Rispetto ai migranti sussistono però anche politiche (europee e italiane) repressive e di contenimento che finiscono per tradursi finanche in confinamento, isolamento e reclusione. Si tratta di un fenomeno di territorializzazione forzata dei migranti: di ter- ritorialità sorvegliata e impedita che si esplicita in luoghi particolari (Cattedra, Gover- na, Memoli, 2012). Questi sono in realtà dei “contro-luoghi” di residenza più o meno temporanea e controllata, cioè dei luoghi distinti e opposti dagli altri luoghi ordinari della società e della città. Possiamo quasi considerarli come delle “eterotopie”, dove vengono collocati individui dal comportamento ritenuto deviante o pericoloso, in que- sto caso migranti definiti come “clandestini”. Ma non si tratta più solo di eterotopie ormai “classiche” e istituzionalizzate, come le carceri, le case di riposo, le cliniche psi- chiatriche ecc., individuate e studiate da Michel Foucault (1994); si tratta in questo caso di eterotopie sincroniche e congiunturali al processo di controllo dei movimenti migratori, che interessano l’Italia e più in generale il Mediterraneo. Tali movimenti e flussi sono ritenuti dai governi e dalle società dominanti (e non solo del Nord del Me- diterraneo) come possibile minaccia per la sicurezza e l'ordine stabilito di queste stesse società, oppure sono sfruttati nel loro controllo come opportunità di merce di scambio negli accordi euro-mediterranei da parte dei governi partners del Sud.
Classificare i migranti come clandestini e introdurre il reato di clandestinità (come è stato fatto in Italia con la legge n. 94 del 15 luglio 2009)7, non ha fatto altro che produrre e incrementare, dal punto di vista spaziale, la formazione di nuovi insedia- menti di controllo nelle città o nel loro hinterland. Certo, congiunture particolari co- me la caduta del muro di Berlino e gli effetti geopolitici che ne conseguono, o le recen- ti rivoluzioni della primavera araba del 2011 o ancora le guerre civili come quelle della Siria, del Sudan, dell’Eritrea, possono accelerare o amplificare i movimenti. Così, gli arrivi in massa di migranti, non adeguatamente gestiti, o volutamente mal gestiti dalle 7
93 Spazi di “nuova Italia”
autorità nazionali, possono condurre al parossismo che un'isola intera, come è stato nel caso di Lampedusa nell’estate del 2011 e poi successivamente, nell’ottobre del 2013, si trasformi per alcuni mesi in un luogo temporaneo di rifugio e di accoglienza-forzata.
Questi luoghi, seguendo e adattando sempre il pensiero di Foucault, sonoanche delle “eterocronie”, poiché “rompono il tempo” ordinario. E ciò vale tanto nei campi profughi e nei diversi luoghi di partenza per l'altrove come nei cosiddetti centri di “accoglienza” all'arrivo, dove s’instaura un regime di sospensione del tempo, imperniato sull’attesa. Da una parte i migranti attendono il momento opportuno per partire su una pateras e attra- versare il Mediterraneo, come fanno gli harragas – alla lettera, “quelli che bruciano (le frontiere)”– a partire dalle spiagge dei paesi del Maghreb, dell'Egitto o della Turchia. In un anno, sono in media 60.000 le persone che attraversano in questo modo il Mediter- raneo e, dal 1988, circa 20.000 migranti vi sarebbero annegati, secondo Fortess Europe (maggio 2014)8
. Diversamente, una volta arrivati dall'altra parte, i migranti considerati clandestini si ritrovano in permanenza temporanea “forzata” nei diversi luoghi dove ven- gono “accolti” o confinati. Qui essi vivono in attesa di essere “identificati e espulsi”, re- spinti o in alcuni casi accettati. Oppure, i migranti restano in attesa di andare ancora altrove, in un altro paese europeo dove ritrovare familiari o amici emigrati in precedenza, per cui l’Italia è soprattutto uno spazio di transito verso l’altrove.
Queste forme relativamente recenti di insediamento forzato sono di diverso tipo e assumono vari nomi, che cambiano in tempi relativamente brevi, in relazione al muta- re della normativa ufficiale e dell’evolversi delle congiunture. Vale la pena menzionarli brevemente:
- i CARA, sono Centri di accoglienza per richiedenti asilo, ve ne sono 13 distribuiti fra Trapani e Gorizia, soprattutto localizzati nel Mezzogiorno, spesso nei pressi di aero- porti e porti9;
- i CIE, sono Centri di identificazione e di espulsione (già denominati CPTA, Centri di permanenza temporanea ed assistenza), dove ai giornalisti era vietato l’accesso fino al gennaio 2012. Secondo il sito ufficiale del Ministero dell'interno10 sono 10, secondo Fortress Europe sono 17, secondo Medici per i diritti umani sono 13, distribuiti fra Pantelleria e Torino, passando per Crotone, Brindisi, Modena, Milano e Trapani 11.
8
http://fortresseurope.blogspot.com.
