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Conclusioni: come combattere il brain drain?

Si è visto in precedenza che, riguardo al BD, il problema italiano non starebbe tan- to nella quantità dei cervelli emigrati, quanto nell’elevata concentrazione di cervelli particolarmente qualificati (scienziati). Anche questo potrebbe non essere un proble- ma, ma un normale aspetto della globalizzazione. Il discorso cambia quando si prende atto della scarsa capacità di attrazione del Paese nei confronti di cervelli stranieri, che,

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troppo spesso si dimentica, ha come altra faccia della medaglia la mancata piena valo- rizzazione delle risorse locali.

Discutere questo tema significa però sollevarne molti altri estremamente delicati e suscettibili di essere manipolati a fini ideologici a favore e contro diverse categorie di soggetti e interessi. Qualunque sia l’opinione in merito, un aspetto è innegabile: parla- re di tali argomenti significa affrontare prima o poi il tema della decadenza del Paese e della necessità di rilanciarne la competitività economica a livello globale. Al di là delle sfide e delle difficoltà che l’attuale fase storica comporta per molti Paesi e non solo per il nostro, vi è una sostanziale convergenza sulla necessità che le riforme economiche siano accompagnate da una qualche riforma di carattere sociale e culturale, profonda. Sulla natura e direzione di tale processo e sulle strategie da seguire, la concordanza di opinioni è invece molto meno scontata.

In generale si conviene sull’attribuire una buona parte della responsabilità della si- tuazione che caratterizza oggi l’Italia alle forze politiche che hanno rappresentato il Paese negli ultimi decenni e alla realtà imprenditoriale, soprattutto nelle forme assunte dalle relazioni tra mondo politico ed economico. In particolare, si denunciano le scarse risorse investite nella ricerca sia da parte degli operatori pubblici che da parte delle im- prese. La situazione, d’altronde, è più complessa di quello che potrebbe apparire. Da un lato, in un periodo di forte crisi economica e di assenza di crescita del PIL, diventa molto difficile reperire le risorse necessarie per qualsiasi piano di riforma strutturale. Questo discorso ovviamente riguarda gli ultimi anni e non certo gli sprechi, le ineffi- cienze e le irrazionalità del passato. D’altra parte, però, anche le economie che hanno sempre creduto nella ricerca e la hanno sostenuta con ingenti investimenti (come, ad esempio, il Giappone), da tempo si sono rese conto che gli stanziamenti pubblici sono insufficienti per soddisfare le esigenze di un comparto di questo tipo. Di fatto i fondi che provengono dal mondo delle imprese sono diventati cruciali e irrinunciabili, ma sotto questo punto di vista l’Italia mostra un’altra debolezza strutturale, che riguarda la dimensione media delle sue imprese (e il loro grado di “maturità”), troppo ridotta per raggiungere la massa critica necessaria. A ciò si aggiunga la scarsa attenzione attribuita dalle politiche in tema migratorio alla qualità della formazione degli immigrati. Queste spesso, a causa di lungaggini burocratiche e inefficienze, incoraggiano fenomeni di se- lezione avversa, dirottando i flussi più istruiti verso mete più facilmente accessibili.

Sulla base di quanto osservato in precedenza, si comprende ora che il panorama della ricerca scientifica appare strettamente collegato al fenomeno del BD e anzi rap- presenta in qualche modo il nodo centrale del problema. In particolare, esso in Italia si presenta caratterizzato da tutta una serie di aspetti negativi, che impattano sulla sua capacità di attrazione nei confronti di cervelli esterni e nella piena valorizzazione di quelli “prodotti” localmente. L’inadeguatezza del sistema di finanziamento, ad esem- pio, si ripercuote nella carenza di fondi e, conseguentemente, in carenze infrastrutturali e salari non concorrenziali.

