Vi sono tra gli italiani emigrati all'estero quelli che hanno in- terrotto definitivamente i rapporti con l'Italia e di essi, ai fini del- la nostra analisi, si potrebbe tacere, se non per il fatto che ogni tanto dall'Italia partono i tentativi di rimetterli in scena come ita- liani. Si tratta di tentativi sempre strumentali alla valorizzazione non già della loro condizione, ma di interessi settoriali costituitisi all'interno della società italiana, ai quali i “nostri connazionali al- l'estero” possono offrire legittimazioni di vario tipo (Signorelli, 2006, p. 65).
Nel tempo l’inserimento degli italiani nelle società d’arrivo non seguì percorsi uni- voci e interagì fortemente, nei differenti contesti, con i fattori politici, socioculturali ed economici delle aree di arrivo (Audenino, Tirabassi, 2008).
Gli esiti delle migrazioni – che, per il carattere introduttivo del saggio, non potran- no essere approfonditi in questa sede – sono stati fortemente influenzati dalla diversità dei modelli d’immigrazione dei vari Stati; perché forti sono le connessioni che legano la mobilità e le politiche perseguite in tema di migrazione sia dal paese di partenza che da quelli d’arrivo.
Il caso italiano documenta bene questo aspetto. L’intervento pubblico in tema di emigrazione è stato discontinuo come i flussi stessi; da una fase di mera presa d’atto del fenomeno, a un approccio alla problematica con interventi di modesta portata assi- stenziale, ad azioni disorganiche volte alla stipula di accordi con alcuni paesi di desti- nazione dell’emigrazione italiana, fino alla politica pianificatoria del ventennio fascista (Aru, Deplano, 2013) e, in tempi più recenti, alla decisione di dare vita ad una organi- ca politica migratoria che si è concretizzata con le Conferenze nazionali dell’emi- grazione, inaugurate nel 1975.
Sul fronte estero, le politiche adottate ebbero un ruolo determinante nel dirigere, nei differenti momenti storici, i flussi italiani. Un momento di importanti cambiamen- ti nell’iter migratorio è rappresentato dal secondo decennio del secolo scorso quando sempre più lunghe e complesse divennero le trafile burocratiche necessarie per emigra- re, sia in patria che all’estero. Nonostante le restrizioni adottate da vari Stati, durante
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gli anni venti, le emigrazioni italiane, per quanto in calo, rimanevano comunque con- sistenti. Questo dato va ricondotto in parte al fatto che tre importanti paesi di destina- zione – la Francia7
, l’Argentina e il Brasile – in questa fase non perseguirono politiche volte a limitare l’immigrazione. Sono gli anni trenta che condussero quasi tutti i paesi ad adottare, accanto ad un generalizzato protezionismo economico, forti restrizioni all’immigrazione. Tale scelta, diretta conseguenza della crisi mondiale del ventinove, influì sulle migrazioni in vari modi, prima di tutto sui ricongiungimenti familiari. Quando le restrizioni americane all’immigrazione si acuirono, rendendo problematica l’emigrazione circolare maschile, crebbe infatti sia il numero di donne disposte a trasfe- rirsi definitivamente all’estero, sia il numero dei rimpatri. Tra il 1921 e il 1945 rimpa- triarono dagli Stati Uniti e dal Canada ben l’83% di coloro che avevano lasciato il pae- se. Nello stesso periodo, sul fronte italiano, le politiche mussoliniane – seppur volte sempre più a evitare i flussi in uscita (Aru, Deplano, 2013) – avevano condizionato in maniera determinante, anche se indirettamente, sui flussi migratori costringendo alla fuga un numero crescente di dissidenti politici8
. Dal secondo dopoguerra, la forte ri- presa dell’emigrazione fu assolutamente avvallata dal piano politico: fin dal 1946 il governo ravvisò nell’emigrazione la soluzione al problema della disoccupazione e un modo per ridurre le tensioni sociali del paese.
Attualmente l’Italia, con quasi 4 milioni di residenti all’estero, è tra i paesi del- l’Unione Europea a presentare il più alto quantitativo di emigrati, seguito da Portogal- lo, Spagna e Grecia (Audenino, Tirabassi, 2008). L’attuale flusso emigratorio è costitui- to da una media di 46.000 espatri l’anno. Se l’emigrazione tradizionale rappresenta, in questo universo di riferimento, ancora l’80%, è da considerare il peso crescente che in tali processi di mobilità rivestono – come accennato in precedenza – diplomati e laure- ati (Tirabassi, 2005).
Sia Aledda che Licata, nell’ambito dei loro saggi, mettono in evidenzia il potenziale della rete costituita dagli italiani residenti all’estero, rete (e potenzialità) non tenute abbastanza in conto dalle politiche del nostro paese. Krasna, in riferimento al fenome- no del “brain drain” parla di una vera e propria “perdita di forze del paese”, soprattutto quando la mobilità in uscita di giovani laureati non avviene in corrispondenza di un altrettanto consistente inserimento in Italia di persone qualificate provenienti da altri Stati.
