti che sono posti a quel potere e se questi si presentano in modo tale da contenere l‟arbitrio del titolare. Solo in quest‟ultimo caso