Le tante Little-Italy apparse nelle città del continente americano dalla fine dell’800, perduta la decisiva funzione residenziale ed espansiva del passato, propongono oggi e mantengono spazialità, ritmi, territorialità solo ispirate alle originarie qualità identita- rie (oggettive quanto soggettive), conservando invece la vivacità estetica di una centra- lità folklorica e immaginifica. Si tratta di spazi mutati che, rinviando a valori patrimo- niali collettivi e a significati delle pratiche comunitarie, si confondono più volte e in tanti casi in territori inerti, che distillano una dimensione a-temporale della memoria del passato; di spazi museali, significativi come spazi-immagine, eppure lontani dalla matrice d’origine non meno che appartenenti alle comunità urbane cui partecipano.
Lo spazio della Little-Italy newyorkese, certamente quello più noto, definito nell’es- perienza originaria della comunità (abitazioni, locali commerciali, ristoranti, caffè e pizzerie, spazi pubblici, cultura, attività economiche e associazionistiche, paesaggio urbano), presenta pratiche, valori e condizioni territoriali, riscontri politici e culturali radicalmente mutati nell’ovvia evoluzione della città, della trama sociale, della crescita e della sostanziale “opacizzazione” degli Italiani divenuti statunitensi e italoamericani. Se la Little-Italy è per antonomasia, vocativamente, indubitabilmente e provocatoria- 2
Il termine incistamento, in patologia, è definito come il «processo difensivo che si determina nell’intimo dei tessuti intorno a un corpo estraneo o a un ascesso e che dà luogo alla formazione di una pseudocisti», mentre in senso figurato fa riferimento all’atto di «Inserirsi, incunearsi dentro a qualcosa in modo stabile e occulto» (Enci- clopedia Italiana Treccani).
88 RAFFAELE CATTEDRA –MAURIZIO MEMOLI
mente, un quartiere “italiano”, essa è almeno parimenti newyorkese e americana, e- spressione di un’Italia d’oltremare esistente quanto “fasulla”, passata e proiettata nel cosmopolitismo newyorkese contemporaneo (Memoli, 2008). Il suo spazio minimo e residuale, invaso a ondate successive da altre etnie, è scenario di uno sdoppiamento tra i significati estetici dell’appartenenza etnica e le pratiche di un luogo ormai caratteriz- zato dalla presenza di asiatici e non solo di italiani d’origine nel frattempo disseminati in tutto il tessuto metropolitano. Tali comportamenti sociali, ma anche gli spazi urba- ni, appaiono pienamente consoni e assorbiti nel modello integrazionista americano che, metabolizzando (con molte incertezze e deviazioni) le aspirazioni delle società del melting-pot, ha accettato una sua versione speculare riaffermando l’appartenenza etnica come prova di identità, di continuità e di forza costitutiva di una società multi e inter- razziale. Gli spazi di originaria “emersione etnica”, a loro volta, hanno assunto in quei contesti il ruolo di presenziare e presentare la memoria della comunità d’origine nell’insieme urbano nonostante la sua diluizione entropica nel corpo sociale.
Dall’altro capo del continente, nelle agglomerazioni di Buenos Aires e San Paolo, come nella concentrazione di Montevideo e Porto Alegre, i segni di una consistenza italiana appaiono ancor più dissipati dalla distribuzione generalizzata nello spazio me- tropolitano. I quartieri di originaria inclusione dei migranti italiani, Barrio Palermo e La Boca a Buenos Aires e Bixiga e Moóca a San Paolo, già da decenni non sono più ita- liani degli altri, nonostante vi si esponga la memoria visuale, la rappresentazione esteti- ca di pratiche di comunità diluite se non celate nel patrimonio identitario e linguistico della città intera (dialettismi d’origine recepiti dall’inglese, dal lunfardo o dal portoghe- se; sapori, pratiche e economie della ristorazione; appartenenze culturali e ostentazioni simboliche; prassi dell’aggregazione politico-associazionistica ecc.). Dei più di venti milioni di abitanti di San Paolo, almeno la metà vanta un antenato di origine italiana, come del resto accade al 60% dei Porteños nella capitale argentina: quale delle due pos- sa essere “la più grande città italiana del mondo”, per numero di abitanti, è difficile a dirsi. Quale si possa effettivamente considerare una città d’Italia è considerazione ancor più azzardata. Certo è che entrambe, grazie all’apporto determinante dell’identità ita- liana nella fase di maggiore crescita, appaiono luoghi di un’urbanità primaziale, pregia- ta, di respiro globale. Nello spazio delle due megalopoli si percepisce il meticciato delle memorie d’Italia e di paesaggi di un presente internazionale fatto di condizioni globali, di avanguardie e di innovazione culturale, di sovrapposizioni iper- e post-moderniste.
Come in America per quelli italiani, così per gli spazi etnici “dell’altrove” nell’Italia contemporanea si replica il “vuoto” dalla comunità d’origine laddove, paradossalmente, ripropongono un “pieno” patrimoniale: nelle case, nelle insegne, nei luoghi, nei nomi, nella memoria permangono rituali confermati nel tempo, per quanto ormai vissuti attivamente da altri, nuovi arrivati e nuovi abitanti. Come in quelle d’America, anche in alcune delle nostre città si compone un’Italia urbana cosmopolita e immaginifica che accoglie, integra, innesta (appunto) le Chinatown e i Bazar Marrakech, il quartiere Eritreo o dell’oriente europeo ecc., che conferiscono un nuovo senso all’urbanità delle città stesse anche grazie all’assegnazione spontanea di denominazioni che si sovrappon- gono alla toponomastica usuale. Così, in alcuni casi, e non in tutti, le comunità “altre” divengono anche in breve tempo consustanziali della vita delle città per esserne parte
89 Spazi di “nuova Italia”
ri-fondante, irrinunciabile della vita comunitaria; in altre ciò accade in maniera molto meno evidente e significativa. Se le comunità meridionali “incistate” nelle città indu- striali del settentrione italiano hanno impiegato più di una generazione per completare il loro “innesto”, alle nuove comunità internazionali presenti nelle grandi aree metro- politane italiane, paiono essere bastati pochi anni per entrare a fare parte dell’imma- gine, della ricchezza, dei linguaggi, dell’urbanità della città. Probabilmente, anche in virtù dell’esperienza precedente (quella dell’incontro con i meridionali d’Italia o, più in generale, con altri cicli migratori), tali città approfittano della memoria dell’incontro, dell’arricchimento dell’accoglienza, della condizione di cosmopolitismo sotteso nei codici urbani e che non troviamo in altri contesti, in altre geografie, in altri tempi.