9
La loro definizione ufficiale per il Ministero dell’Interno è la seguente: «[s]ono strutture nelle quali viene invia- to e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni lo straniero richiedente asilo privo di documenti di rico- noscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l’identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato». http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/ it/temi/ immigrazione/sottotema006.html.
10
«Tali centri si propongono di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari». Il Decreto-Legge n. 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n. 129/2011, proroga il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri dai 180 giorni (previsti dalla legge n. 94/2009) a 18 mesi complessivi (http://www.interno.it/mininterno).
11
L’oscillazione delle cifre è dovuta al fatto che il Ministero dell’Interno dispone di 13 strutture permanenti, adibite a CIE, a cui si aggiungono 3 strutture provvisorie create nel 2011 (MEDU, 2013).
94 RAFFAELE CATTEDRA –MAURIZIO MEMOLI
Un tempo c'erano anche i CPA (Centri di prima accoglienza), i CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza), i CPT (Centri di permanenza temporanea, divenuti poi CPTA e ancora CIE), dove solo tra il 2005 e il 2006 sono stati detenuti circa 22.000 migranti senza documenti (secondo il Rapporto De Mistura, 2007)12
.
Le varie sigle (italiane e europee dal momento che questo tipo di centri è presente anche in altri paesi)13
traducono, con tutti gli eufemismi del caso e la terminologia mu- tante, un semplice concetto: la temporanea territorializzazione forzata della migrazione (considerata clandestina o irregolare) in luoghi di contenimento.
5. Conclusioni
È possibile costruire una tipologia di spazi di localizzazione del mosaico di un nuo- vo cosmopolitismo urbano? Le esperienze mostrano condizioni di comparabilità tali da consentire una loro definizione maggiormente matura di quella esclusivamente indizia- ria? La tentazione di costruire modelli generali è compatibile con lo studio di un cam- po instabile come quello delle migrazioni e delle loro territorializzazioni? E, infine, è plausibile concettualizzare l’analisi di “un cosmopolitismo della post-modernità” nella griglia di una grammatica urbana (Roncayolo, 1996), in questo caso contrastiva, in grado di comparare situazioni diverse?
«Per gli esseri umani il Caos è, in generale, ricoperto dall’istituzione sociale e dal- l’esistenza quotidiana» (Castoriadis, 2007, pp. 98-99). Le regole che le società si danno, e il contemporaneo succedersi delle pratiche dell’esistenza, costituiscono formalmente l’ordine del caos soggiacente e creano, contestualmente, un «nuovo co- smo» (ibidem), quello appunto delle nuove situazioni “cosmo-polite” che pretendono il riconoscimento del diritto di cittadinanza di tutti gli abitanti e invitano ad altre investigazioni speculative. Chiudendo il nostro rapido percorso di lettura di alcune spazialità urbane confrontate alle realtà migratorie contemporanee, abbiamo propo- sto alcune piste utili per comprenderne i processi; ma, la complessità delle verifiche empiriche e la differenziazione della casistica impone una prudenza che non agevola risposte esaustive a tali domande.
Se da una parte ci pare necessario continuare a investigare in questo senso, dall’altra non possiamo non sostenere l’idea, per quanto determinata dalle sensazioni che perce- piamo come ricercatori e abitanti della città. Si tratta dell’aria cosmopolita che in alcu- ne città (e non in tutte) si respira proprio grazie alla presenza delle comunità immigra- te; dell’urbanità nuova che si nutre dei volti, degli odori, dei suoni che mescolano, tur- bano, arricchiscono le nostre città; delle potenzialità culturali, economiche, politiche che l’incontro tra genti di tante provenienze assegna alle nostre società; delle qualità, varietà e dinamicità che gli spazi urbani acquisiscono e restituiscono nella traiettoria 12
http://www.interno.it/.
13
In Spagna i CETI (Centros de Estancia Temporal de Imigrantes) collocati a Ceuta e Melilla, come anche i CIE (Centros de Internamiento de Extranjeros); in Turchia i Geri gönderme merkezi (alla lettera: Centri di espulsione); in Francia gli oltre 25 Centres de retention administrative, localizzati fra Nizza, Perpignan, Nîmes, Parigi, La Guadalupe e l'isola della Réunion.
95 Spazi di “nuova Italia”
del cosmopolitismo contemporaneo. L’evidenza di tale novità trova ragione negli spazi di incistamento e innesto dei migranti, quanto fragilità e negazione nella drammaticità delle eterotopie di contenimento degli stessi stigmatizzati come clandestini.
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Foto 2 - Celebrazione della Aid al-Fitr
(festa di chiusura del Ramadan) nella Villa Comunale di Napoli (1995).
E
MIGRARE.
SILVIA ARU
Emigrare. I molti chi, dove, come e quando delle mobilità
Emigration is a chronotope where ‘temporal and spa- tial indicatore are fused’ […], indeed where time is frozen in a static place, and where space is becomes ‘charged and responsive to the movement of time’. The emigration chronotope delineates a new spatio-temporal horizon in- habited by images of dispersal and of passage from old times to new times (Fortier, 2000, p. 45).
