L’Italia, tradizionalmente considerata il punto di partenza di una serie di diaspore (Biggieri, 2005) è tra quei paesi in cui, negli anni Settanta, gli arrivi di cittadini stra- nieri per la prima volta superano le partenze, anche se tuttavia occorrerà aspettare de- cenni prima che si prenda piena coscienza di questo cambiamento. La cultura italiana è sempre stata pervasa dalla memoria condivisa dell’esperienza degli emigrati, come e- merge nella produzione musicale, cinematografica e nella cultura popolare che hanno fatto del mito dell’italiano all’estero un tassello fondamentale dell’identità nazionale (Fortier, 2000; Gabaccia, 2000; Krase, 1996; Patriarca, 2001). La transizione che ha portato l’Italia a diventare un paese di immigrazione è stata trascurata dal mondo poli- tico e dall’opinione pubblica almeno fino ai primi anni Novanta, quando la “questio- ne” è esplosa improvvisamente e inaspettatamente6
.
Dato il suo nuovo ruolo come Paese di immigrazione, l’Italia si è trovata a dover fronteggiare le stesse sfide che le altre nazioni europee avevano affrontato decenni pri- ma. Tuttavia il ritardo in questa transizione e i numeri contenuti degli arrivi hanno influenzato pesantemente sia il dibattito italiano in materia, sia le politiche migratorie messe in atto dai diversi governi. Inoltre, il fatto che questo processo di trasformazione 5
È tuttora in corso un acceso dibattito tra gli studiosi che ritengono che i due modelli stiano andando incontro a una convergenza (Kymlicka, 1995) e quanti ritengono che essi mantengono ancora caratteristiche profonda- mente antagonistiche, basate su modelli teorici inconciliabili: uno liberale e anti-comunitarista e l’atro pragmati- co e comunitarista (Weil, Crowley, 1994, p. 124).
6
Il titolo dello studio di Palomba e Righi, Quel giorno che gli albanesi invasero l’Italia (1992), rende perfettamen- te l’idea di un cambiamento percepito come repentino e imprevedibile.
169 Immigrazione e modelli di cittadinanza. Il caso italiano
sia stato interpretato come “improvviso” ha determinato una difficoltà da parte del- l’opinione pubblica nel valutare in maniera imparziale il fenomeno migratorio e le sue conseguenze, contribuendo così a radicalizzare le posizioni e la percezione degli immi- grati7 (Biggeri, 2005, pp. 8-9).
La principale domanda sottesa a questo studio è la seguente: fino a che punto il ri- ferimento a questi modelli (assimilazione e multiculturalismo) emerge nel dibattito pubblico italiano su identità nazionale e immigrazione e in che modo influenza la reto- rica degli attori maggiormente attivi e visibili in tale dibattito, la Chiesa cattolica e la Lega Nord?
L’importanza della religione nella vita sociale e politica delle democrazie occidentali è dimostrata dal ruolo centrale che essa gioca nella mobilitazione di massa e nelle scelte politiche dei cittadini (Jelene e Chandler, 1996, p. 142), nella trasmissione allo Stato delle istanze di questi ultimi (Edersvelt, 1964; Lawson, 1980) e nella formazione delle identità collettive (Cochran, 1998), multiple e transnazionali (Voye, 1999) solo per citare alcuni esempi. Tale importanza è ancora più rilevante nel caso dell’Italia, che per prossimità geografica allo Stato della Città del Vaticano e per omogeneità religiosa rap- presenta un unicum nel panorama europeo8
.
L’analisi dei documenti ecclesiali prodotti a partire dal Concilio Vaticano II, siano essi encicliche, note pastorali, o comunicazioni della CEI, mostra quanto i temi della differenza, del pluralismo religioso, dell’identità nazionale e delle minoranze siano og- getto di attenzione e talvolta di preoccupazione per il mondo cattolico. La Chiesa ha dimostrato spesso di precorrere i tempi rispetto al sistema politico riuscendo a fornire strumenti interpretativi di fenomeni ancora trascurati dall’opinione pubblica, quali la secolarizzazione e il secolarismo9, il revival religioso10 e i “culti ibridi”11, l’identità na- zionale e il nazionalismo12
, l’immigrazione e modelli di inclusione.