A questo punto resta da considerare quali strumenti e policies possano concorrere a migliorare la situazione. L’argomento è vasto e dibattuto, perché la scelta delle misure da adottare risente di criteri e orientamenti ideologici molto articolati e diversi. Si pre- cisa che, al di dentro di ciascun indirizzo strategico, gli strumenti che in concreto pos-

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sono essere selezionati sono molteplici e dotati di diversi gradi di efficienza ed oppor- tunità, a seconda del contesto storico e geografico considerato. Osserviamo inoltre che, per quanto attiene le misure politiche adottate finora dall’Italia, queste si sono gene- ralmente concentrate su un’applicazione del concetto di BD fondamentalmente circo- scritta al mondo della ricerca scientifica e per tanto si sono indirizzate soprattutto verso quest’ultimo. Facendo riferimento a uno studio del 2012 (Milio et al.) gli strumenti, cui il governo italiano ha fatto ricorso negli ultimi anni per far fronte a questo proble- ma, possono essere ricondotti sostanzialmente a tre tipologie:

- “Politiche di ritorno” (Return): con quest’espressione si indicano tutte quelle mi- sure che mirano ad incoraggiare il rientro dei cervelli. In Italia, nel 2001, è stato intro- dotto per legge, dall’allora Ministro dell’Università Zecchino, il primo programma di questo tipo, indirizzato a studiosi esteri e italiani, che operassero stabilmente all’estero da almeno tre anni. Furono stanziate anche risorse finanziarie per allineare le retribu- zioni ai più elevati standard europei. Successivamente il programma fu sospeso per mancanza di fondi. Purtroppo gli effetti di questo programma sono stati piuttosto de- ludenti. Infatti, si calcola che esso abbia prodotto il rientro di solo 466 cervelli (di cui 300 italiani) pari a circa l’1% del totale dei ricercatori nazionali operanti all’estero (stimati dallo studio citato sopra in 40-50 mila unità). D’altra parte, esistono dei forti dubbi sull’efficacia in generale di questo tipo d’intervento. Andando ad indagare su quali siano le principali motivazioni che spingono i cervelli all’emigrazione (CENSIS, 2002, Dell’Anno, 2004) emerge con chiarezza che uno dei push factor principali è dato dalla possibilità di lavorare nei centri di ricerca più all’avanguardia nel mondo; l’attrattiva di una simile opportunità prevarrebbe anche sulla possibilità di avere degli adeguati incentivi economici al rientro. Proprio per questo fatto, si ritiene che i cervelli che in genere accettano di rientrare sulla base di questo tipo di programma, lo facciano per altri motivi, essenzialmente riconducibili al desiderio di riunirsi alla propria fami- glia o ritornare “a casa”. Ciò però implicherebbe anche che i cervelli rientranti siano mediamente più “anziani” e meno produttivi. In sostanza, politiche di rientro non ac- compagnate da adeguati programmi di sviluppo non produrrebbero effetti ottimali. Sembrano più interessanti alcuni progetti legati all’assegnazione di borse di studio fina- lizzate al completamento della formazione scientifica dei cervelli italiani all’estero, nella previsione però di un loro rientro nei territori d’origine e in via strumentale a ciò12

. - “Politiche di ritenzione” (Retention): si tratta di misure dirette a frenare la fuga dei cervelli italiani all’estero. A tal fine, l’Italia ha previsto la creazione dell’IIT, Istituto Italiano di Tecnologia, progettato sulla base del MIT (Massachussetts Institute of Techno- logy) di Boston al fine di agevolare la collaborazione tra industria e ricerca scientifica e tecnologica. La creazione dell’IIT era prevista dalla stessa legge del 2003 che rifinanzia- va il programma dedicato al rientro dei cervelli. Nel 2011 è stata completata la realiz- zazione delle infrastrutture tecniche, cominciata nel 2006, ma restano ancora forti perplessità su questa iniziativa. In primis, piuttosto che creare una struttura ex novo, 12

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sarebbe stato forse meglio potenziare quelle preesistenti, selezionate secondo criteri di qualità ed eccellenza; inoltre vi è un certo scetticismo sul fatto che tale Istituto possa concretamente realizzare le finalità per cui è stato creato.