1. Introduzione
Le storie di mobilità dell’Italia unitaria per lungo tempo sono state storie di emi- grazione. Questa affermazione non vuole né sminuire l’importanza delle migrazioni interne – soprattutto di quelle che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra – né l’incremento dei flussi in arrivo, determinanti per i mutamenti che, in particolar modo negli ultimi trenta anni, hanno ridefinito il profilo sociale, culturale ed economico del paese.
Parlare di emigrazione, ponendo l’accento sul ruolo costitutivo di questo processo per la storia italiana, non significa neanche parlare di un processo concluso o facilmen- te circoscrivibile in date specifiche. I differenti trend emigratori ravvisati dagli studiosi – sia rispetto alla provenienza geografica dei flussi, sia rispetto al profilo socio- economico dei migranti (Audenino, Tirabassi, 2008) – infatti, articolano un quadro dal carattere complesso, più che complessivo, in cui con difficoltà aspetti di tipo terri- toriale (motivi di spinta e di attrazione) e aspetti di tipo sociale (profilo e motivi alla base dello spostamento) possono essere scissi o analizzati come variabili tra loro indi- pendenti.
Così, analisi delle questioni migratorie macro-territoriali e analisi dal taglio micro- sociale trovano entrambe diritto di dimora nella letteratura sul tema, in base alle diffe- renti prospettive adottate dai singoli studiosi e alle metodologie scelte dagli stessi. In base, prima di tutto, alle differenti sensibilità e prospettive teoriche adottate.
Guardando ai prodotti scientifici sull'emigrazione italiana editi nel nostro paese nell'ultimo cinquantennio sarà facile cogliere nel tempo un importante cambiamento paradigmatico. Fino allo scorso decennio, infatti, buona parte delle letture storiografi- che sposavano quale spiegazione del fenomeno emigratorio il “modello espulsivo”, all’interno della cui analisi “[…] l’emigrazione era vista come il fenomeno rivelatore del modo specifico in cui in un paese arretrato come l’Italia si era venuto realizzando nelle […] aree rurali il classico processo di liberazione di forze di lavoro per l’industria” (Ramella, 2003, p. 26). Attualmente, le letture tendono ad essere di lungo corso e me- no rivolte ai soli dictat economici che, in alcune precise congiunture storiche, impor- rebbero a fasce della popolazione indigente, più o meno vaste, di varcare i confini na-
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zionali alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nell’ambito delle nuove analisi gioca un ruolo sempre più di spicco lo studio della mobilità geografica vista come un proces- so endemico della vita sociale, già a partire dalla prima grande ondata emigratoria, quella di fine ottocento, in cui “i movimenti in uno spazio sempre più dilatato che si manifestano […] nelle varie aree del paese si sviluppano in modo esponenziale nelle maglie di quei tessuti sociali che la prevedono e la utilizzano da tempo e che quindi ne consentono e ne favoriscono la generalizzazione” (Ramella, 2003, p. 28).
Così, se da un punto di vista espositivo è più facile seguire la via della scansione temporale delle “ondate” migratorie (par. 2), da un punto di vista concettuale è utile tenere sempre a mente (e come studiosi esplicitare) che le mobilità – in qualsiasi dire- zioni siano rivolte – non rappresentano momenti di “shock demografico” rispetto a una situazione di normale stazionarietà e stabilità delle popolazioni (Signorelli, 2006).
Da un punto di vista metodologico, d’altro canto, una rapida disamina dell’ampia produzione sul tema mostra inoltre come quest’ultimo mobiliti – è proprio il caso di dirlo – differenti strumenti di ricerca e, come loro esito, altrettanto differenti tipi di dati. Le migrazioni ci spingono infatti a interrogare i numeri (statistiche etc.), le storie di vita delle persone, a prendere in carico i quadri socio-economici dei territori di partenza, così come quelli dei territori d’arrivo, a valutare l’impatto delle politiche perseguite dai diffe- renti Stati in tema migratorio e i processi di inserimento dei migranti, che rendono que- sti ultimi parte attiva della cittadinanza dei nuovi territori di residenza, ecc..
I lavori di Krasna, Aledda e Licata, proprio per la diversità delle impostazioni e la ricchezza degli spunti offerti, sono emblematici della varietà degli sguardi che si posso- no gettare sulle emigrazioni. Sono inoltre un ulteriore esempio di quanto importante risulti la contestualizzazione socio-territoriale negli studi legati a processi così centrali per la vita dei singoli e delle società.
Prima di cedere la parola ai contributi della sessione dedicata all’emigrazione italia- na, sembra opportuno interrogare brevemente il “chi, quando, come e perché” del fe- nomeno in oggetto. Le domande risultano chiavi interpretative essenziali per orientarsi nel complesso mondo delle mobilità. Chi emigra? Quando e perché? Dove si dirige? E, potremmo aggiungere, da dove parte?