In questi anni, il Rapporto Italiani nel Mondo è diventato un sussidio che ha voluto con forza spingere per una maggiore presa di coscienza di quanto sia inevitabile oggi “incontrare” questa Italia migrante nel panorama della mobilità europea e internazio- nale. Si tratta di una mobilità completamente diversa da quella che, come nazione, abbiamo ben fissata nella memoria e che ci riporta al passato, al bianco e nero di filma- ti, fotografie e cartoline. La realtà di oggi è molto diversa e reclama nuove chiavi di lettura che siano in grado di capire e monitorare le diverse caratteristiche che inerisco- no gli attuali italiani migranti, a cominciare dalla loro preparazione culturale e profes- sionale e dal progetto con cui partono dall’Italia e che, il più delle volte, finiscono col riuscire a realizzare all’estero, avendo comunque tentato più volte di farlo in Italia.
Il concetto di giovane, più volte richiamato in questo contributo, necessita però di una contestualizzazione che tenga conto delle mutazioni avvenute a livello sociale, cul- turale e occupazionale (flessibilità e precarietà innanzitutto). Sorge così un interrogati- vo: dall’Italia si fugge davvero o si sceglie di partire? In un mondo dai confini mobili, dalla società sempre più de-territorializzata grazie ai media digitali, chi parte non si sente migrante in senso classico pur continuando a vivere e sentire gli effetti dello spo- stamento (la partenza, lo sradicamento, l’allontanarsi dai luoghi consueti, dagli affetti sicuri, il cambio di abitudini, di lingua, di modi di fare). Questi sentimenti restano, ma in un mondo diventato “più piccolo”. Il viaggio diviene cioè centrale per la forma- zione culturale e dell’identità di un giovane il quale, non di rado, realizza anche molte- plici spostamenti resi possibili dalla facilità dei mezzi di comunicazione. I giovani ita- liani all’estero, quindi, vanno considerati un potenziale sociale, culturale ed economico a condizione di mantenere legami fruttuosi tra chi è partito e chi è rimasto, cosa che non sempre avviene, per cui la potenzialità prima richiamata rimane solo formale.
In questo modo la partenza di una parte dei giovani italiani, definiti dai più “talenti in fuga”, viene inserita in un progetto nazionale di respiro più ampio che si apre all’avanguardia delle relazioni internazionali in cui vengono messe in rete, a livello co- smopolita, idee, professionalità, guizzi di ingegno e background culturale. L’esperienza all’estero finisce con l’essere, se così inquadrata, luogo ideale di dialogo interculturale di promozione e di sviluppo di scambi di informazione e costituisce, pertanto, anche un importante momento – individuale, collettivo, nazionale – di formazione e di tra- sferimento di know how e di tecnologie avanzate. Solo con questo cambio di prospet- tiva sarà probabilmente possibile risolvere parte dei secolari problemi che investono l’emigrazione italiana tra i quali la diminuzione delle risorse, la mancanza di sostegno
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al sistema produttivo italiano all’estero, l’insufficiente rappresentanza, la crisi della rete diplomatico-consolare fino ad oggi invidiataci da tutto il mondo proprio per la capilla- rità della sua diffusione.
Ma questo cambio di prospettiva sarebbe foriero anche di una evoluzione culturale dell’Italia stessa che finalmente vedrà la mobilità, in entrata e in uscita, non come un segnale di povertà bensì come occasione di arricchimento reciproco e continuo.
6. Bibliografia
Luca Bianchi, Le nuove mobilità degli italiani e degli stranieri: migrazioni interne e pendolarismo, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo 2012, Edizioni Idos, Roma 2012, pp. 59-68.
Maria Carolina Brandi, Mobilità degli studenti universitari italiani, in Fondazione Migrantes, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel Mondo 2011, Edizioni Idos, Roma 2011, pp.100-109.
Delfina Licata, I molteplici volti dell’Italia migrante, in Fondazione Migrantes, Rap- porto Italiani nel Mondo 2012, Edizioni Idos, Roma 2012, pp. 15-27.
I
MMIGRARE HUMANUM EST.