- “Politiche di rete” (Networking): nell’ambito delle misure che si possono imple- mentare per potenziare o sviluppare reti di cooperazione nazionale ed internazionale nell’ambito della ricerca, il governo italiano al momento ha sostenuto il progetto della creazione di un network di tutti gli studiosi italiani operanti all’estero. La struttura de- nominata DAVINCI (Database Accessibile Via Internet dei ricercatori italiani Non resi- denti in Italia e operanti all’estero presso Centri universitari, laboratori industriali o orga- nizzazioni Internazionali) permette di organizzare informazioni su attività e competen- ze dei ricercatori. Vi sono registrati 1.357 studiosi, così distribuiti spazialmente: 427 in Germania, 295 in Gran Bretagna, 124 in Francia e 119 negli Stati Uniti. Oltre a que- sta iniziativa, se ne stanno sviluppando diverse altre di portata internazionale, ma di carattere più settoriale, come Urania, che unisce gli scienziati della vita di origine ita- liana operanti negli USA con i colleghi in patria e la rete dei ricercatori originari del Friuli-Venezia Giulia. Al momento però si tratta di iniziative scollegate e senza grandi ricadute effettive, descritte da alcuni come “reti senza nodi” (Milio et al. 2012, p. 35).

Accanto alle politiche summenzionate, la letteratura riconosce l’esistenza di altri strumenti per combattere il BD, cui l’Italia fino ad oggi non ha fatto ricorso. Si tratta di “politiche di restrizione” (Restriction) (barriere all’emigrazione); “politiche di reclu- tamento”13

(Recruitment) (per far fronte a carenze generalizzate di forza lavoro o co- munque con finalità compensative in determinati settori) e “politiche di riparazione della perdita subita” (Reparation) (politiche di tassazione). Infine si parla anche di “po- litiche di sfruttamento delle risorse degli espatriati” (Resourcing), di cui la politica delle reti rappresenterebbe un caso particolare (Lowell, 2002).

In linea generale, si può affermare che forse il nodo cruciale della debolezza delle politiche adottate dall’Italia stia nella mancanza di coordinamento delle diverse inizia- tive e dei diversi soggetti, pubblici e privati. Urgono riforme strutturali e piani di svi- luppo del sistema dell’istruzione e formazione scientifica e culturale, basati su merito- crazia, investimenti infrastrutturali ed una più stretta collaborazione tra industria e ricerca.

13

In questa classificazione il programma del Ministro Zecchino sarebbe una politica mista di rientro e recluta- mento.

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Tabella 1. Tassi di espatrio dei laureati in alcune aree del mondo

1990 2000 Regioni Tasso espatrio

laureati Tasso espatrio generale Tasso espatrio laureati Tasso espatrio generale Nord America 0,8 0,8 1 0,8 Canada 4,8 4,7 4,9 4,3 Stai Uniti 0,4 0,3 0,5 0,4 Europa Settentrionale 16,2 6,9 14,3 6,8 Irlanda 34,4 28,5 34,4 22,8 Regno Unito 18,9 6,9 16,7 7 Europa Occidentale 10,4 3,4 7,3 3,2 Austria 18,3 6,2 11,1 5,8 Belgio 7 2,7 5,9 2,9 Francia 5,1 1,7 3,9 1,9 Germania 14,3 4 8,8 3,6 Paesi Bassi 11,3 5,1 8,9 4,9 Europa Meridionale 11,2 6,4 9 6,2 Grecia 18,9 9,4 14 9,1 Italia 9,9 5,9 7 5 Portogallo 14,6 13,9 13,8 14,3 Spagna 3,4 2,2 2,6 1,8 Africa Occidentale 20,7 0,5 26,7 0,8 Africa Orientale 15,5 0,4 18,4 0,6 America Centrale 12,9 7,3 16,1 11 Caraibi 41,4 11,6 40,9 13,9

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Tabella 2. I primi trenta Paesi al mondo per Global Talent Index