Nel 1987, quando la presenza straniera in Italia non era ancora un tema considera- to caldo, né dai mass media né dagli osservatori, Giovanni Paolo II nel discorso tenuto in occasione della Giornata delle migrazioni fece esplicito riferimento al pluralismo etnico come a un fenomeno strutturale e non transitorio D’altra parte, anche nella retorica cattolica, come in quella dei partiti politici italiani, spesso il discorso sulle mi- grazioni risulta appiattito sulla comune memoria storica del «vasto fenomeno emigra- torio che tanto nostri familiari e concittadini hanno vissuto personalmente» (Commis- sione episcopale per le migrazioni e per il turismo, 1993, § 6). In questo senso l’attenzione della Chiesa verso i diritti dei migranti si concentra sugli italiani, e sui cat-
7
Secondo il sondaggio “Transatlantic Trends on Immigration” (2009), l’Italia è il Paese europeo in cui la perce- zione degli immigrati è maggiormente difforme dalla realtà. Gli intervistati ritenevano infatti che la presenza straniera ammontasse al 23% della popolazione totale mentre i dati Istat per quello stesso anno la collocavano al 6.5 %.
8
Ne è un esempio il vademecum sulle questioni etiche inviato nel 2003 da Ratzinger ai parlamentari italiani (Provenza, 2003).
9
Pontificio Consiglio della Cultura, 22 Maggio, 1999, § 23.
10
Enciclica Redemptoris missio, 1 Dicembre 1990.
11
Pontificio Consiglio della Cultura, doc. cit., § 24.
12
Pontificio Consiglio per la Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, 26 Maggio 1978; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, 3 Novembre 1988.
170 EVA GARAU
tolici in generale che per necessità hanno lasciato il proprio Paese. È questo il caso della difesa dei diritti principali dell’emigrato, al quale deve essere garantito il ricongiungi- mento familiare (Giovanni Paolo II, 1986), un equo trattamento sul posto di lavoro (Giovanni Paolo II, 1981; Pontificio consiglio per la pastorale per i migranti e gli itine- ranti, 1978) e assicurate le condizioni affinché possa mantenere la propria cultura e la propria fede (Ibid.).
Tuttavia, l’enfasi posta sull’emigrazione non si esaurisce in se stessa, come per anni è avvenuto nel dibattito pubblico italiano, intrappolato in una memoria radicata che pure non veniva messa in relazione al nuovo fenomeno dei crescenti arrivi. I documen- ti ecclesiali, spesso gli stessi in cui viene affrontata la questione degli italiani all’estero, estendono gli stessi diritti agli stranieri presenti nel territorio nazionale, sebbene un’attenzione particolare venga dedicata agli immigrati cattolici(Giovanni Paolo II, 1990b). Nei confronti di questi ultimi la Chiesa si rivolge con un atteggiamento di accoglienza basato sul principio che «nella Chiesa non vi sono né vi possono essere stranieri o ospiti», dal momento che «tutti i battezzati sono membri dell’unico popolo di Dio», mentre anche gli immigrati che «vengono a contatto con una Chiesa partico- lare e si stabiliscono in essa, anche per breve tempo, dal punto di vista ecclesiale sono a casa propria» (Pontificio consiglio della pastorale per gli immigrati e per gli itineranti, 1978, II 1). Se da un lato quest’affermazione pone degli interrogativi su una solidarietà che appare selettiva, che sembra cioè privilegiare i cattolici, dall’altra già con la Nostra Aetate (1965) la Chiesa affronta apertamente il tema del rapporto con i fedeli delle altre religioni, in particolare con i musulmani, verso i quali dichiara di provare un «sin- cero rispetto». La differenza in ambito religioso è indubbiamente l’aspetto più com- plesso del pluralismo che la Chiesa si trova a fronteggiare. Lo strumento scelto per af- frontarlo è quello del dialogo13
, la cui complessa definizione non si può comprendere appieno senza che la si ponga in relazione con il concetto di evangelizzazione14, con il quale talvolta sembra sovrapporsi, esponendo la Chiesa all’accusa di privilegiare il fine della conversione e di non porsi sullo stesso piano con l’interlocutore. Il dialogo, inteso anche come mezzo per rafforzare le radici dell’identità cristiana15
, trova il suo ostacolo maggiore nell’«indifferentismo religioso» (Giovanni Paolo II, 2001), che in altri conte- sti assume le sfumature del relativismo16
, dell’ateismo17
, dell’agnosticismo18
e che viene ritenuto responsabile della “scristianizzazione’’ delle culture19 (Pontificio consiglio della cultura, 1999) e minaccia all’identità cristiana delle nazioni. Sebbene la Chiesa con- danni ogni nazionalismo che tenda a marginalizzare o escludere le minoranze20, il di- scorso sul legame tra identità nazionale e cultura (quindi fede) è stato spesso ripreso,
13
Il tema è trattato in numerosi documenti ecclesiali. Per l’impossibilità di citarli adeguatamente si rimanda alla raccolta Il magistero della Chiesa sulla multiculturalità, pubblicata nel 2001 da Vita e Pensiero.
