Personalmente, tra la “badante” ucraina che lavora a Roma, il professionista di Melbourne in vacanza nel Sud-Est asiatico e il nativo dei Caraibi titolare di insegnamento alla Columbia University, continuo a vedere almeno tante significative differen- ze, quante significative somiglianze. Anche, sebbene non solo, per le cospicue differenze tra i modi con i quali ciascuno di loro si relaziona con il contesto; e per le cospicue differenze tra i modi nei quali i differenti contesti si relazionano con loro (Signorelli, 2006, p. 25).
Gli italiani all’estero sono differenziati per origini regionali, status di classe, per tempo di arrivo e luogo di residenza (Fortier, 2000). I principali flussi emigratori di
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Per un’analisi approfondita delle dinamiche in gioco, delle motivazioni al movimento e delle componenti delle migrazioni interne nella congiuntura storica postbellica si rimanda al testo di Primavera (2002).
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Tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta si delinearono quattro flussi migratori principali: tunisini che giungevano in Sicilia dove trovavano impiego come braccianti nella pesca o nell’agricoltura, le donne filippi- ne, eritree, capoverdiane, somale e latinoamericane che lavoravano come domestiche, manovali e edili jugo- slavi (Audenino, Tirabassi, 2008). Ad essi si aggiunsero i flussi di rifugiati politici e di studenti greci, asiatici e africani. Per la prima volta nella storia del paese, nel 1996 i permessi di soggiorno rilasciati superarono il milione (1.095.622); nel 2007 gli immigrati rappresentavano il 5% sul totale della popolazione italiana.
105 Emigrare. I molti chi, dove, come e quando delle mobilità
fine ottocento e del novecento hanno riguardato migranti che presentavano un basso profilo socio-culturale e impegnati, nei nuovi paesi di residenza, principalmente nel settore ferroviario, minerario, nell’industria e nel commercio, molto più raramente in agricoltura, settore lavorativo in cui era occupata la maggior parte dei migranti in Italia prima della partenza (Aru, 2011). Questo, numeri e tabelle alla mano. A partire dagli anni ottanta, in particolar modo dagli anni novanta, si amplia il peso di coloro che emigrano per ricoprire occupazioni di maggior prestigio e dal più alto livello retributi- vo: le emigrazioni dei “professionisti”4.
Alcuni studiosi hanno proposto di individuare come e-migrazione un processo ca- ratterizzato dalla necessità economica (esemplificata dal prefisso “e”) legata alla povertà e al basso profilo socio-culturale del migrante. Tale definizione porterebbe a distingue- re in maniera netta le nuove forme migratorie rispetto a quelle del passato, non per- mettendo di inquadrarle come “emigrazioni” in senso stretto. Al di là delle scelte ter- minologiche per indicare i differenti percorsi migratori, è utile cogliere lo spunto qui offerto per ricordare l'importanza del profilo socio-economico dei migranti per il più ampio processo migratorio. Così, il concetto magistralmente espresso da Sayad: “[o]gni studio sui fenomeni migratori che dimentichi le condizioni d’origine degli emigrati si condanna a offrire del fenomeno migratorio solo una visione al contempo parziale ed etnocentrica […]” (Sayad, 2002, p. 44).
Cambiano i profili dei migranti e, con essi, le opportunità e i canali di inserimento nella società di arrivo (Cresswell, 2008). Pensiamo, ad esempio, al ruolo giocato dalle competenze linguistiche nel decretare i canali e i tempi di integrazione. I migranti con un elevato profilo socio-culturale hanno molto spesso una competenza di base della lingua straniera già prima della partenza e, anche in caso contrario, un grado di istru- zione elevato e incarichi lavorativi qualificati facilitano l’apprendimento della nuova lingua ed emancipano da quella che un tempo era una necessità primaria, ovvero il contatto con i compaesani, corregionali e/o connazionali quale rete di solidarietà che nella maggior parte dei casi non solo era alla base della scelta migratoria, ma garantiva l'inserimento sociale ed economico nel nuovo contesto di vita5
(Aru, 2011).
Non deve apparire semplicistica la periodizzazione appena offerta. Non rappresenta infatti una equivalenza tra un determinato periodo di emigrazione e un (altrettanto) determinato profilo socio-culturale del migrante. Sono sempre esistiti flussi di persone qualificate che hanno attraversato i confini del paese così come è attualmente in atto, dato il momento di grave crisi socio-economica che stiamo vivendo, una ripresa delle emigrazioni di italiani in possesso di un profilo socio-economico non elevato. È però indubbio che la percentuale di coloro che varcano i confini per ricoprire ruoli di re- sponsabilità stia aumentando6, in relazione alla crescente domanda di lavoro specializ- zato che supera quella di lavoro dequalificato, quest'ultimo facilmente reperibile in loco. Al giorno d’oggi, infatti, la stessa crisi generalizzata non rende più così semplice individuare paesi in cui la mancanza di manodopera sia fattore attrattivo per i flussi. 4
Questi ultimi infatti più che alla figura dell’emigrato andrebbero accomunati a quella del cittadino cosmopolita.
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Gli stessi network di migrazione, prima legati principalmente a legami di parentela e compaesanità, sono oggi maggiormente connessi all'ambito lavorativo.
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106 SILVIA ARU
Tra il 1996 ed il 2005, 59.756 laureati hanno lasciato l’Italia. Uno studio condotto per volere dell’Unione Europea nel 2006 ha evidenziato un’altra differenza tra vecchie e nuove migrazioni: tra le ragioni delle attuali migrazioni giovanili le esigenze lavorati- ve, primo motivo di mobilità in epoca precedente, sono state superate da motivi legati alla sfera familiare/affettiva, allo studio e alla qualità della vita (Audenino, Tirabassi, 2008).
La necessità di scavare nei vissuti personali per comprendere l’intricata rete delle cause alla base delle migrazioni è un aspetto che emerge chiaro nei saggi che seguiran- no: in un mondo sempre “più piccolo” e interconnesso, soprattutto in occidente, mo- tivi affettivi, desiderio di emancipazione affiancano, e non sempre in maniera ancillare, le ragioni puramente economiche.