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Il quando e il dove (brevi note)

Seguendo il cammino delle emigrazioni italiane dall’anno della costituzione dello Sta- to, il 1861, è facile imbattersi in un dato risaputo ai più: l’andamento dei flussi, seppur mai nullo, è stato di fatto scostante e ha presentato due momenti di intenso sviluppo all’inizio del secolo scorso e nell’immediato secondo dopoguerra, raggiungendo punte massime di 873.000 emigrati nel 1913 e di 387.123 nel 1961 (Verzelli, 1990).

La fine del secondo conflitto mondiale attivò in Italia, paese come altri devastato dalla guerra e da un’economia nazionale in crisi, una stagione di grandi trasformazioni. Sul fronte migratorio si assistette ad una nuova ondata di espatri che raggiunse nell’arco di trent’anni 7 milioni di unità. Tale ondata si tradusse in una forte mobilità interna al paese stesso e in nuove rotte di lungo e medio raggio, dirette sia a contesti

103 Emigrare. I molti chi, dove, come e quando delle mobilità

extraeurpei che europei. Tra gli elementi che hanno differenziato questa fase rispetto al passato, la preferenza per i viaggi intra-europei a scapito delle destinazioni transoceani- che che della prima ondata erano state la meta prediletta. Tale scelta, maturata sempre più a partire dagli anni Cinquanta, va ricondotta alla congiuntura economica favorevo- le attraversata ben presto da molti paesi europei, alla vicinanza e alla relativa facilità di rimpatrio offerta dagli stessi, alle difficoltà economiche dell’America del Sud e, in ul- timo, alle restrizioni all’immigrazione introdotte da alcuni paesi d’oltreoceano1

. È inoltre da notare un cambiamento delle aree di provenienza regionale degli emi- grati: il centro-nord, che durante la prima ondata aveva contribuito per circa il 50% ad alimentare i flussi, in questa fase ridurrà fortemente il suo contributo (Pittau, Ulivi, 1986). Il processo emigratorio ha dunque manifestato nel tempo una meridionalizza- zione sempre più marcata, nonostante il continuo apporto di uomini provenienti da alcune tradizionali regioni d’esodo nord-occidentale come ad esempio il Friuli Venezia Giulia. La storica italo-americana Donna Gabaccia (2000), nella sua attenta analisi sulla mobilità italiana, individua, per il secondo dopoguerra, tre differenti fasi:

- dal 1945 al 1955: primo decennio post-bellico;

- il boom economico: dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta;

- a partire dalla metà degli anni ’70: da paese d’emigrazione a paese d’immigrazione. È il primo decennio post-bellico a portare con sé quella nuova ondata migratoria che raggiunse ben presto la stessa intensità della prima, con una media annua che si attestava tra i 200.000 e i 300.000 emigranti. Gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, forti della vittoria ottenuta durante l’ultimo conflitto mondiale, presentavano un’economia in forte sviluppo; ma se gli U.S.A. mantennero quote d’immigrazione restrittive fino al 1965, paesi come il Canada e l’Australia, insieme al Brasile e all’Argentina, iniziarono invece ad incoraggiare l’arrivo di nuovi migranti, predispo- nendo politiche di assistenza all’immigrazione. Nei cinque anni che suggellarono il “miracolo economico” (dal 1958 al 1963), oltre 9.000.000 di persone lasciarono il sud Italia alla volta del nord del paese e dell’estero. In questo frangente, le migrazioni in- terne e quelle esterne, più che due processi separati, erano da ricollegarsi entrambe agli sconvolgimenti e alle problematiche del periodo di intenso e repentino mutamento

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Negli U.S.A. le prime proposte esplicitamente pensata per limitare l’immigrazione iniziarono nel 1880 e si concretizzarono nel Chinese Exclusion Act di due anni più tardi. Inoltre, sempre alla fine dell’Ottocento, si deve datare la nascita di due gruppi statunitensi L’American Protective Association (1887) e L’American Rescriction

League (1894) che si proponevano, tra i vari scopi, di esercitare una pressione politica affinché venissero posti

severi limiti e dure selezioni all’immigrazione. Nel 1911 venne pubblicato il rapporto della Dillingham Commis-

sion, quarantadue volumi il cui fine era quello di dimostrare che molte comunità etniche presenti negli U.S.A.

erano difficilmente integrabili nella società americana. Nel 1921 venne approvato l’Emergency Quota Act grazie al quale vennero ammessi annualmente solamente il 3% di immigrati giunti dai differenti Stati europei, tale norma venne resa ancora più aspra nel 1924 attraverso il Johnson- Reed Act, che ridusse al 2% le quote degli ingressi a partire dal 1927. La legge venne modificata successivamente, nel 1929; la modifica portò ad inserire nuove quote rispetto alle singole nazionalità. A causa di tali politiche gli ingressi permessi agli italiani vennero ridotti drasticamente dai 5.735.811 del decennio 1911-1920 ai 528.431 del 1931- 1941 (Audenino, Tirabassi, 2008).

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socio-economico caratterizzato dall’abbandono delle campagne e dal fenomeno dell’urbanizzazione spropositata di alcuni centri urbani italiani.2

Data emblematica della terza fase è il 1973, anno in cui, per la prima volta nella storia unitaria, il saldo migratorio del paese invertiva la tendenza in atto, registrando un tasso di rimpatri superiore a quello degli espatri e, con esso, l’arrivo dei primi im- portanti flussi immigratori3, questi ultimi destinati ad aumentare col tempo (Audeni- no, Tirabassi, 2008).

Tale inversione esula dalla nostra analisi e sarà il fulcro di ragionamenti successivi (sez. III); quel che è qui interessante notare è il fatto che la stessa periodizzazione di Gabaccia (2000), ormai datata di tredici anni, risulta obsoleta o, quanto meno, in- completa. Quale altro fenomeno in atto ci permette di integrare la periodizzazione della studiosa?

Per rispondere a tale quesito risulterà centrale l’analisi di Krasna dedicata alla ten- denza emersa dagli anni novanta e attualmente in forte ascesa: quella del brain drain, fenomeno conosciuto dai più come “la fuga dei cervelli”. Tale processo – come ricorda l’epiteto italiano, così come quello inglese – è caratterizzato dall’alto profilo socio- culturale di coloro che emigrano, e porta con sé importanti ricadute territoriali di tipo sociale ed economico, come emerge dall’analisi di dettaglio proposta nel capitolo suc- cessivo nel saggio dell'autrice “Nuovi” processi migratori in Italia: fuga di cervelli o circo- lazione di talenti?.

Parlare di profilo socio-culturale del migrante ci aiuta però ad introdurre un’altra domanda centrale per comprendere ogni mobilità, ovvero: chi parte?