14
Commissione teologica internazionale, 8 Ottobre 1988.
15
Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, 1991, d. 50.
16
Congregazione per la dottrina della fede, 2000, § 5.
17
Giovanni Paolo II, 1990a, § 9.
18
Giovanni Paolo II, 1992, § 22.
19
Sul legame indissolubile tra cultura e fede cfr. Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, 1991.
20
171 Immigrazione e modelli di cittadinanza. Il caso italiano
non solo in Italia21
, da movimenti di estrema destra che rivendicano la necessità di pro- teggere l’identità nazionale dalla “conquista” da parte dell’Islam22.
Dall’analisi dei documenti emerge la condanna categorica da parte della Chiesa di ogni forma di discriminazione e razzismo così come ogni tentativo di assimilazione forzata delle minoranze etniche e religiose. Il riferimento ai modelli precedentemente definiti è, nei documenti ecclesiali, piuttosto diretto: dal multiculturalismo come realtà delle società democratiche (Giovanni Paolo II, 2000) e come occasione per apprezzare molti «valori meritevoli» nelle altre culture, all’assimilazione, pericolosa quando forzata ma auspicabile se intesa come progressivo inserimento che sottragga le minoranze all’isolamento pur consentendo loro di mantenere la propria identità23 (Pontificio con- siglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, 1978: III, 1). In tempi più recenti il discorso anti-assimilazione si è fatto più deciso e ha iniziato a emergere l’idea che gli immigrati non debbano rinunciare alla loro identità, ma piuttosto partecipare, «con la loro eredità, al bene comune […] dell’insieme nazionale al quale si aggregano» (Gio- vanni Paolo II, 1985). Di entrambi i modelli, infine, vengono analizzati gli aspetti ne- gativi: «se tanto preoccupante è il radicalizzarsi delle identità culturali che si rendono impermeabili a ogni influsso esterno, non è meno rischiosa la supina omologazione delle culture […] a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati a una concezione secolarizzata e praticamente atea della vita» (Giovanni Paolo II, 2001).
Se il mondo cattolico sembra privilegiare un modello di integrazione volontaria col- locabile a metà strada tra assimilazione e multiculturalismo, la retorica cattolica sulla necessità di preservare le identità tradizionali e sulla sovrapposizione tra cultura e fede è stata sfruttata ed estremizzata da attori politici quali la Lega Nord, la cui posizione in materia di modelli di integrazione è ben più radicale e avversa a qualunque forma di multiculturalismo24
. Il riferimento leghista al modello multiculturale emerge fin quasi dalle origini del movimento autonomista che, come altri movimenti in Europa negli anni della decolonizzazione, si serve di una retorica terzomondista e vittimistica volta a denunciare lo stampo fascista e coloniale delle identità nazionali imposte alle popola- zioni europee con la fine della seconda guerra mondiale e a rivendicare il diritto dei popoli all’auto-determinazione (Cachafeiro, 2002, p. 58; Oneto, 1997; Cento Bull, Gilbert, 2001, p. 115). Radicata in un’appartenenza al territorio volta a legittimare un’identità di gruppo esclusivista (De Winter, Tursan, 1998) seppure “inventata” (Cen- to Bull, Gilbert, 2001, p. 56) e in un nazionalismo opportunistico il cui fine strategico è il raggiungimento di specifici obiettivi di carattere materiale (Breuilly, 1992; Bruba- ker, 1992), la Lega costruisce la propria ascesa politica intorno all’idea di differenza. Il 21
In Gran Bretagna dalla English Defence League e dal British National Party.
22
In casi isolati tale preoccupazione viene espressa all’interno della Chiesa stessa. Vedi Giacomo Biffi, La città di
San Petronio nel terzo millennio o la polemica nata dalla lezione di Ratzinger all’Università di Ratisbona il 12
Settembre 2006.
