L’analisi della bibliografia internazionale evidenzia una difformità lessicale nell’uso dei termini con i quali si indicano i migranti oggetto di questa discussione. Le espres- sioni “rifugiato ambientale”, “eco/migrante”, “migrante ambientale”, “migrante am- bientale forzato”, “rifugiato climatico”, “sfollato ambientale”, etc., pur riferendosi ad individui che migrano, indicano situazioni di partenza o status giuridici diversi per i quali, però, ancora non esiste una considerazione univoca comune. L’espressione "rifu- giato ambientale" fu inizialmente proposta dal noto ricercatore del Worldwatch Insti- tute, Lester Brown, nel 19762
, e da allora si è assistito ad una proliferazione di termini. Anche nel Rapporto dell’United Nation Development Program (UNEP) del 1985, Essam El-Hinnawi considera ampiamente il fenomeno delle migrazioni ambientali ed utilizza l’espressione “rifugiati ambientali”.
L’International Organisation for Migration, ad esempio, opta per l’espressione “mi- granti ambientali” e propone la seguente definizione: «I migranti ambientali sono per- sone o gruppi di persone che, a causa di improvvisi o graduali cambiamenti nell’ambiente che influenzano negativamente le loro condizioni di vita, sono obbligati a lasciare le proprie case, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente, e che si muovono all’interno del proprio paese o oltrepassando i confini nazionali» ed individua tre tipologie di migranti ambientali:
- Environmental emergency migrant: persona che migra temporaneamente a causa
di un disastro ambientale quali ad esempio uragani, tsunami, terremoti, etc.;
- Environmental forced migrant: persona costretta a partire a causa del deteriora-
mento delle condizioni ambientali, quali deforestazione, salinizzazione delle ac- que dolci, etc.;
- Environmental motivated migrant detta anche environmentally induced economic
migrant: chi sceglie di migrare in risposta a problemi che si vanno intensifican- do, come ad esempio chi parte in risposta alla diminuzione della produttività agricola causata dalla desertificazione.
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45 Le migrazioni ambientali: prime riflessioni geografiche
Il Parlamento Europeo, considerando il fenomeno delle migrazioni ambientali un fenomeno che interesserà l’intero continente nel prossimo futuro e dovrà quindi neces- sariamente essere affrontato sia da un punto di vista scientifico che politico, in uno studio del 2011 ha proposto di utilizzare l’espressione più generale “Environmentally induced migration” per indicare l’intero fenomeno ed “Environmentally Induced Displa- cement” per indicare le forme di migrazione forzata causata primariamente dagli stress ambientali. Ovviamente i ricercatori propongono anche di tenere ben distinte le forme di stress temporaneo legate ad eventi improvvisi e le forme permanenti, dovute a cata- strofi di lunga durata, in quanto le due categorie richiedono differenti interventi e meccanismi di protezione umanitaria (European Parliament, 2011).
Fondamentalmente bisogna differenziare tra la migrazione forzata e quella volonta- ria anche se non sempre tale differenziazione è di facile applicazione (Pollice, 2007). Le implicazioni delle due diverse forme di migrazione ambientale sono ovviamente di facile comprensione ed immaginazione, ma è comunque bene ricordare che le migra- zioni ambientali forzate non hanno un adeguato riconoscimento giuridico nella legge internazionale e nei singoli ordinamenti statuali e questa mancanza è ovviamente con- nessa al diverso riconoscimento giuridico che si vuole dare ai migranti evidenziando la differenza tra le forme di migrazione collegate all’ambiente. Cercando di comprendere lo spirito e le motivazioni alla base del variegato dibattito esistente tra i proponenti dell’espressione rifugiati ambientali e i contrari, Morrissey afferma che per i proponen- ti dell’espressione, l’applicazione del termine “rifugiato” a tutte le tipologie di migranti ambientali serve, tra l’altro, ad alimentare una visione quasi apocalittica delle migra- zioni internazionali e spingere verso un numero elevato d’interventi gestionali e di tu- tela sull’ambiente. I governi, anche in risposta alle richieste da parte di una popolazio- ne sempre più in preda alla paura dell’invasione di migliaia se non milioni di rifugiati, per evitare di dover accogliere anche i rifugiati ambientali, facendo appello alla norma- tiva internazionale che tutela i rifugiati, preferiscono impegnarsi in una maggiore tute- la dell’ambiente. La Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo Protocollo Supplemen- tare del 1967 non prevedono delle specificità giuridiche per i rifugiati ambientali quindi, qualora venisse riconosciuto il rapporto univoco cambiamento ambientale (oppure evento catastrofici naturale)-rifugiati ambientali, i governi si troverebbero ob- bligati al riconoscimento dello status e al loro accoglimento all’interno dei territori nazionali. Il problema, ovviamente, è molto complesso, anche perché se il numero di rifugiati si allargasse enormemente, i finanziamenti disponibili per la categoria andreb- bero suddivisi tra molti più richiedenti inficiando i risultati.
In ambito europeo, nel Glossario Migrazione e Asilo pubblicato dall’European Migra- tion Network per individuare un lessico comune al quale fare riferimento si sottolinea, ad esempio, la differenza tra “sfollato per motivi ambientali” (Environmentally displaced person), “rifugiato per motivi ambientali” (Environmental refugee) e “migrante per mo- tivi ambientali” (Environmentally-driven migrant) (2011) evitando una definizione u- nivoca.
I migranti ambientali definiti come “sfollati” sono persone costrette a spostarsi all’interno del proprio Paese o all’estero a causa di conflitti e/o disastri naturali o pro- vocati dall’azione antropica. Se gli sfollati non varcano la frontiera del loro Stato
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d’origine rimanendone cittadini, mantengono tutti i diritti connessi ma, qualora i ri- spettivi governi e le autorità locali non si occupassero del problema migratorio interno, potrebbero non vedersi riconosciuto uno status giuridico specifico.
Molti diritti e sistemi legislativi sono stati individuati a tutela degli sfollati, un pri- mo esempio era stato fornito dai Principi Guida sullo Sfollamento (Guiding Principles on Internal Displacement) adottati nel 1998 dalla Commissione ONU sui Diritti U- mani. Obiettivo era quello di fissare uno standard internazionale per accordare prote- zione legale e umanitaria agli sfollati interni in tutte le fasi del processo di sfollamento. I principi guida individuano anche i disastri naturali come fattore di sradicamento dalla propria casa: “persons forced or obliged to flee or leave their homes or places of habitual resi- dence for an array of reasons, such as conflict and civil strife as well as natural disasters”. Ma, come evidenzia Terminski Bogumil, nel documento si propone una generalizzazione delle cause mentre sarebbe stato utile e necessaria una classificazione maggiormente inci- siva capace di evidenziare le specificità delle cause ambientali (Bogumil, 2012).
Il documento ONU, privo di alcun valore vincolante, era una specie di sintesi del quadro delle norme relative al trattamento umanitario degli sfollati interni. Diversi Paesi (tra i quali Liberia, Uganda, Angola, Peru e Turchia) fanno riferimento a questo quadro normativo. Attualmente, Svezia e Finlandia sono gli unici due membri del- l’Unione ad aver incluso i “migranti ambientali” (così vengono chiamati) nelle rispetti- ve politiche migratorie nazionali (Aliens Act). Australia e Nuova Zelanda, maggiore area di destinazione dei migranti provenienti dalle isole Tuvalu e Kiribati (isole che rischiano di essere sommerse), discutono sulla necessità di prevedere forme di acco- glienza anche per i migranti ambientali interessati da disastri ambientali di lungo pe- riodo (Legambiente, 2012).