Affermare che il risentimento sociale creatosi in patria al momento dell’abbandono abbia impresso un marchio indelebile nel migrante e limitarsi ad attribuire solo a esso la responsabilità dell’oblio, non completa, naturalmente, il quadro problematico
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Cfr. per l’esempio l’autobiografia di un migrante, Efisio Tatti, Non volevo emigrare (1995), in cui l’autore narra il proprio dramma interiore di emigrato che vive forzatamente a cavallo tra la terra d’origine e altre di destina- zione, nelle quali pure non avrebbe la necessità economica di recarsi.
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d’insieme. Anche a questo proposito vanno fatte delle precisazioni che fissino più pun- tualmente la complessità del fenomeno.
Va onestamente riconosciuto che i migranti stessi hanno contribuito non poco a scavare quest’“abisso culturale”. Infatti, nei periodici rientri in patria, molti di loro hanno teso con il loro comportamento a rimarcare e a far pesare una presunta superio- rità economica e culturale (e, quindi, indirettamente, la bontà della scelta iniziale) dei paesi prescelti come meta (vantando scuole e ospedali migliori, lavoro più retribuito, più pulizia, migliore qualità della vita, ecc.). In questo modo, magari sia pure incon- sciamente, l’emigrato ribadisce più nettamente le ragioni del distacco dall’ambiente originario, costringendo l’ambito familiare e sociale di provenienza, magari solo per reazione, a un’accettazione nei suoi confronti densa di riserve, una tolleranza alquanto forzata della sua persona e, segnatamente, delle idee di cui questa appare portatrice. Il divario risultava ampliato anche dal fatto che ai giudizi si aggiungevano spesso com- portamenti materiali rivolti a enfatizzare inequivocabilmente il presunto successo. Ad esempio, la scelta non infrequente di costruire una casa nel villaggio di provenienza, edificata talvolta con maggiore sfarzo e disponibilità di mezzi di quelle dei compaesani, oltre che costituire quasi una garanzia reale del “rientro” in patria per un domani, s’iscrive nella medesima tipologia comportamentale dell’ostentazione di un successo, vero o presunto, nell’esperienza migratoria da “sbattere in faccia” a chi era rimasto o non credeva nel buon esito della migrazione10
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In un certo qual senso tutto ciò fa parte della condizione di eterna sospensione del migrante.
6. Conclusioni
All’estero esistono circa cinquemila associazioni d’italiani che operano nei più sva- riati campi. Anche ipotizzando che solo un terzo siano veramente attive e rappresenta- tive, si tratterebbe sempre di una presenza capillare che dovrebbe indurre molti a pren- dere in considerazione il problema dell’esistenza di un mondo così vasto. Sul versante interno esistono altre quattro-cinquecento associazioni e organizzazioni che, a vario titolo e con le più diverse aspirazioni e ispirazioni, si occupano degli italiani all’estero. Eppure tutte queste organizzazioni insieme non riescono a far sentire la loro voce oltre il chiuso delle sale in cui, in genere tra pochi partecipanti, si svolgono i loro incontri. La stampa e i media, si è detto, sembrano aver rimosso il problema. La cosa più grave è che le istituzioni ci girano intorno da decenni, istituendo organismi, indicendo confe-
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Nel 2012 il problema è emerso in tutta la sua drammaticità quando il governo Monti ha deciso di far pagare anche agli emigrati l’IMU sulle case possedute in Italia, dando così una valenza giuridica a un dato sentimentale. Poiché si trattava in genere non di “prima casa”, le imposte si sono rivelate salatissime, ma l’effetto peggiore, sul mondo degli italiani all’estero, è dato dal fatto che tantissimi di coloro che hanno casa in Italia, non possiedono un’abitazione propria nel paese estero di residenza; da lì le battaglie intentate attraverso la rappresentanza dei parlamentari eletti all’estero di considerare quelle possedute in Italia come prima casa attraverso specifici emen- damenti che, però, finora non hanno trovato accoglienza.
135 L’italiano errante: il disagio del migrante, fra attrazione e rigetto
renze, raggiungendo con parole e promesse le nostre collettività all’estero. Eppur nulla si muove.