23
La pastorale è rivolta agli emigranti cattolici. È interessante notare come nell’enciclica Pacem in terris (1963, § 53) in cui il discorso sull’assimilazione è riferito agli immigrati si specifica che sarebbe saggio che essi si arricchis- sero con «l’assimilazione graduale e continuata di valori propri di tradizioni o civiltà differenti da quella alla quale essi appartengono».
24
172 EVA GARAU
multiculturalismo, sia quello interno delle origini, in cui l’elemento estraneo è costitui- to dai meridionali (Stella, 1996), sia quello più recente25 in cui l’altro è rappresentato dagli “extracomunitari”, è considerato un modello fallimentare: per dirla con le parole di Bossi (2006) «gli uomini non sono come l’acqua che si può mescolare a piacere. I popoli si mescolano con difficoltà».
L’inasprimento del giudizio leghista verso la soluzione multiculturale e la crescente ossessione verso “l’altro” inteso come minaccia all’identità padana può essere collegato all’avvicinamento ideologico del partito alla New Right europea a metà degli anni No- vanta26
(Cento Bull, Gilbert, 2001, p. 127). Questa nuova fase sancisce l’avvento della “politica simulativa” (Blühdorn, 2007; Cento Bull, 2009) ovvero di uno scollamento tra retorica ed effettiva azione politica: negli anni in cui è più che mai necessaria la pre- senza di forza lavoro straniera (Andall, 2009), si assiste a una radicalizzazione della re- torica leghista anti-immigrazione e anti-multiculturalismo. Questa retorica si serve di continui richiami allarmistici, riferendosi alla questione dell’immigrazione attraverso termini quali “emergenza” (Garavaglia, 2007), “terrorismo” (Gibelli, 2007a), “invasio- ne” (Montanari, 2007a), “islamizzazione” (Boiocchi, 2007) e simili. Le preoccupazioni rispetto all’immigrazione espresse dai rappresentanti della Lega racchiudono sia que- stioni di ordine pratico che di carattere ideologico: dall’assegnazione delle case popolari (Lega Nord, 2005), all’indebolimento della tradizione cristiana e alla rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici (Gibelli, 2007a), dalla criminalità nei grandi centri urbani (Roselli, 2007) a una più apocalittica «guerra di civiltà […] contro la libertà e la demo- crazia a favore dell’assolutismo religioso» (Gibelli, 2007b) e tuttavia unica è la soluzio- ne identificata dal partito per evitare «l’annichilimento di una cultura» (Bossi, 2006): “la tolleranza zero” o “pugno di ferro” (Stefani, 2009; Carcano, 2006). L’appartenenza padana, alla quale ci si riferisce come a una identità “persa o minacciata” che è necessa- rio riscoprire ed enfatizzare (Iezzi, 2007; Polli, 2007a; Alessandri, 2007; Bassi, 2007a) è presentata come posta sotto assedio dalle conseguenze della globalizzazione e dell’affermazione di una «utopistica società multirazziale», alla quale il partito oppone la necessità di preservare le differenze e un «sincero rispetto» per le diverse culture, purché esse si esprimano e si sviluppino nei Paesi in cui hanno avuto origine27
. Nell’affrontare il fenomeno dell’immigrazione, tale approccio differenzialista ribadisce la legittimità della scelta di privilegiare quegli stranieri più facilmente assimilabili iden- tificandone altri, in particolare tutti gli immigrati musulmani, come non integrabili (Bassi, 2007b; Ferrari, 2007) in quanto portatori di valori incompatibili con la cultura nazionale28 (Montanari, 2007b). La resistenza contro il relativismo e la conseguente islamizzazione della nazione passa necessariamente attraverso la difesa dei valori cri- stiani (Bassi, 2007c) dei quali la Lega si fa paladina divenendo «l’ultimo baluardo con- 25
Che coincide con la nascita dell’idea di Padania nel 1996.
26
Il pamphlet Padania, identità e società multirazziale (Mussa, 1998) se confrontato con documenti e manifesti precedenti illustra chiaramente il cambiamento radicale della Lega nei confronti dell’immigrazione.
27
Su questa concezione si fonda anche la particolare solidarietà leghista, basata sul principio ‘aiutiamoli a casa loro’ (Bossi, 2009).
28
Nell’ultimo decennio l’identità padana sembra coincidere con quella nazionale e cristiana, spostamento questo presumibilmente dovuto al tentativo leghista di fondare le proprie istanze su valori consolidati e acquisire popo- larità a livello nazionale.