MARCELLO TANCA
Immigrare humanum est. L’altro e l’altrove nel contesto italiano
1. L’altro e l’altrove tra noi
L’immane tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, nella quale hanno perso la vi- ta più di 360 migranti provenienti dalla Libia e che ha profondamente scosso l’opinione pubblica italiana, se da un lato ha drammaticamente riproposto la necessità di ripensare le modalità di accoglienza degli immigrati, dall'altro rischia di far passare in secondo piano, con la sua carica emotiva, la complessità dei fenomeni migratori che investono da diversi anni il nostro paese. Come osservavano già una decina di anni fa Tiziana Barrucci e Stefano Liberti – autori de Lo stivale meticcio – una certa visione “sensazionalista” dell’immigrazione, mettendo gli immigrati sotto i riflettori princi- palmente in occasione di particolari eventi luttuosi o criminali, contribuisce al diffon- dersi di una “falsa percezione” del fenomeno:
Di immigrazione in Italia si parla molto. Soprattutto negli ultimi tempi, con l’aumento esponenziale della popolazione straniera residente nel nostro paese, l’argomento occupa in modo insistente le pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali. Allo stesso tempo, tuttavia, di immigrazione in senso proprio si parla troppo poco: sovraesposto sui media, soprattutto nei suoi caratteri più sensazionalisti (gli sbarchi al Sud o i fatti di più violenta cronaca in cui sono coinvolti stranieri), il fenomeno rimane poco esplorato nei suoi aspetti fondamentali (Barrucci, Liberti, 2004, p. 19).
Fatta questa premessa, e prima di enucleare alcune delle principali caratteristiche degli attuali flussi, occorre fare per un attimo un passo indietro, innanzitutto per ri- cordare che, da tradizionale paese di emigrazione, l’Italia è diventata solo in tempi re- centi (e in ritardo rispetto ad altre realtà europee) un paese di immigrazione. Se, infat- ti, gli anni ’70 hanno segnato il ridimensionamento di un’emigrazione italiana all’estero peraltro già in calo alla fine degli anni ’60, è a partire dalla seconda metà de- gli anni ’80 che si registra l’arrivo di consistenti flussi migratori provenienti dal Terzo Mondo e dall’Europa dell’est. L’Italia rappresenta da questo punto di vista una delle espressioni più complesse del cosiddetto “modello migratorio mediterraneo” applicabi- le ai paesi dell’Europa meridionale caratterizzati (almeno nelle fasi iniziali) da un vuoto legislativo in materia di norme regolanti l’immigrazione, dalla progressiva sostituzione di questa all’emigrazione, infine dalla concentrazione degli immigrati nell’area del la- voro terziario (Pugliese, 2002, pp. 95 ss.).
Andiamo con ordine. Come scrivevano nella seconda metà degli anni ’90 Rosario Sommella e Lida Viganoni, «l’immigrazione è un fenomeno internazionale, sintomo ed effetto dei processi di globalizzazione a scala mondiale, che non solo accomuna l’Italia ad altri paesi europei, ma che vede moltiplicarsi le direzioni e i focolai di attrazione in un processo in continuo mutamento» (Sommella, Viganoni, 1997, p. 185). Questa
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citazione ci permette di mettere a fuoco alcuni degli elementi di base che modellano ancora oggi i flussi migratori. Uno di questi è dato dal loro carattere processuale e dina- mico, in continuo movimento: nel 1975 il 44,5% della presenza straniera in Italia era costituito da cittadini di uno dei paesi dell’Europa dei 151
; cifra scesa al 37,7% nel 1985 e al 16,9% nel 1994 (Bonifazi, 1997, p. 42) e che si assesta oggi, nell’Europa dei 282
, in cui, su 4.387.721 stranieri residenti in Italia, l’85% (3.764.236) sono soggior- nanti non UE (Caritas 2013, su dati Istat e Ministero dell’Interno). Mutano dunque i paesi e le aree di provenienza dei flussi, così che «alcune nazionalità hanno perduto rilevanza numerica e importanza, mentre altre, che all’inizio erano molto meno signifi- cative, sono andate progressivamente crescendo in termini di entità e di rilevanza so- ciale» (Pugliese, 2002, p. 73).