Ciò che sembra attualmente mancare a livello politico è una visione d’insieme – più ampia e meno casuale – del fenomeno emigratorio che ha coinvolto e continua a coin- volgere il paese, nonostante l’approvazione nel 2001 della legge sul voto degli italiani all’estero abbia dato, almeno sul momento e apparentemente, nuova attenzione al fe- nomeno.
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Nel periodo tra le due guerre mondiali, la Francia sostituì gli Stati Uniti come meta privilegiata di migrazione.
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L’esilio antifascista fu caratterizzato da un concreto esodo di migliaia di operai e artigiani che scapparono dal pericolo, dalle minacce, dalle ritorsioni tra cui spiccava quella della perdita del lavoro (Audenino, Tirabassi, 2008). Le leggi razziali del 1938 causarono un’altra ondata di esuli, in larga maggioranza ebrei; nel 1941 furono 6 000 gli espatri, pari al 12% di tutti gli ebrei presenti nel paese, dopo l’8 settembre del 1943 si contarono altri 4 500 esiliati.
108 SILVIA ARU
5. Conclusioni
L’Italia a partire dagli anni settanta ha modificato la sua fisionomia, mutando da paese dagli alti tassi di emigrazione a paese prevalentemente di immigrazione; almeno per il momento, visto che i nuovi dati sull’emigrazione attestano, in periodo di crisi, una ripresa senza precedenti della mobilità verso l’estero9
. Se l'agenda politica dedica poco spazio all'emigrazione, la problematica immigratoria rimane di scottante attuali- tà.
Oltre che di maggior controllo e maggior sicurezza – parole spesso care ad alcuni politici, così come a molti cittadini – si avverte la necessità di politiche per la migra- zione, a carattere non assistenziale, che integrino i fenomeni di mobilità in un progetto di sviluppo territoriale e sociale del paese complessivo (Signorelli, 2006). La necessità è inoltre quella di studi continui sulle problematiche migratorie, straniere ma anche ita- liane. Esistono infatti aspetti cardine sottesi da qualsiasi processo migratorio che le po- litiche dei singoli Stati, in precise congiunture storiche, politiche ed economiche, pos- sono scegliere di veicolare in maniere molto differenti. Tali aspetti sono, per citare i più importanti: le leggi sulla cittadinanza, la tutela dei diritti degli stranieri, i rapporti eco- nomici-culturali e sociali tra Stati, etc. Per tale motivo l’ultimo contributo della sezione qui proposto, quello di Delfina Licata, è intitolato Studiare l’emigrazione italiana per comprendere l’immigrazione in Italia e, per questo stesso motivo, la sessione successiva è dedicata alle immigrazioni.
6. Bibliografia
Silvia Aru, Lingue e territori in Diaspora. Italiani a Vancouver, Pacini, Pisa 2011. Silvia Aru, Valeria Deplano (a cura di), Discorsi d’Italia. Potere e rappresentazione dall’Unità ad oggi, Ombre Corte, Verona 2013.
Patrizia Audenino, Maddalena Tirabassi, Migrazioni italiane. Storia e storie dall’Ancien régime a oggi, Mondadori, Milano 2008.
Tim Cresswell, The Production of Mobilities, in Timothy S. Oakes, Patricia L. Price, The Cultural Geography Reader, Routledge, London-New York 2008, pp. 325-333.
Anne Marie Fortier, Migrant Belongings: Memory, Space and Identity, Berg, Oxford 2000.
Donna Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Einaudi, Torino 2000.
Franco Pittau, Giueppe Ulivi, L’altra Italia. Il pianeta emigrazione, Ed. Messaggero, Padova 1986.
Franco Ramella, “Gli studi sull’emigrazione tra vecchi paradigmi e nuove prospetti- ve”, in Marcello Saija, L’emigrazione italiana transoceanica tra Otto e Novecento e la sto- ria delle comunità derivate. Atti del Convegno internazionale di Studi. Salina 1-6 giugno 1999, Trisform, Messina 2003, pp. 25-34.
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109 Emigrare. I molti chi, dove, come e quando delle mobilità
Rocco Primavera, Industrializzazione e migrazioni interne (1950-1970), Massari, Bolsena 2002.
Abdelmalek Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Cortina, Milano 2002 (Ed. or. 1999).
Amanda Signorelli, Migrazioni e incontri etnografici, Sellerio, Palermo 2006. Maddalena Tirabassi, Itinera. Paradigmi delle migrazioni italiane, Fondazione A- gnelli, Torino 2005.
Silvano Verzelli, “Evoluzione e stato attuale della emigrazione italiana”, in Ministe- ro Affari Esteri. Direzione generale per l’emigrazione e gli Affari sociali, Atti della II conferenza nazionale dell’emigrazione. Roma, 28 novembre - 3 dicembre 1988. Vol. I. Interventi e relazioni ufficiali, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 105-127.