173 Immigrazione e modelli di cittadinanza. Il caso italiano
tro l’invasione» (Montanari, 2007a) e «scendendo in piazza per salvare i cristiani» (Gi- belli, 2007c).
Nel caso della Lega non solo il riferimento al multiculturalismo come soluzione i- pocrita e dannosa dettata dal “falso buonismo” delle sinistre (Garibaldi, 2007; Baldi, 2009) è esplicito, ma la retorica leghista prende di mira specificatamente il caso della Gran Bretagna dove l’atteggiamento di laissez faire (Indini, 2007a) viene ritenuto causa diretta degli attacchi terroristici del 7 Luglio 2005, mentre presenta l’Italia come pros- simo bersaglio nel mirino del terrorismo (Iezzi, 2009).
4. Conclusioni
A un’indagine superficiale emerge come Chiesa e Lega si siano occasionalmente trovate a portare all’attenzione dell’opinione pubblica rivendicazioni comuni, basti pensare al discorso sul concetto di reciprocità in materia di libertà religiosa (Maroni Et al., 2007; Giovanni Paolo II, 1985) o alla retorica vittimistica secondo la quale solo ai cattolici che sostengono la necessità di salvaguardare l’identità nazionale è negata la libertà di parola29
. Tuttavia, mentre la Lega ha, negli anni, portato a una legittimazione di istanze di chiara matrice razzista, la Chiesa ha rappresentato e rappresenta la voce più autorevole levatasi a sanzionare tali posizioni, per esempio la discriminazione e la negazione di tutti i diritti agli immigrati residenti in Italia irregolarmente30
, condizione che la Lega mirava a trasformare in reato. La differenza negli atteggiamenti dei due attori politici diviene chiara quando si consideri in che modo essi hanno influenzato la legislazione italiana in materia di cittadinanza e immigrazione. Le rispettive posizioni si riflettono sulle due leggi che Chiesa e Lega hanno contribuito a delineare: la Turco- Napolitano31 e la Bossi-Fini32. La fase di preparazione della prima disposizione, infatti, è stata fortemente condizionata dalla partecipazione di una advocacy colation in cui i gruppi cattolici (dai movimenti giovanili, al mondo del volontariato, ai sindacati) han- no svolto un ruolo di primo piano. Sebbene le istanze portate avanti dalla Chiesa siano quasi scomparse nel testo ufficiale della legge (in quanto avversate da quegli attori poli- tici che ne ritenevano le linee guida eccessivamente sbilanciate in favore degli immigra- ti) esse hanno tuttavia contribuito a creare un dibattito che per la prima volta teneva conto dell’importanza di una concertazione trasversale e che guardando ai modelli a- dottati da altri paesi (in particolare al multiculturalismo) e rivalutando i processi di policy learning e good practice, dava alla legge un’impronta di chiara matrice solidaristi- ca. Al contrario, l’influenza diretta della Lega Nord alla formulazione di una misura, la Bossi-Fini, «tesa a contrastare l’immigrazione in tutte le sue forme» (Einaudi, 2007, p.
29
Rivendicazione portata avanti dal Cardinale Biffi (Andini, 2000). Sul tema è tornato più volte l’europarlamentare Borghezio, arrestato nel 2007 fuori dal Parlamento europeo per aver indossato una maglietta con un messaggio fortemente anti-islamico e più recentemente espulso dal partito euroscettico europeo (EDF) in seguito agli insulti verso il Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge (Anon, 3 Giugno 2013).
30
Giovanni Paolo II, 1995.
31
Legge 40 del 6 Marzo 1998 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.
32
174 EVA GARAU
296) e a sostituire un modello di società ‘giacobino’ con uno fondato sulla tradizione cristiana del Paese, ha portato all’approvazione di un testo che, se nella sostanza ha essenzialmente riconfermato le disposizioni precedenti, nel linguaggio e nella forma ha rafforzato il legame tra immigrazione e sicurezza e delineato un preciso modello di (non) inclusione degli stranieri, riassumibile nella formula bossiana «immigrati pochi, solo per lavorare, solo per il tempo strettamente necessario e poi ritornino a casa» (Tur- co in Einaudi, 2007, p. 321). È attraverso questo manifesto politico, ulteriormente confermato dal “pacchetto sicurezza” del 2007/200833 che la Lega ha segnato la strada per la svolta identitaria e funzionalista (Zincone, 2003) che caratterizza l’attuale mo- dello di ‘esclusione istituzionalizzata’ degli immigrati in Italia.
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33
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