È vero che è destino di chi esprime posizioni scontarsi contro opposizioni più larva- te e sottili diffuse nella società. Tuttavia, un’analoga agitazione in altri campi darebbe nel medio periodo un minimo di risultati. In questo, l’unico che si è ottenuto è il voto degli italiani all’estero frutto dell’impegno individuale di un parlamentare, Mirko Tre- maglia, che, divenuto ministro degli italiani all’estero, ha raggiunto un obiettivo cui aveva dedicato l’esistenza. Ma questo rappresenta un ben misero risultato se non se- guono altri interventi che possano dare sostanza alla presenza di esponenti degli italiani nel mondo. Quale rappresentante di una forza sociale continuerebbe a restare in Par- lamento se delle istanze del suo movimento nulla ha mai visto realizzare o, peggio, si sono fatti solo passi indietro?
Ebbene, proprio questo è successo con gli italiani nel mondo.
Poiché, alla fine, si tratta di una cortina di silenzio che copre da troppo tempo la realtà degli italiani all’estero, e appare quanto mai irrazionale, oltre che miope, sotto il profilo politico ed economico, per spiegarla non resta che ricercarne le ragioni alle ra- dici del fenomeno. Queste affondano, ad avviso di chi scrive, principalmente nel gran- de risentimento che ha prodotto, nel contesto di appartenenza e in quello più vasto di nazione, la decisione di buona parte della popolazione di abbandonare la società di origine in polemica con essa.
Forse è stato solo dopo gli anni ottanta dello scorso secolo – quando l’Italia balzava al quarto posto nel novero delle grandi potenze industriali del mondo – che all’estero si è sviluppato nei vecchi emigrati un maggior senso di orgoglio grazie al quale molti hanno ripreso il gusto del paese di origine e il desiderio di rientrarvi dopo una sorta di lungo esilio. In quegli anni si registrò, infatti, il picco dei rientri degli italiani, soprat- tutto dall’America Latina che ha segnato la corsa all’acquisizione della cittadinanza e l’ottenimento dei relativi passaporti. Così, in qualche modo le due sponde sembrava che si fossero riavvicinate. Infatti, quegli anni segnarono un forte attivismo tra le due sponde, caratterizzato da molteplici iniziative, frequenti rapporti e conseguente nascita del CGIE, come consacrazione istituzionale di quel rapporto. Ma la spinta sembrava destinata a esaurirsi già alle soglie del nuovo millennio. Forse rimaneva ancora troppo sullo sfondo la scelta originaria di abbandonare la propria terra, che non solo non era condivisa nella propria cerchia familiare e sociale, ma proprio per i termini antitetici con cui si era posta – rimettendo in discussione valori e convincimenti più profondi – aveva scavato un solco apparentemente incolmabile tra i due mondi. Se non si risolve questo, la grande massa degli italiani all’estero prenderà definitivamente la strada dell’assimilazione nei paesi di destinazione e sempre più la distanza da quello di origi- ne. Che così avrà perso una grande opportunità storica.
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7. Bibliografia
Aldo Aledda, Tendenze odierne dell’emigrazione e immigrazione in Sardegna, in “Affa- ri Sociali Internazionali”, Anno XIV, 1/1987.
Aldo Aledda, I sardi nel mondo, Dattena, Cagliari 1991.
Silvia Aru, Territori e lingue in diaspora. Italiani a Vancouver, Pacini, Pisa 2011. Francesco Paolo Cerase (2001), L’onda di ritorno. I rimpatri in Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Donzelli, Roma 2001, pp. 113-126.
Anna Leone, Antonio Loi, Maria Luisa Gentileschi, Sardi a Stoccarda, Georicerche, Cagliari 1979.
Barry Moreno, The Illustrated Encuclopedia of Ellis Island, Fall River Press, New York 2004.
Enrico Pozzi, Diaspora in Consuelo Corradi, Enrico Pozzi, Il mondo in italiano. Gli italiani nel mondo tra diaspora, business community e nazione, Camera di commercio di Milano, Milano 1995.
