Le cause dei flussi migratori dall’Italia sono state spiegate, il più delle volte, con le trasformazioni economiche in atto nel sistema produttivo internazionale quasi con la stessa sicumera con cui oggi le ragioni della crisi economica sono attribuite esclusiva- mente alla logica dei mercati e al fenomeno della globalizzazione. E, come oggigiorno appaiono fuori luogo o, al più, tipiche di filosofi e teologi, quelle che, in modo sovra- strutturale, pretenderebbero di attribuire qualche responsabilità della crisi economica corrente anche a ragioni morali oppure economico-morali, con la stessa vena critica erano considerate ispirazioni per letterati quelle che prendevano in considerazione vis- suti personali, tragedie familiari, bisogno di novità, esigenze di miglioramento della propria condizione, ecc. Per quanto riguarda nello specifico l’emigrazione sarda, anche in questo caso molti di coloro che si sono occupati del problema – magari solo di ri- flesso o in base alla teoria del domino – hanno privilegiato spiegazioni di natura eco- nomica.
La mia tesi è che, alla fine, spiegazioni di questo genere rischiano di non abbraccia- re la complessità del fenomeno o di spiegare veramente poco. Senza voler tornare su tesi che ho illustrato estesamente altrove (Aledda, 1991, 1997), sostengo, per esempio, che è difficile intravedere una relazione diretta tra periodi di crisi occupazionale e pro- duttiva ed esodo migratorio. Anzi, i flussi migratori in Sardegna si sviluppano proprio quando l’isola avvia il suo decollo economico, in epoche in cui in teoria ci sarebbe do- vuta essere più occupazione.
È evidente che occorre andare oltre le grandi spiegazioni collettive e meccanicisti- che e scavare un po’ di più nei vissuti individuali, se si desidera cogliere più puntual- mente le diverse sfaccettature del fenomeno. Gli studi fatti nell’ambito della grande indagine dell’emigrazione sarda, promossa dalla Regione Sardegna dal 1984 al 19895
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Gli Atti di questo lavoro, iniziati nel 1984 e conclusi nel 1988, non hanno mai conosciuto una stampa ufficiale da parte dell’amministrazione, se non una stesura dattilografica con relativa rilegatura. Oggi tali atti sono dispo- nibili presso l’assessorato del lavoro della Regione Sardegna e sono composti di sei parti: 1) Area italiana (coor- dinata da Antonietta Massucco Costa), 2) Area anglofona (coordinata da Mario Manca), 3) Area tedesca (coor- dinata da Antonio Desogus), 4) Area francofona (coordinata da Giuseppe Loy Puddu, 5), Area America Latina (coordinata da Alberto Merler) e, infine, un volume finale di sintesi di tutta la ricerca elaborato dai coordinatori
131 L’italiano errante: il disagio del migrante, fra attrazione e rigetto
per esempio, hanno colto – soprattutto relativamente all’emigrazione sarda oltreoceano –, una certa componente avventuristica nel progetto migratorio. Ciò prova che esso – alla luce anche del tragitto che segue chi parte e chi ritorna – va compreso più a fondo solo se assunto nella sua interezza. E così, alla scelta della meta o alla soluzione del di- lemma se espatriare o rimanere a casa, per esempio, come momenti cruciali nella vita del migrante vanno aggiunti anche altri aspetti apparentemente secondari – come gli incontri fortuiti, l’attrazione delle cerchie familiari e paesane già stabilitesi fuori, ecc. –, che, non meno di altre spiegazioni, ritenute generalmente più qualificanti, sono in grado d’incidere sul destino di ciascuno. Se è vero che l’emigrazione può avere una sua specifica eziologia economica – nel senso che le condizioni sfavorevoli in un determi- nato tessuto sociale (magari caratterizzato da una notevole componente giovanile) pos- sono indurre taluni a sceglierne uno più favorevole, giacché al degrado economico si può accompagnare anche quello sociale – ciò non configura automaticamente una si- tuazione di “vuoto-pieno”, per effetto della quale tutta una parte di popolazione ab- bandona uno spazio travasandosi contestualmente in un altro. Posto che una buona metà di migranti interrompe prematuramente la propria avventura (Cerase, 2001)6
e riesce a trovare una qualche soluzione ai suoi problemi esistenziali tornando in patria, proprio ciò sembra escludere l’automatismo tra i due momenti. Se fosse vero che la causa economica è assolutamente prioritaria, per quale ragione oggi, davanti a una crisi descritta dagli economisti più preoccupante di quella del 1929, non vediamo frotte di giovani uscire per cercare occupazione in altri paesi, in termini talmente massicci che vada oltre la semplice mobilità lavorativa configurando un flusso migratorio in piena regola?7 La spiegazione, anche in questo caso, può essere trovata nel fatto che il paese in cui si vive oggi questo disagio, ossia l’Italia, rappresenta comunque una delle maggiori potenze industriali del mondo, e la qualità dell’esistenza attuale è assai differente da quella di terzo mondo che la caratterizzava nel secondo Dopoguerra e alimentava i flussi migratori. La realtà socio-economica odierna dello stivale non ha nulla da invi- diare a quella dei paesi nei quali molti potrebbero o desidererebbero stabilirsi (non a caso l’Italia è divenuta nel frattempo meta d’immigrazioni). Un fattore questo che sta sicuramente alla base dei tentennamenti di quanti vorrebbero porsi sulla scia dei propri avi. Si parte sempre, quindi, dalle valutazioni pro e contro circa la società di apparte- nenza, ossia sull’accettazione o meno del modello di società in cui si vive. Rispetto alla realtà italiana dei nostri giorni, vediamo, per esempio, che l’aspetto economico in sé non è sufficiente a spingere i giovani a cercare lavoro in altri paesi. Più di una volta gli interessati attribuiscono la decisione di allontanarsi ad altre ragioni circoscritte il più
di cui sopra, facenti parte della Commissione d’Indagine presieduta da Giuseppe Loy Puddu, e integrato dallo scrivente (segretario della Commissione) e da Mario Domenichelli.
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Anche la Sassen (1996, p. 51) presenta statistiche che mostrano come, tra il 1899 e il 1924, circa un terzo dei migranti in USA tornavano nei paesi di origine, mentre gli italiani rientrati dagli USA, nello stesso periodo, sono stati il 60% (1996, p. 135).
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Per effetto della crisi globale, oggi, anche i paesi che tradizionalmente ci ospitavano non sono più in grado di farlo. Sembrerebbe in qualche modo che, a fronte di una potenziale domanda di lavoro, non vi sia la necessaria offerta. Aree geografiche come USA, Canada e Australia, a tacere di molti paesi europei, hanno reso più invali- cabili le frontiere e centellinano i flussi migratori sulla base delle loro esigenze (per essere più precisi presentano un livello di accettazione di forza lavoro inferiore all’offerta esistente).
132 ALDO ALEDDA
delle volte a una singola realtà locale, come il peggioramento del clima sociale, l’aumento della criminalità, il degrado ambientale, le difficoltà nei rapporti interperso- nali, ecc., tutti fattori che solo lontanamente si possono in qualche modo legare alle cause economiche (anche se la stessa scienza economica ultimamente appare più atten- ta all’influenza degli aspetti psicologici e maggiormente interessata a inserire valori co- me la “felicità” individuale nella valutazione dei PIL nazionali).