1 Stati Uniti 74,2 2 Danimarca 64,7 3 Finlandia 63,2 4 Norvegia 61,9 5 Singapore 60,2 6 Australia 60,1 7 Svezia 59,5 8 Hong Kong 59,1 9 Svizzera 58,5 10 Israele/Paesi Bassi 58,3 12 Regno Unito 58,2 13 Germania 57,9 14 Canada 57,8 15 Nuova Zelanda 57,7 16 Irlanda 57,4 17 Austria 55,7 18 Belgio 55,5 19 Francia 55,1 20 Taiwan 54,5 21 Spagna 49,7

22 Corea del Sud 48,4

23 Grecia/Italia 46,7 25 Repubblica Ceca 45,9 26 Portogallo 45,4 27 Giappone 45 28 Argentina 44,6 29 Polonia 44 30 Ungheria 43,8

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ALDO ALEDDA

L’italiano errante: il disagio del migrante, fra attrazione e rigetto.

Esperienze di campo

1. Introduzione

Ogniqualvolta si dibatte del disagio dei migranti, inevitabilmente il pensiero corre agli abiti mentali delle società di provenienza e di destinazione e alla serie di attività amministrative che, in genere, ha come oggetto gli immigrati nei paesi di accoglienza. Tuttavia esiste un tipo particolare di rifiuto nei confronti di chi espatria, scarsamente preso in considerazione; ossia quello che può maturare e attuarsi nel paese di apparte- nenza dell’emigrato.

Il rifiuto della società che accoglie il migrante è noto e autorevolmente esplorato (per tutti Sassen, 1996), e così pure le ragioni: paura dello sconosciuto, timore della perdita di opportunità lavorative per i residenti, sovrappopolazione, ecc. Viceversa, è convinzione diffusa che la scelta di recarsi all’estero, da parte di un soggetto o di parti- colari frange di popolazione, sia in qualche modo accompagnata da uno scontato con- senso delle rispettive cerchie parentali (soprattutto nella misura in cui si aspettano a loro volta vantaggi e benessere) e della società nel suo complesso (apparentemente fi- duciosa sulle possibili ricadute positive del fenomeno o semplicemente interessata all’allentamento della morsa demografica).

L’opportunità che ha avuto chi scrive di rapportarsi, per oltre vent’anni, con la vasta comunità italiana all’estero – dall’America del Nord a quella del Sud, dall’Europa all’Australia – in veste istituzionale e/o di studioso (esercitando funzioni amministrati- ve, somministrando questionari, partecipando a convegni, frequentando associazioni e abitazioni private, visitando uffici pubblici italiani e stranieri, ecc., ma soprattutto regi- strando e fissando nella memoria numerose storie di vita e mantenendosi in costante contatto con chi, in letteratura, è definito “testimone privilegiato”), ha favorito la ma- turazione nell’interessato di tutta una serie di convinzioni sull’accettabilità sociale dei migranti. Convinzioni che spesso risultano differire dai paradigmi correnti nei quali è inquadrato il fenomeno e, talvolta, portano a conclusioni di diverso genere rispetto a quelle consuete quando, per esempio, analizzando (e, talvolta, predisponendo) azioni legislative, politiche e programmatiche pubbliche di sostegno o di rientro dei conna- zionali all’estero, si constata che esiste in Italia un invalicabile muro d’indifferenza o, addirittura, di ostilità. Un atteggiamento di indifferenza (quando non di ostilità) rivol- to agli emigrati si può rintracciare spesso non solo all’interno delle istituzioni, ma an- che nei media e nella società nel suo complesso.

Sarà mia cura, nelle pagine che seguiranno, dimostrare come le forme, che questo fenomeno assume, siano dovute principalmente (o siano direttamente proporzionali) al fatto che le ragioni dell’abbandono della società d’origine si fondino non solo su moti-

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vi economici contingenti (come abitualmente si ritiene), ma più nel profondo siano ascrivibili a un rifiuto totale o parziale di tutta una serie di valori fondanti che accom- pagnano quelli, effettuato a suo tempo da chi ha deciso di lasciare la terra di nascita.