FRANCESCA KRASNA
“Nuovi” processi migratori in Italia:
fuga di cervelli o circolazione di talenti?
La Storia ci ha abituati a pensare al suo svolgersi come a un continuo susseguirsi di cicli e quindi di corsi e ricorsi, come già sosteneva Giambattista Vico. Forse la più vi- stosa tendenza, emersa di recente in Italia, nell’ambito delle dinamiche migratorie, non è allora una novità assoluta, quanto un particolare tipo di ricorso storico. Ci si riferisce, in particolare, al fenomeno della cosiddetta “fuga dei cervelli” o “brain drain”, come viene definito a livello internazionale questo tipo di processo. Secondo questo genere di approccio, l’Italia, un tempo terra d’emigrazione, successivamente meta (provvisoria o definitiva) di flussi immigratori provenienti dal Sud (e dall’Est) del mondo, torne- rebbe oggi nuovamente ad alimentare rilevanti correnti emigratorie.
La principale differenza tra i flussi di ieri e quelli di oggi consiste nel fatto che i primi erano caratterizzati, per lo più, da persone scarsamente istruite, che costituivano perciò manodopera di basso livello. Andandosene all’estero, essi contribuivano a mi- gliorare gli assetti economici e sociali interni all’Italia, alleggerendo la pressione sul mercato del lavoro nazionale, che non era in grado di assorbirli. Il profilo di chi sceglie di emigrare oggi è, al contrario, quello di soggetti giovani, altamente qualificati, spesso in possesso di titoli di formazione e specializzazione ulteriori rispetto al diploma di laurea. Si tratterebbe, in sostanza, delle risorse produttive migliori del nostro Paese, che lo abbandonerebbero proprio nel momento in cui potrebbero cominciare a ripagare il costo sociale della loro formazione.
Scopo di questo contributo è quello di cercare di analizzare, attraverso l’interpre- tazione dei dati disponibili, le principali caratteristiche quantitative e qualitative di questo fenomeno. Si cercherà così di indagare quali siano le cause che generano tali flussi, per comprendere se esse siano legate soprattutto alla crisi economica, politica e culturale, che attualmente affligge in particolare l’Europa o se siano dettate, in qualche misura, da fattori di natura più strutturale, connaturati alla situazione economica, poli- tica e istituzionale del nostro Paese. A riguardo, si prenderà in considerazione anche la capacità dell’Italia di attirare “cervelli” dal resto del mondo, tentando di identificare i più importanti ed influenti fattori di attrazione, in generale, e la loro significatività al livello nazionale. Si cercherà, inoltre, di comprendere quando la libera circolazione dei cervelli tra le diverse aree geografiche del mondo costituisca un processo “naturale” e virtuoso, elemento caratterizzante di un mondo globalizzato e quando esso alimenti invece dinamiche cumulative dagli impatti complessivamente negativi sul tessuto pro- duttivo, ma anche sociale e culturale. Altri aspetti che saranno oggetto di studio del presente lavoro riguardano la tipologia delle misure di carattere politico e normativo che possono essere adottate per arginarlo.
112 FRANCESCA KRASNA
1. Introduzione
Nell’ambito degli studi sui fenomeni migratori, uno degli aspetti forse meno cono- sciuti è quello della cosiddetta “fuga dei cervelli” o “brain drain” (BD). Nel prosieguo di questa analisi si vedrà che tale fenomeno non è netto e definito come potrebbe sem- brare a un esame preliminare; spesso, infatti, con questo termine si indicano aspetti molto diversi tra loro e con valenza persino opposta. In prima approssimazione, però, tale fenomeno può essere descritto come l’emigrazione da un Paese verso altri luoghi di persone con un elevato standard di istruzione e formazione professionale, di solito cau- sato dalla ricerca di migliori opportunità di occupazione e valorizzazione del proprio curriculum formativo (Grubel, 1994).
Quando si tratta di BD, si tende quasi sempre a raffigurarsi movimenti di carattere internazionale. Tale fenomeno si manifesta, in realtà, a differenti livelli di scala geogra- fica. Anche entro i confini di un Paese, magari economicamente sviluppato e avanzato, esistono molto spesso squilibri territoriali. Questi ultimi, dettati da cause differenti, si esprimono attraverso gerarchie territoriali, a loro volta indotte da differenti capacità di attrazione dei territori e quindi da diverse forme di gravitazione attorno di solito a no- di di carattere urbano. Sia alla scala globale sia in contesti meno ampi, il BD rappre- senta allora l’impoverimento di un territorio a favore di un altro.
Scopo di questo contributo è approfondire, in una chiave di lettura critica, il tema del BD italiano, cercando di comprenderne l’effettiva natura, la dimensione e le carat- teristiche principali e contribuire a delineare eventuali misure di correzione degli aspet- ti indesiderati, anche alla luce delle esperienze finora condotte sia in Italia che all’es- tero.