Saskia Sassen, Migranten, Siedler, Flüchtlinge, Verlag, Frankfurt am Main 1996 (trad. it. Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Fel- trinelli, Milano1999).
Efisio Tatti, Non volevo emigrare, Editrice S’Alvure, Oristano 1995.
Rudolph J. Vecoli, Negli Stati Uniti, in Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Donzelli, Roma 2001, pp. 55-88.
DELFINA LICATA
Studiare l’emigrazione italiana per comprendere
l’immigrazione in Italia: il Rapporto Italiani nel Mondo
1. Partire dall’emigrazione italiana
Il titolo di questo contributo è volutamente provocatorio e sottende l’obiettivo che la Fondazione Migrantes si era posto, nel 2006, con la pubblicazione della prima an- nualità del Rapporto Italiani nel Mondo ovvero quello di trovare nuove metodologie per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana ai fenomeni della mobilità.
Per suo statuto, la Fondazione Migrantes è «l’organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza, nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale dei migranti, italiani e stranieri, per promuovere nelle comunità cristiane atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza nei loro riguardi, per stimolare nella società civile la comprensione e la valorizzazione della loro identità in un clima di pacifica convivenza, con l’attenzione alla tutela dei diritti della persona e della famiglia migrante e alla promozione della cittadinanza responsabi- le dei migranti»1.
Al di là della forte marcatura di fede che contraddistingue la Fondazione Migrantes, in questo contesto va segnalata l’opera costante di conoscenza che viene svolta attraver- so lo studio, la ricerca e la produzione di materiali informativi, ricerche, pubblicazioni che descrivano, monitorano e interpretino tutto il mondo della mobilità italiana (mo- bilità interna e verso l’estero degli italiani, gli immigrati stranieri in Italia, i rifugiati, i profughi, gli apolidi e i richiedenti asilo, i Rom, i Sinti e i nomadi e la gente dello spet- tacolo viaggiante ovvero i circensi e i lunaparkisti).
“Conoscere per fare”: è, dunque, questo il leitmotiv che è alla base del Rapporto Ita- liani nel Mondo, una conoscenza che è indispensabile per lavorare per gli emigrati ita- liani considerando l’estrema ricchezza e diversificazione che contraddistingue, oggi, il mondo della mobilità italiana a tal punto che risulta fortemente difficoltoso arrivare a rintracciare quanti italiani siano, attualmente, all’estero.
“Conoscere per sensibilizzare gli italiani”: è questo un secondo imperativo che la Fondazione Migrantes si pone. Conoscere il passato e il presente migratorio nazionale per meglio sensibilizzare e introdurre l’opinione pubblica e, in particolare, le nuove generazioni, ai temi dell’immigrazione straniera facendo comprendere che la mobilità è intrinseca all’uomo di ogni luogo e che questa frase è particolarmente vera nel caso degli italiani, il popolo che ha subìto la più grande diaspora della storia.
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Alla fine dell’Ottocento, all’inizio del Novecento, perfino nel periodo tra le due guerre, nonostante la grande depressione degli anni Trenta e l’isolamento dell’Italia, e infine per oltre un quarto di secolo, dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia è stata un popolo di emigranti. Milioni di italiani hanno cercato, con l’esodo, di riscattarsi dalla condizione di miseria e, anche senza istruzione e senza mezzi, sono stati capaci di partire, di sopportare sistemazioni degradanti, umiliazioni e ingiustizie e, alla fine, con le seconde e le terze generazioni, arrivare a un inserimento soddisfacente, riuscendo a garantire il benessere della propria famiglia e proponendosi come umili ma efficaci ambasciatori del proprio Paese.
Il flusso in uscita dal Belpaese non si è mai veramente arrestato. È sicuramente cambiata la consistenza dei flussi; sono mutate le destinazioni, persino il migrante ha cambiato aspetto lungo il corso del tempo, ma oggi l’italiano continua a migrare e co- noscendo il suo volto è possibile conoscere meglio la storia e la fisionomia dell’Italia di oggi alle prese con il grande paradosso di dover apprendere l’intercultura pur vivendola sulla sua pelle da tempo.