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La situazione italiana

Lo studio del BD in Italia è piuttosto recente e l’analisi di tali processi appare com- plessa, sia per la difficoltà tecnica di cogliere l’effettiva natura degli spostamenti all’estero in termini di motivazione (temporanei, definitivi, BD, BE, BC?8

) sia per la scarsità ed eterogeneità dei dati disponibili, difficilmente confrontabili e spesso dubbi

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Nell’ambito delle teorie relative allo sviluppo endogeno, con questo termine si intende l’insieme di ricadute positive, generate dalla presenza in un dato territorio di attività di alta formazione e dalla loro interazione con le diverse espressioni del mondo produttivo locale. Secondo quest’ottica, il capitale umano formato localmente rappresenta uno dei fattori cruciali per l’avvio e la sostenibilità del processo di sviluppo stesso (Romer, 2001; Rullani, 2004)

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Cfr. nota 5.

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In questo scenario, gli USA conserverebbero un notevole potere d’attrazione (42,4% dei flussi) così come tutti i Paesi di lingua inglese. Secondo l’OECD (2005) negli USA entrano circa 20 cervelli per ogni cervello emigra- to; in Gran Bretagna vi è un sostanziale equilibrio. Tra gli Stati a saldo negativo, Olanda e Giappone tendono comunque alla parità, mentre in Italia e Irlanda, per ogni cervello entrato, ne esce circa uno e mezzo.

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Anche nell’ambito del BD vero e proprio, le situazioni possono essere molto varie. L’emigrazione di personale medico e sanitario dai Paesi in via di Sviluppo, di solito, rappresenta un danno molto grave, perché la situazione igienico-sanitaria in queste aree può essere davvero drammatica e, in genere, richiede un apporto ulteriore di risorse umane dall’esterno (Awases et al., 2004; Tawfik, Kinoti, 2001). In altri casi, il danno non è così scontato e può essere legato, ad esempio, all’obsolescenza di certi ruoli professionali per le mutate condizioni tecnologiche o al cattivo stato delle condizioni infrastrutturali nel Paese d’origine.

116 FRANCESCA KRASNA

rispetto alla loro attendibilità. Le principali fonti finora utilizzate per analizzare il fe- nomeno sono state le rilevazioni dell’ISTAT sul “Movimento migratorio della popola- zione residente” e dell’AIRE, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, che fa capo al Ministero dell’Interno; oltre ad alcune statistiche dell’OECD. Tuttavia questi dati ri- sultano tendenzialmente sottostimati, ad esempio, per coloro che, pur vivendo all’es- tero, preferiscono mantenere la residenza in Italia e/o perché la registrazione nella ban- ca dati dell’AIRE non è obbligatoria.

Una prima descrizione del fenomeno in Italia può essere “estratta” da un’elabora- zione dei dati relativi alle cancellazioni dall’anagrafe dei laureati (ISTAT). Nel periodo 1996-1999, il dato annuo non è mai calato sotto le 2000 unità (con una media annua pari a 3000 unità) e non è mai stato compensato da quello relativo al rimpatrio dei laureati (Avveduto, Brandi, 2004). Il tasso di fuga dei cervelli per l’anno 2000 è stato poi pari al 7% (Docquier, Marfouk, 2004)9

. Questo dato è in realtà piuttosto basso (tab. 1) sia se confrontato con la realtà europea (il più elevato è quello irlandese 34%) sia con il resto del mondo10

. Sembrerebbe, inoltre che, col passare del tempo, la qualifi- cazione media dei cervelli emigrati (espressa in anni di studio) tenda a crescere (Becker et al., 2001). L’aspetto più critico dell’emigrazione dei cervelli italiani non sarebbe quindi tanto la dimensione del fenomeno di per sé, quanto l’incidenza della compo- nente maggiormente qualificata, sommata alla scarsa capacità del Paese di attrarre ana- loghi flussi. Questa affermazione trova conferma nella scarsa percentuale di stranieri con un elevato grado di istruzione presenti sul territorio nazionale (12,2% nel 2005), ben al di sotto della media europea (18,%) e di quella dei Paesi OECD (23,2%) (O- ECD). Secondo i dati dell’OECD, gli stranieri con istruzione universitaria che lavora- no in Italia ammontano a circa 246.925 unità. Per quanto riguarda la loro origine, circa un quarto (22,6%) proviene dall’Europa occidentale, seguono quella meridionale (13,3%), il Sud America (11,6%), l’Europa orientale (10,8%) e l’Africa settentrionale (8,9%). Facendo riferimento al solo contesto europeo, le nazionalità maggiormente presenti sono la Germania (6,6%), la Francia (6%), la Svizzera (6%) e l’Albania (4,5%). Una specificità dell’Italia, dovuta alla sua posizione geografica, consiste, come è noto, nell’essere una meta privilegiata per i flussi provenienti dal Nord Africa. Essa si configura in tal caso come una sorta di porta d’accesso (gateway region) verso l’Europa, fungendo sia da meta definitiva sia da terra di transito verso le aree del Nord. Al con- trario, gli altri Stati europei “pescano” i loro cervelli stranieri in prevalenza entro i con- fini europei o nei territori delle ex colonie. Gli stranieri di origine asiatica, invece, pri- vilegiano gli USA (INS, 2003), il Canada (CIC, 2004) e l’Australia (Birrel et al., 2001).

Un altro indicatore interessante è dato dalla classifica dei Paesi in base al cosiddetto Indice Globale di Talenti (Global Talent Index, 2011) che vede l’Italia appena al

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Secondo Balduzzi (2012) su dati ISTAT tale tasso si sarebbe ridotto da 11,2% nel 1990 a 10% nel 2000. An- che i valori calcolati per gli altri Paesi (e riportati nella tab. 1) sono leggermente diversi rispetto allo studio citato.

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Si tenga presente che, in certe aree del mondo, il BD raggiunge livelli altissimi, come, ad esempio, in Giamai- ca, dove supera l’80%.

117 “Nuovi” processi migratori in Italia

23esimo posto11

nel mondo per capacità d’attrazione in un contesto europeo dominato dalle regioni centro-settentrionali (Economist Intelligence Unit) (tab. 2)

Tornando ai laureati italiani all’estero, l’OECD ha stimato la loro percentuale pari a circa il 12,4% (ca. 300.000 persone) così distribuite: 45% America Settentrionale (U- SA 32%, Canada 12,6%); 40% in altri Paesi europei con la Francia e l’Inghilterra tra le destinazioni principali (9,3% e 8% rispettivamente) seguite dalla Svizzera (6,9%) e dalla Germania (6,2%). Al di fuori dell’Europa, un’area di forte attrazione per i cervelli italiani è l’Australia (13,6 %), mentre non appare ancora significativo il dato relativo all’Asia, almeno per i Paesi considerati nell’esame (Giappone, Corea del Sud e Tur- chia). Per quanto riguarda le aree disciplinari cui appartengono i laureati italiani espa- triati, si osserva che prevalgono quelli provenienti da ingegneria (29% degli occupati all’estero), lingue (16%), economia e statistica (1%) (XIII Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati). Il 70% dei laureati specialistici italiani occupati all’estero è inserito nel settore dei servizi (29% nella ricerca), 19% nel commercio e l’8% nell’informatica, tutti settori nei quali l’Italia ha accumulato dei ritardi in termini di investimenti infrastrutturali.